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Gordiano Lupi. Com’è bello far l’amore (2012) di Fausto Brizzi
29 Settembre 2013
 

Fausto Brizzi ha inventato un genere: il television-movie, ovvero il nulla fatto cinema, la televisione su grande schermo, lo squallore della fiction replicata all’infinito, infarcita di finto gergo giovanilistico e di situazioni surreali ai limiti dell’imbarazzante. Inutile perdere tempo a redigere la scheda tecnica di un film ridicolo e dimenticabile – Com’è bello far l’amore – che si ricorda solo per la divertente sigla di testa e per la scenetta metacinematografica dei Fratelli Lumière intenti a girare il primo film erotico della storia. Brizzi vorrebbe ironizzare sulla commedia sexy, sul cinema porno, sulle pellicole d’autore, sugli italiani che smettono di avere rapporti sessuali dopo anni di matrimonio, sui giovani che si fanno i trombamici. Riesce solo a provocare tanta tristezza in chi guarda il suo cinema e spera di imbattersi anche solo in una trovata degna di una pellicola cinematografica, per poi rendersi conto che sta guardando fiction. Brizzi è televisione allo stato puro, dai movimenti di macchina alla recitazione, dalla fotografia sbagliata al montaggio compassato, dai dialoghi assurdi (davvero bravo Riccardo Cassini!), alle situazioni da fotoromanzo, con tutto il rispetto per i fotoromanzi. Claudia Gerini è l’unica vera attrice del film, bella e sexy, intrigante, un lusso in un cast di zombie stile Fabio Di Luigi che sfoggia sempre la stessa espressione imbambolata. Per non parlare del mago Forest, Salvi, Filippo Timi (improbabile porno star), Virginia Raffaele (cameriera spagnola), Giorgia Wurth e Alessandro Sperduti. Si salva Lillo (Pasquale Petrolo) come divertente farmacista che spiega il funzionamento di profilattici e anelli dell’amore a un imbranato Di Luigi. Brizzi si è fatto aiutare da Martani, Agnello e Cassini per scrivere una sceneggiatura infarcita di luoghi comuni e banalità, prevedibile e scontata, senza un minimo di suspense. Da notare che questo film ha goduto di sovvenzioni statali che avrebbero potuto essere impiegate per produrre cinema invece di un pretenzioso spot giovanilistico. Brizzi afferma che il cinema d’autore è soporifero, serve per pomiciare, svuota le sale, fa scappare il pubblico. Il suo non cinema, invece, pare che le riempia. Tutto questo è sconfortante e la dice lunga sullo stato della nostra cultura, anche se un giorno – temo – ci sarà qualcuno che si prenderà la briga di rivalutare Brizzi. Lasciatemi dire non che preferivamo Pasolini e Antonioni – sarebbe troppo facile e pure ingiusto – ma Nando Cicero, certo non cinema d’autore, ma intrattenimento puro, popolare, consapevole del suo ruolo, senza arroganza e pacchiana supponenza.

 

Gordiano Lupi


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