Subito all’inizio del loro incontro bilaterale di ieri, Mohamad Javad Zafir ha ringraziato Emma Bonino. «Abbiamo molto apprezzato» ha detto il ministro degli Esteri iraniano «che lei sia stata la prima a sostenere concretamente la necessità di coinvolgerci nel processo diplomatico in Siria. Lei ha mostrato coraggio politico e leadership». È stata infatti la titolare della Farnesina in agosto, pochi giorni dopo il bombardamento chimico, a teorizzare con il gruppo degli Amici della Siria l’aggancio dell’Iran, un Paese particolarmente sensibile sul tema delle armi chimiche, che nella prima Guerra del Golfo, allora impiegate da Saddam Hussein, costarono a Teheran più di centomila morti. «Gli iraniani» dice Bonino nell’intervista al Corriere «sono gli ultimi ai quali devi spiegare la gravità dell’uso delle armi chimiche. Noi abbiamo suggerito di scorporare il dossier Siria. La condanna dell’uso delle armi chimiche è stata così universale, da aprire uno spiraglio per rilanciare la diplomazia, lasciando agli ispettori il compito di individuare, sia pure indirettamente, i responsabili».
È una settimana molto intensa, per il ministro degli Esteri italiano, quella apertasi ieri al Palazzo di Vetro. Dove ai due grandi dossier dell’attualità internazionale, Siria e Iran appunto, si affiancano altri temi importanti per la nostra diplomazia: la Libia, dove l’Italia intende spingere verso l’apertura di un dialogo nazionale, in vista della conferenza di dicembre, di cui ha la regia; la Somalia, alla luce del massacro di Nairobi, che ripropone il tema del terrorismo regionale degli Shabab. Ci sono poi temi più specificamente italiani, come il lancio di Expo 2015 e la presentazione del progetto “Destinazione Italia”, mirato a rendere più attrattivo il nostro Paese per gli investimenti stranieri, che vedranno impegnato in prima persona il premier Letta; infine, la preparazione della candidatura italiana al Consiglio di Sicurezza, per la quale si vota nel 2016 ma già in questi giorni impegna Bonino con ben 20 incontri bilaterali. Abbiamo incontrato la titolare della Farnesina nel suo albergo newyorkese, subito dopo l’incontro con il capo della diplomazia persiana.
– Quanto ci si può fidare delle aperture di Teheran?
«Se uno pensa all’atmosfera che circondava gli interventi di Ahmadinejad, con l’uscita delle delegazioni dalla sala, è indubbio che ci sia un’atmosfera diversa, di attesa e di speranza. I segnali giunti finora – la liberazione dei detenuti politici, le dichiarazioni di disponibilità sul nucleare – sono di apertura. Gli scettici obiettano che si tratta di gesti pre-Assemblea Generale. Ma io penso che sia necessario esplorare questo segnale. All’interno del gruppo Amici della Siria, ho sempre sostenuto che nella prospettiva di Ginevra 2, l’Iran dovesse essere in qualche modo coinvolto. Poiché non è chiudendoli fuori dalla porta che si annulla il problema della loro influenza in Siria. Io dico che si è aperta una finestra di tempo per la politica e la diplomazia, che va attraversata con convinzione, investendoci pesantemente: è in salita, a cominciare dalle armi chimiche, ma va percorsa».
– A quali condizioni?
«Abbiamo due percorsi paralleli: da una parte, se si è seri sull’applicazione della convenzione sulle armi chimiche – inventario, localizzazione e distruzione – è necessario un canale politico aperto, garantito da un cessate il fuoco. Altrimenti sarebbe impossibile assicurare il lavoro di eliminazione degli arsenali. L’altro percorso è quello umanitario: mi piacerebbe che fosse aperto l’accesso alle organizzazioni internazionali per portare aiuto ai rifugiati interni».
– Ma ci vorrà una risoluzione del Consiglio di Sicurezza?
«Secondo me, al di là dei contenuti che sono in corso di negoziato, c’è la necessità di un quadro giuridico, un ombrello di impegni che valga per tutti».
– Con il capitolo VII, cioè prevedendo l’uso della forza in caso di inadempienza?
«Quello è parte del negoziato, è la parte in salita».
– Quale merito rivendica per il ruolo svolto dall’Italia?
«Aver indicato le tre tappe: rapporto degli ispettori, Consiglio di Sicurezza e applicazione della convenzione. È quello che poi è avvenuto».
– E quale ruolo avremo da oggi?
«Restiamo nel gruppo Amici della Siria e quindi possiamo essere parte della pressione diplomatica. Mi diceva Brahimi che esiste una chance che nella riunione del 28 venga fissata la data della nuova conferenza. Abbiamo anche un ruolo, che devo verificare con il collega Saccomanni e il premier Letta per l’impegno finanziario che comporta, perché la nostra esperienza specifica in tema di armi chimiche ci consente di fornire know-how e assistenza in fase di applicazione della convenzione. Infine mi piacerebbe anche che assumessimo un impegno sul piano umanitario».
– Con Zarif avete parlato del dossier nucleare?
«No. Noi non facciamo parte del gruppo 5+1. E chiaro poi che le cose si intersechino, poiché Zarif è stato anche nominato negoziatore del dossier atomico, quindi i due dossier potrebbero mescolarsi in qualche sede. Oggi ci saranno i discorsi dei presidenti Obama e Rouhani, poi probabilmente ci sarà l’incontro. Vedremo».
Paolo Valentino
(da Corriere della Sera, 24 settembre 2013)