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Giovanni Falcone, le sue “strane” idee. C’è un dovere di ricordare
04 Ottobre 2006
 
Punte di quasi nove milioni di spettatori e picchi del 34 per cento, per la fiction dedicata a Giovanni Falcone, trasmessa domenica e lunedì sera.
È giusto ricordare. Negli Stati Uniti credo che ci siano solo due italiani ricordati per la lotta e l’impegno contro il crimine organizzato: Joseph “Joe” Petrosino, il poliziotto di Padula emigrato giovanissimo in America, l’uomo che sconfisse la Mano Nera e cercando i collegamenti tra Cosa Nostra americana e Cosa Nostra italiana, venne a Palermo, e fu ucciso a piazza Marina, quasi certamente da Vito Cascio Ferro, il boss che inventà il “pizzu”: l’estorsione programmata, scientifica. L’altro italiano che viene ricordato con affetto e ammirazione è appunto Falcone.
Eppure in vita fu detestato, ostacolato, attaccato. Tra gli stessi suoi colleghi. Chi lo bocciò, chi gli fece lo sgambetto, quando decise di concorrere alla elezione per il Consiglio Superiore della Magistratura? Chi gli negò, con il sorriso tra le labbra, il voto?
Ricordare. C’è un dovere di ricordare. Per esempio le polemiche nata all’indomani della firma sulle inchieste relative ad alcuni delitti “politici”, quelli di Michele Reina, Piersanti Mattarella, Pio La Torre. Non si individuano i mandanti; non ci sono i riferimenti alle supposte responsabilità politiche. Falcone viene accusato di essere un insabbiatore. Nei “cassetti” dei giudici, strillano i “professionisti dell’antimafia”, ci sono ben chiuse le verità sui delitti “eccellenti”. Leoluca Orlando, Alfredo Galasso, Carmine Mancuso arrivano al punto di rivolgersi al Consiglio Superiore della Magistratura. Galasso in una puntata del “Maurizio Costanzo Show” praticamente accusa Falcone di aver disertato; di aver lasciato Palermo per un comodo posto di direttore agli Affari Penali. Falcone viene accusato di essere diventato “socialista”, “martelliano”. A nessuno viene in mente che forse è Martelli a essersi “falconizzato”.
 
Ricordare. Per esempio la storia della Procura Nazionale Antimafia. Quante ne dicono, quante ne scrivono, i giudici. Nel migliore dei casi viene giudicata un cavallo di Troia della classe politica per controllare, legare le mani ai giudici. Replica Falcone: «Io assoggettato al ministro? Chi lo dice, non tiene conto di una cosa: il progetto della Super Procura è mio, ed è preso dall’idea del pool antimafia. Semmai è Martelli che si è fatto convincere».
Al CSM, per tre volte Falcone viene “tradito”. Concorre al posto di super-procuratore antimafia: gli viene preferito Agostino Cordova, procuratore capo di Palmi. Alessandro Pizzorusso, componente laico del CSM designato dal PCI, firma un articolo sull’Unità che grida vendetta. In pratica si dice che Falcone non è “affidabile”. Sarebbe “governativo”, avrebbe perso le sue caratteristiche di indipendenza.
 
Ricordare. Aveva strane idee, Falcone, e quelle strane idee non gliele hanno perdonate mai. Per esempio, quello che disse a Mario Pirani, che lo intervistò per Repubblica (3 ottobre 1991): «…Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienza, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo.E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carattere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e PM siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il PM sotto il controllo dell’Esecutivo. E’ veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del PM con questioni istituzionali totalmente distinte…»
Sarà anche per queste strane idee che quando al Consiglio Superiore della Magistratura si doveva decidere se Falcone dovesse diventare o meno capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, gli venne preferito Antonino Meli; e contro di lui votarono Agnoli, Borré, Buonajuto, Cariti, Di Persia, Geraci, Lapenta, Letizia, Maddalena, Marconi, Morozzo Della Rocca, Paciotti, Suraci e Tatozzi.
Votarono contro Meli (e dunque per Falcone) Abbate, Brutti, Calogero, Caselli, Contri, D’Ambrosio, Gomez d'Ayala, Racheli, Smuraglia, e Ziccone.
Astenuti i consiglieri Lombardi, Mirabelli, Papa, Pennacchini e Sgroi.
Anche alcuni rappresentanti di Magistratura Democratica votarono per Meli e contro Falcone: Borré, Paciotti, e quest’ultima, dopo, viene candidata ed eletta dai DS al Parlamento Europeo. Uno dei due era Elena Paciotti, poi europarlamentare dei DS, già presidente dell’Associazione. Giusto rimproverare a Geraci il suo voto e il suo “operare” perché fosse votato Meli. Ma perché ignorare che per Meli votarono anche Borré, Di Persia, Maddalena, Paciotti? 14 voti a Meli, 10 a Falcone.
 
Ricordare. Aveva delle strane idee, Falcone. Luca Rossi è autore di un libro, I disarmati, che raccoglie una riflessione ad altra voce di Falcone, uno sfogo se si vuole, mai smentito: «Il fatto è che il sedere di Falcone ha fatto comodo a tutti. Anche a quelli che volevano cavalcare la lotta antimafia. In questo condivido una critica dei conservatori; l’antimafia è stata più parlata che agita. Per me, invece, meno si parla, meglio è. Ne ho i coglioni pieni di gente che giostra con il mio culo. La molla che comprime, la differenza: lo dicono loro, non io. Non siamo un’epopea, non siamo superuomini: e altri lo sono molto meno di me. Sciascia aveva perfettamente ragione: non mi riferisco agli esempi che faceva in concreto, ma più in generale. Questi personaggi, prima si lamentano perché ho fatto carriera; poi se mi presento per il posto di procuratore, cominciano a vedere chissà quali manovre. Gente che occupa i quattro quinti del suo tempo a discutere in corridoio. Se lavorassero, sarebbe molto meglio. Nel momento in cui non t’impegni, hai il tempo di criticare: guarda che cazzate fa quello, guarda quello che è passato al PCI, e via dicendo. Basta, questo non è serio. Lo so di essere estremamente impopolare, ma la verità è questa...»
 
Ricordare, Aveva strane idee, Falcone. Che cosa va a dire il 15 marzo 1990, a un convegno di studi giuridici a Senigallia? «…Se vogliamo realisticamente affrontare i problemi, evitando di rifugiarsi nel comodo ossequio formale dei principi, dobbiamo riconoscere che il vero problema è quello del controllo e della responsabilità del PM per l’esercizio delle funzioni. Con ciò non si intende mettere in discussione il principio dell’indipendenza del giudice, principio tenuto ben presente dal nuovo codice di procedura penale, che ha avuto cura di distinguere accuratamente il ruolo del giudice da quello del PM, onde sottolineare l’autonomia dell’organismo giudicante effettivamente indipendente… Ed allora ci si domanda come è possibile che in un regime liberal-democratico qual è indubbiamente quello del nostro paese, non vi sia ancora una politica giudiziaria, e tutto sia riservato alle decisioni, assolutamente irresponsabili, dei vari uffici di Procura e spesso dei singoli sostituti…Ma sono fermamente convinto che questa risposta istituzionale ai pericoli di deviazione della repressione penale non è coerente coi principi vigenti in regimi liberaldemocratici maturi e, soprattutto, determina concreti pericoli di incoerenza e disorganicità nella repressione penale…Mi sembra quindi giunto il momento di razionalizzare e coordinare l’attività del PM finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticista della obbligatorietà dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli della sua attività…»
 
Gualtiero Vecellio
(da Notizie radicali, 3 ottobre 2006)

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