Franco Cardini
L'imperatore, il re del mondo, il cavaliere
Illustrazioni di Maria Paola Forlani
CartaBianca, Faenza 2013, pp. 193, € 15,00
Correre dietro a chimere, coll’illusione di essere colti; stordirsi con fòle impossibili, condite di indegne paccottiglie; “bersi“ ridicoli polpettoni, in cui le sciocchezze e le banalità pullulano, dove con la scusa della “storia”, si sciorinano errori e bugie e, in nome di una falsità eretta a sistema, si confonde lo share con la serietà, l’audience con il fondamento scientifico: perché, non dimentichiamo che la storia è scienza, juxta propria principia certamente, ma non per questo, di rango inferiore.
Il medioevo impazza: un fenomeno mediatico che ci riporta “ai secoli bui”, illuminati non tanto dal lume di seri studi, che si appellano a fonti sicure, da ricerche documentarie, quanto, piuttosto – ahimè, dico io –, da luci della ribalta, da fotoelettriche di un set. Un medioevo da cinema, da festa cittadina o da sagra paesana, in cui abbonda la fiction: play games, in cui tra una giostra e una cena delle beffe, molti si travestono e giocano. Oppure visitano a frotte, inopinatamente, perché sono cascati nel tranello mediatico, paeselli pirenaici assolutamente “innocenti”, come Rennes-le-Château: eppure colpevoli – agli occhi di qualche sedicente odierno imbonitore della carta stampata – di custodire segreti terribili che, guarda caso, traggono la loro origine da una gnosi maldigerita.
Tanto più piace, quanto meno si studia, povero medioevo!
Poi, a soffrirne, in questo analfabetismo di ritorno in cui è caduto il postmoderno, è la “cultura” con la maiuscola. Perché, nonostante il tempo trascorso, sembra che la querelle tra Illuminismo e Romanticismo, circa il Medio Evo, sia approdata ad un nulla di fatto: chi vince, tra Voltaire e Walter Scott?
Sembra più facile leggere i fantasy nonostante la mole, swords and dragons a go-go, Dan Brown, Ken Follet o Norman Cohn, piuttosto che una sola riga di Etienne Gilson, Marc Bloch o Johan Huizuinga.
Intanto, le nostre università languono, le cattedre di storia medioevale, o di filologia romanza, appassiscono come le rose e i centri di studio come quello di Spoleto, sono in affanno: gli studenti prendono altre vie, i neolaureati migrano all’estero.
Ma torniamo comunque alla nostra età di mezzo, che é una miniera a cui attingono letterati e artisti: il luogo degli opposti, come sosteneva Régine Pernoud, e il tempo in cui gli uomini oscillano tra la stabilità del castello e il moto inquieto del pellegrinaggio, in cui convivono la fede adamantina di San Bernardo e l’arditezza di Abelardo, Maria di Lais e Ildegarda di Bingen.
E, soprattutto, accostiamoci in sintesi ammirata al libro di Franco Cardini L’imperatore, il re del mondo, il cavaliere edito da Cartabianca, e in cui ricerca storica, esperienza narrativa e invenzione fantastica si intrecciano in modo mirabile. Un “racconto iniziatico” come lo definisce il suo autore, storico di gran fama, e la memoria letteraria scivola inevitabilmente verso L’asino d’oro di Apuleio o Die Zauberflöte di Schikaneder per Mozart, in cui è chiara la duplice valenza: sociale – si diventa, attraverso l’iniziazione – parte di un corpo sociale; e personale, si acquista consapevolezza del proprio essere e padronanza di sé. “Un (quasi) nuovo romanzo” – è sempre Cardini che scrive – nato nel nevoso inverno del 1979-80 in località Paliana sull’Appennino tosco-emiliano dove l’Autore e la sua famiglia restano bloccati dalla nevata, copiosa come poche altre, sui monti a Nord del passo della Futa: il forzato isolamento favorisce la genesi del romanzo che sarà edito da Camunia nel 1996, auspice l’amico Raffaele Crovi, con il titolo Il giardino d’inverno. Dal giardino d’inverno a “Il Giardino della Vita” il passo è breve. Come scrive l’indimenticabile don Franco Patruno nell’Introduzione «(é) chiara allusione a quel Giardino della Vita che anche la letteratura ha cantato come paradiso perduto. Ma per Franco non ci sarebbe pellegrinaggio senza meta, non si avvierebbe, cioè il cammino, se non si vedesse Gerusalemme sullo sfondo, non come fondale di un proscenio illusorio ma come approdo di cuori e nazioni». A percorrere il Vortice del Tempo per ritrovarsi dopo molte vicissitudini al punto di partenza presso la reggia di Federico II di Svevia, è un cavaliere, uno di quei milites silvani di cui parla il più celebre dei Carmina burana e l’ambiente è il bosco, fin dai tempi dei Romani – la Silva Ercynia di tacitiana memoria, per esempio – luogo del mistero. A commento e illustrazione di questo viaggio, in cui già la sapienza narrativa di Franco Cardini conduce il lettore, si rimane incantati dai bei disegni di Maria Paola Forlani: in un intreccio di segni fitti, Maria Paola «propone il suo Giardino, [...] e la fiaba nascosta nella storia emerge in tutta la sua chiarezza grazie al tocco dell’artista» (dall’Introduzione di Don Franco Patruno).
Andrea Nascimbeni