«L’eterno futuro dell’inizio». E cala il silenzio dentro l’anima. Come pioggia in qualche punto del deserto. Che fa apparire ancora più arida l’area non bagnata dal cielo.
Ho letto Il moto apparente del sole – Storia dell’infelicità di Flavio Ermini Moretti&Vitali Editori nel maggio scorso. L’ho letto con la matita in mano e un temperino in tasca su una spiaggia in quel periodo deserta del litorale romano. La matita finì di consumarsi a metà lettura e non ne comperai un’altra. Tra sottolineature frecce punti esclamativi e interrogativi parentesi tonde quadre graffe uncinate e cerchi e ellissi e note ai margini, quel libro di 300 pagine si presenta ora per la prima metà come aggredito da mille belve e per il resto come sfogliato dal vento.
Di tutto mi è rimasto un respiro largo. Profondo. Difficile a dirsi.
Tanti anni fa feci un sogno. Se così vogliamo chiamarlo.
Era notte fonda e io stavo immobile al buio aspettando un segno. Ero a un bivio della mia esistenza in cui la scelta s’impone. Una scelta senza ritorno. Che avrebbe coinvolto altre vite alcune delle quali innocenti.
Desideravo annientarmi in tutto quel buio. Invece.
Un nucleo di materia si accese e dal vuoto primordiale partì a velocità istantanea diretto a me, assumendo per via i contorni e poi le forme palpitanti dei segni zodiacali mio e delle persone strettamente connesse alla mia decisione. Un leone un toro un ariete, e fra essi un cerbiatto che come un nastro d’oro li avvolgeva nei suoi giri gioiosi e liberi e incatenanti.
Tutta quella luce mi restò negli occhi anche dopo che l’ebbi aperti nel buio della stanza. Un senso di quiete e di fatalità m’invasero e io presi la mia decisione: dovevo tornare indietro per tentare di ripartire ancora, non c’era altro da fare.
«La lingua muta delle cose». «I nostri margini scuri». «Votarsi all’interminabile quando tutto da tempo è terminato».
«L’antro e le terre circostanti». «Il fronteggiarsi della vita con la morte». Questi e innumerevoli altri punti di luce mi sono venuti incontro dalle pagine dell’ultima opera di Flavio Ermini. Restando infissi in me come terapeutici aghi.
Resto a riflettere.
Maria Lanciotti