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Le avanguardie nella Parigi fin de siècle: Signac, Bonard e i loro contemporanei
Angrand,
Angrand, 'Materniteu', ca 1896 
03 Ottobre 2013
 

La Collezione Peggy Guggenheim, Venezia, presenta fino al 6 gennaio 2014 “Le avanguardie nella Parigi fin de siècle: Signac, Bonnard, Redon e i loro contemporanei”, a cura di Vivien Greene (catalogo Peggy Guggenheim Collection), con un centinaio di lavori, tra dipinti, disegni, opere su carta e stampe provenienti da diverse collezioni private, la mostra prende in analisi la scena artistica parigina focalizzandosi sulle maggiori avanguardie di fine ‘800, in particolar modo su neo-impressionisti, Nabis, simbolisti e i loro protagonisti.

Nel 1884 G. Seurat, P. Signac (1863 – 1935), M. Luce (1858 – 1941) ed alcuni altri si associarono con il dichiarato intento di andare oltre l’Impressionismo nel senso di dare un fondamento scientifico al processo visivo e operativo della pittura.

A questa tendenza si opposero, in nome delle istanze originarie dell’Impressionismo, Monet e Renoir: si determinò così un contrasto tra Impressionismo detto «romantico» ed un Impressionismo detto «scientifico».

Richiamandosi alle ricerche di Chevreul, Rood e Sutton sulle leggi ottiche della visione e, specialmente, dei «contrasti simultanei» o dei colori complementari, i neo-impressionisti hanno instaurato la tecnica del puntinismo (pointillisme) consistente nella divisione dei toni nelle loro componenti, cioè in piccole macchie di colori puri accostati tra loro in modo da ripercorrere, nell’occhio dell’osservatore, l’unità del tono (luce-colore) senza le inevitabili impurità dell’impasto. Il carattere scientifico del Neo-impressionismo non consiste tuttavia nel riferimento a leggi ottiche recentemente accertate: non si vuole fare una pittura scientifica, ma istituire una scienza della pittura, porre la pittura come una scienza a sé.

Il Simbolismo si concreta in tendenze parallelamente ed in superficiale antitesi al Neo-impressionismo: e si configura come un superamento della pura visività impressionista, ma in senso spiritualistico invece che scientifico.

Di fatto il Simbolismo, che ha trovato sostegno nelle poetiche letterarie contemporanee e soprattutto in Mallarmè, riapre un problema di contenuti, ricollegandosi così alle prime istanze romantiche di Blake e di Füssli, alla pittura di G. Moreau (1826 – 1898), all’allegorismo delle evocazioni classiche di Puvis De Chavannes (1824 – 1898). Benché contrario alla pura visività impressionista, il Simbolismo non si contrappone all’Impressionismo come contenutismo o formalismo, ma tende a trasformare i contenuti così come l’Impressionismo muta il valore delle forme. L’affascinante dialogo tra letterati ed artisti che arricchisce la creatività dell’epoca sarà accelerato con altri stimoli ed altre provocazioni dalla rivista Revue Blanche, fondata nell’ottobre 1891 da Alexandre e Thadée Natanson, le cui pubblicazioni dureranno una dozzina d’anni.. Nella sede della Revue Blanche si trovarono per dibattere i temi del momento scrittori quali Octave Mirbeau, Félix Fénéon, Tristan Bernard e Jules Renard e artisti quali Toulouse-Lautrec, Sérusier, Bernard e Vailloton la cui prima mostra fu ordinata, nel 1891, nella sede della rivista. Continuando nel suo percorso, il Simbolismo entrava nella fase di piena maturità: era il momento dei Nabis.

Il gruppo dei Nabis (termine ebraico che significa “profeti”) sorge nel 1888, in piena stagione decadentista. Gli artisti che vi aderiscono furono: Sérusier, Denis, Ranson, Roussel, Bonnard e Vuillard. La reazione dei Nabis all’Impressionismo è netta, senza riserve. Se poi una componente stilistica comune è data da reperire nella loro poetica, essa consiste nell’adozione dell’arabesco che delimita le forme in un andamento musicale nel quale è riconoscibile la lezione dell’arte orientale, ormai sempre più di moda.

Questa componente caratterizza in modo evidente il linguaggio di Paul Sérusier (1863 – 1927). Maurice Denis (1870 – 1943) rivolto a superare ogni superstite legame dell’immagine con l’accidentale e l’effimero per far dell’immagine stessa il simbolo dell’idea: l’idea della quiete, della serenità, di un equilibrio supremo, della «beata solitudo», sola «beatitudo» vagheggiata da molti decadentisti quale polo dialettico opposto alla ferinità tormentosa.

Uomo di gusti semplici, dal fare dimesso e quasi timido fu Pierre Bonard (1867 – 1947) il quale dimostrò, fin dagli inizi, il risoluto proposito di ricercare in sé la propria verità poetica e di tradurla senza essere condizionato da nessuna teoria.

Già nell’ambito dei Nabis sconcerta il suo operato per la libertà d’invenzione che manifesta: crea un proprio sistema cromatico che non trova riscontro con il reale, trasforma il dipinto in un organismo chiuso che volta per volta deve ubbidire alle proprie intrinseche leggi.

E grandissimo artista fu Ěduard Vuillard (1868 – 1940). Influenzato egli pure dai giapponesi e da Gouguin si affiderà dapprima allo svolgersi della linea come principio stilistico ma, col tempo, il colore assumerà valore determinante per ricreare quelle atmosfere venate di malinconia ch’egli andava discoprendo nelle case dei poveri e che gli parevano la proiezione della sua anima.

Molti sono gli artisti in mostra meno noti come Louis Valtat (1869 – 1952). Dopo studi accademici egli incontra i Nabis e l’opera di Paul Gauguin, conosce, in seguito, l’Impressionismo, il Neoimpressionismo e, soprattutto, l’espressività della linea e del colore di Vincent van Gogh. Pur non associandosi, ufficialmente, ad alcun movimento, Valtat dimostra, nelle sue scene di Parigi e nei suoi paesaggi, di assimilare numerosi elementi da innumerevoli idiomi.

Mentre l’olandese Kees Van Dogen (1877 – 1968) nei primi dipinti sente l’influenza scura dei toni gravi di Rembrandt van Rijn, ma a metà dell’ultimo decennio dell’Ottocento le composizioni si evolvono verso maggiore movimento e colori più vivaci.

Nei primi anni del nuovo secolo la sua pittura si esprime con pennellate ampie e toni accesi. Espone al famoso Salon d’Automne del 1905, dove viene annoverato, con altri artisti suoi coetanei, come André Derain, Henri Matisse, Maurice de Vlamick (tutti pittori che impiegano una tavolozza antinaturalistica e forme altamente espressive) nel gruppo Fauves (dal francese “belve”).

 

Maria Paola Forlani


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