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Laicità e diritti civili
03 Ottobre 2006
 
Non è semplice addentrarsi nei difficili rapporti e mediazioni tra fede e cosa pubblica e dell’attualissimo problema della laicità e dei diritti civili.
A noi qui non interessa parlare dell’argomento da un punto di vista religioso (e cosa di poco cristiano ci possa essere in certe posizioni), visuale che tuttavia potremo approfondire in un prossimo numero de Il libro volante, ma parleremo da un punto di vista rigidamente laico e forzatamente aconfessionale.
Laicità non è un concetto astratto: è il rispetto di ogni fede religiosa personale e allo stesso tempo è il rispetto verso chi ha un credo diverso dal nostro o non crede in nulla.
Dove si deve porre lo Stato in questo contesto? In una posizione assolutamente neutra. Uno Stato democratico deve prendere atto che esistono delle credenze religiose al suo interno e disinteressarsene a meno che non diano luogo a comportamenti che possano turbare gravemente il rispetto delle proprie leggi o possano minare il contratto sociale. Il proclamare una religione come religione di stato rischia oggettivamente di rompere il contratto sociale tra lo Stato (cioè l’unione di tutti i cittadini) e una parte della comunità che fa riferimento a quel comune contratto (cfr. Rousseau) ma che non si riconosce nella religione ufficiale.
Lo Stato, pertanto, deve lasciare la più ampia libertà religiosa ai suoi cittadini (a meno che, come già accennato, certi riti non contrastino apertamente con la legge) senza favoritismi su base religiosa. È pur vero che numerosi pensatori laici e anticlericali hanno fatto costante riferimento alla divinità. Possiamo citare un esempio su tutti: Giuseppe Mazzini. Ma il pensatore genovese non avrebbe mai forzato qualcuno verso la conversione alla sua religione e ne è prova evidente la sua amicizia e il suo scambio intellettuale con ebrei e protestanti oltre al fatto di essere morto proprio in casa di ebrei a Pisa. La sua educazione giansenista, che si poneva in più marcata autonomia verso i dogmi della Chiesa romana, ha sicuramente agevolato questo approccio laico.
Vedendo l’attuale situazione italiana, sembra di ragionare attraverso splendide utopie. La Chiesa cattolica è radicata in Italia per tutta una serie di ragioni storico-culturali che qui solo accenniamo e la cui trattazione esaustiva sarebbe lunga e impegnativa. È chiaro che la cultura cattolica è uno dei segni distintivi del nostro paese nell’arte, nell’urbanistica delle nostre città e persino nel nostro modo di pensare. Non è un caso il fatto che tutti i maggiori personaggi del nostro Risorgimento sono cattolici, pur vedendo nel potere temporale l’ostacolo non solo alla indipendenza nazionale ma anche alla piena libertà spirituale della Chiesa nella propria opera pastorale. L’Italia monarchica liberale sarà un regime di quasi completa separazione tra Stato e Vaticano (quest’ultimo garantito nella propria libertà dall’equa legge della Guarentigie, sempre rifiutata dal pontefice che si proclamava prigioniero dello Stato italiano in Vaticano senza, tuttavia, commuovere più di tanto le altre potenze cattoliche) a tratti caratterizzato anche da un forte anticlericalismo come da una sincera volontà conciliativa da parte del governo italiano (cfr. Scoppola) ma è ad ogni modo sintomatico il fatto che uno dei più amati sindaci di Roma del periodo (e forse in generale) sarà un mazziniano di ferro, Ernesto Nathan, di origine ebraica, vissuto come un affronto dalla corte papale. Con il concordato del 1929, che (secondo la propaganda sia fascista che vaticana) ricompone la questione romana, il cattolicesimo diventa religione di stato. Il regime fascista riconosce i propri limiti semi-totalitari e per consolidare il suo blocco di potere cede consistenti fette di potere e di privilegio alla Santa Sede con il trattato internazionale che istituisce lo Stato della Città del Vaticano e con il Concordato. Fascismo e Chiesa cattolica (e l’analogia con la Spagna franchista è evidente) consolideranno lo status quo esistente in funzione “antisovversiva”. La Chiesa cattolica pur così fortemente compromessa con il fascismo nel dopoguerra si