La crisi nei Ds e le divergenze tra la segreteria e Filippo Penati, scoppiate in queste ore, sono la dimostrazione concreta di quanti errori siano stati compiuti in questi ultimi anni a Milano per responsabilità di un gruppo dirigente diessino che ha voluto egemonizzare e condizionare tutta la sinistra.
Non intendo entrare nel merito del dibattito interno a quel partito, troppo difficile da capire, nel gioco di potere tra tanti gruppi e correnti, ma non posso non rilevare come stiano finalmente venendo al pettine i nodi di un partito che, non solo adesso ma dall’inizio degli anni novanta, non ha saputo interpretare lo spirito e la cultura riformista di questa città.
Morto il Psi nel 1994, il Pci di allora oggi Ds non si è mai discostato da una linea sostanzialmente antisocialista e massimalista, con qualche amore per gli industriali e per ultimo per un ex-prefetto.
Il rifiuto della candidatura di Carlo Tognoli a sindaco di Milano nel 2001 (proposta allora da Giuliano Amato Presidente del Consiglio) e di Umberto Veronesi nel 2006 (sostenuta da Piero Fassino) sono solo due dei loro più grandi errori. Ciò ha consegnato Milano al centrodestra di Albertini e Moratti e ha relegato la sinistra nel solco storico e inconcludente dei veteromarxisti e dei giustizialisti. La sinistra così non ha nulla sostanzialmente da proporre e quindi è per definizione sostanzialmente conservatrice.
Mi auguro che da questa crisi interna ai Ds si possa aprire un confronto aperto su un futuro diverso per la sinistra milanese e lombarda. Perché possa riformarsi e trasformarsi e perché possano prevalere senza discriminanti ideologiche le forze più innovatrici.
Roberto Biscardini
Rosa nel pugno, Milano