È di una gravità estrema, purtroppo non senza precedenti, che l’intera classe dirigente del PD, a parte qualche lodevole eccezione, sia oggi totalmente assente e colpevolmente inerte sul tema della giustizia, che pure dovrebbe almeno interessare un partito che, in quanto di sinistra, ha a cuore le sorti dei più deboli, dei derelitti, degli immigrati, dei tossicodipendenti, ma anche le sorti dell’Italia come sistema paese che da anni sta perdendo posizioni in tutte le graduatorie che ne definiscono la capacità competitiva, attrattiva e il grado di civiltà. Incredibilmente su tutto questo sta calando una cappa di silenzio che non risparmia nemmeno uno dei candidati alla segreteria del partito.
I referendum radicali, su giustizia, carceri, immigrazione, droga, finanziamento pubblico ai partiti, 8 per mille, divorzio breve, così come la battaglia per amnistia e indulto, uniche misure in grado di ottemperare alle pressanti richieste europee per far rientrare lo Stato italiano nella legalità entro maggio 2014 (come richiesto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha definito “inumani e degradanti” i trattamenti riservati ai detenuti in Italia), tutti temi che dovrebbero far parte dell’agenda della sinistra, sono silenziati quando non osteggiati e lasciati all’iniziativa strumentale, disperata ma previdente, di Berlusconi. Addirittura alla festa democratica di Cortona, che ospitava un intervento di Pippo Civati, il banchetto per la raccolta di firma è stato costretto ad allontanarsi. Di fronte a tutto ciò Civati e gli altri fanno spallucce concedendo il campo all’avversario che ha intelligentemente firmato anche quelle proposte referendarie più indigeste avendole avversate nell’azione di governo di questi anni.
Ripeto da tempo che il punto non è essere per forza favorevoli alla separazione delle carriere o alla responsabilità civile dei magistrati ma di permettere una discussione e un’espressione di voto costituzionalmente garantito su questioni aperte fin dal passaggio dal sistema inquisitorio a quello accusatorio nei nostri processi (Emanuele Macaluso ha ricordato sull’Unità la posizione di Giovanni Falcone favorevole alla separazione) e mai risolto per via parlamentare. Il punto è se vogliamo mantenere il livello di degrado insopportabile e disumano delle nostre carceri e una giustizia di classe che permette ad alcuni attraverso cavilli legali di usufruire di una delle 180.000 prescrizioni annue mentre molti altri marciscono negli istituti penali in attesa di giudizio.
Il punto è se vogliamo continuare a impedire alle imprese di insediarsi nel nostro paese per timore di incappare nelle maglie di una giustizia civile con milioni di processi pendenti e di una burocrazia ostile e incomprensibile (Matteo Renzi, che giustamente insiste molto su questo aspetto, come mai non coglie l’occasione e l’importanza di una simile battaglia referendaria?).
Il punto è se crediamo che nell’annosa contesa fra giustizialisti e garantisti a oltranza, spesso a senso unico, non vi sia spazio per una forza politica di sinistra che faccia della legalità la sua stella polare, nella convinzione che solo attraverso una sua strenua difesa passi la tutela della dignità delle persone secondo il dettato costituzionale, soprattutto nell’epoca della frammentazione e dell’atomizzazione individuale della società, con la costruzione di un’identità riconoscibile per il Partito Democratico e una speranza per il nostro paese. Rimangono ancora tre settimane per raccogliere le firme per i 12 referendum cosa aspettiamo ad allestire i banchetti nelle nostre feste democratiche?
Enrico Borg
(da Arcipelago Milano, 11 settembre 2013)