seppe riproporre come forza reazionaria, capace di contrastare lo spettro del comunismo. Nel 1947 l’Assemblea costituente recepisce i Patti Lateranensi nell’articolo 7 della Costituzione repubblicana che viene approvato grazie a un accordo tra democristiani e comunisti nonostante le feroci polemiche dei partiti laici. Togliatti cercherà di rendersi presentabile davanti al Vaticano (cosa che non gli riuscirà vista la successiva scomunica di Pio XII ai comunisti - sommo monumento all’ingratitudine terrena) e si giustificherà dicendo di non aver voluto rompere l’unità tra le masse popolari in nome della stabilità del sistema democratico italiano, spiegazione in parte condivisibile viste le forti tensioni di quegli anni e la fragilità della nostra Repubblica e che comunque fruttò al Partito comunista l’adesione di molti cattolici cristiano-sociali e dissidenti.
Le modifiche craxiane al Concordato, nonostante alcuni miglioramenti concernenti soprattutto l’idea di non rendere più obbligatoria l’ora di religione nelle scuole, non cancella i vantaggi della Chiesa cattolica. Anzi, con l’otto per mille gli garantisce una rendita economica sicura e allettante (grazie anche a uno scandaloso sistema di ripartizione) che dedica solo in minima parte a opere caritatevoli o comunque socialmente utili. Soldi ovviamente sottratti allo Stato. Non è affatto un attentato alla libertà religiosa dire che il clero si deve sostenere con soldi di libere donazioni dei fedeli e non con fondi che dovrebbero essere dedicati ad altre attività.
In questo contesto possiamo certamente possiamo certamente dire che il vulnus alla laicità dello Stato italiano e al suo contratto sociale è uno dei principali motivi dell’arretramento del nostro paese sui temi dei diritti civili.
Il rinnovato attacco a diritti già acquisiti come il divorzio e l’aborto e il lavoro di interdizione ai nuovi diritti come la scelta di accedere alla fecondazione assistita o di formare una famiglia diversa dallo stereotipo tradizionale in una coppia di fatto stanno a testimoniare una inaccettabile ingerenza del potere ecclesiastico nei confronti di quello civile. Premesso che ognuno può pensare ciò che vuole sia in positivo che in negativo sugli argomenti sopra citati va sottolineato che questi diritti non costituiscono in nessun caso un obbligo per nessuno né coinvolgono in negativo altre persone fisiche (con la notevole eccezione dell’aborto su cui comunque ribadisco il sacrosanto diritto di scelta della donna). Il cittadino scrupolosamente rispettoso dei precetti di Santa Romana Chiesa (un caso sempre più raro anche nelle masse considerate cattoliche) non divorzierà, non procederà con l’aborto in nessun caso, non ricorrerà alla fecondazione assistita e non costituirà una coppia di fatto. Ma in uno stato laico dovrà lasciare la facoltà a chi non è cattolico o a chi vive il cattolicesimo in modo meno dogmatico la facoltà di pensarla in maniera diversa. Sicuramente questa idea sarà tacciata di relativismo e verrà detto che rischiamo di cancellare le tracce della nostra cultura religiosa con l’intenzione di equiparare tutte le confessioni davanti allo Stato. È evidente che queste proposizioni sono strumentali e dimostrano una debolezza strutturale del pensiero neo-integralista oltre ad essere in netto contrasto con lo spirito e la lettera della predicazione di Gesù Cristo. Lo spauracchio di colonizzazioni culturali e religiose da parte di altre culture (come quella musulmana) con cui abbiamo sempre convissuto nel Mediterraneo non dovrebbe terrorizzare una società laica e moderna e con una gloriosa storia alle spalle come quella italiana. Lasciamo a sedicenti filosofi (autodefinitesi “atei devoti”) che nel nostro malato sistema politico sono arrivati a ricoprire la seconda carica dello stato, l’onore di ricoprirsi di ridicolo con queste affermazioni. Purtroppo questi personaggi hanno uno scarso senso del ridicolo e sono allettati dalle eterne ma anche molto terrene ricompense della gerarchia vaticana che ben poco si occupa della cura delle anime.
 
Andrea Panerini
Direttore della rivista Il Libro Volante
(da Il Libro Volante, n. 1, 2006)

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