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Il Libano ha da insegnar qualcosa per l'Afghanistan 
Perché non sono andata alla manifestazione del 30 settembre a Roma
03 Ottobre 2006
 

Ero a Roma il 30 settembre e poiché abito molto vicino a dove si è conclusa la manifestazione per il ritiro immediato delle truppe italiane dall'Afghanistan, e contro la spedizione in Libano, ho incontrato un certo numero di compagni e compagne che conosco da una vita e che mi chiedevano amareggiati perché non ci fossi andata. Non ero e non sono d'accordo con la piattaforma, anche se so che è detta e scritta e agita con una coscienza politica che in molti aspetti considero vicinissima a me. A allora? come mai? non sono mai stata una che per aderire a una cosa vuole che ci siano tutte le parole che ama.

Provo a spiegarmi, per me stessa, e per chi guarda con affettuoso rimprovero i miei atteggiamenti.

 

Credo si debbano rinnovare le nostre categorie analitiche, e questa è una affermazione generale che mi sento di fare ogni volta, di fronte a discorsi che mi suonano poggiati su categorie note conosciute studiate, ma ripetute in un modo che mi pare -ho detto a Taranto il 29 settembre - un po' “superstizioso”, avrei voluto dire: come amuleti o portafortuna, insomma non razionali, ma solo rassicuranti. Lo dico sempre di fronte a grandi categorie interpretative che a mio parere bisogna conoscere amare, ma saper anche considerare non più adatte a leggere il presente: per questo si cerca di fare la Sinistra Europea, per meno non vale la pena, per operazioni di ricucitura, rattoppo, ricamo non serve darsi tanto da fare, anche se sono lavori utili. Meno di tutto serve ripristinare una ortodossia, le scelte moderate che lottiamo non sono nate per caso, o per tradimento: i problemi che mostrano sono reali, bisogna trovare altre soluzioni, non ripetere le proposte di decenni fa.

Inoltre le nuove analisi vanno costruite attraverso il metodo del consenso cioè cercando le approssimazioni successive verso un nucleo di realtà convincente anche se non per tutti/e allo stesso modo, non credo si debba cercare l'unità, ma la molteplicità, non la sintesi che non ospiti varianti, ma ragioni diverse per concorrere allo stesso fine ecc. Vuol dire fare i conti fino in fondo col pensiero della differenza che mette in crisi tutti i monoteismi. E per raggiungere un buon consenso l'atteggiamento verso chi è di altra opinione è bene che sia modesto, sommesso, “repubblicano”, come sono solita dire, e non puro e duro, sprezzante. Scrivo proprio perché tale atteggiamento critico e sommesso ho riscontrato in chi, venendo dalla manifestazione mi ha incontrato.

 

Come base analitica, oltre a un atteggiamento consensuale, cioè di ricerca del consenso e modesto, cerco sempre di partire da esperienze note. E questa è la cosa che a me è tornata più utile. Mi spiego subito con esempi. Appena avviata la faccenda libanese, le parole più forti sono state usate verso gli Hezbollah, giustamente: ma ci siamo sbracciati a chiedere chi dovesse disarmarli ecc. Intanto la missione delle N.U. non ha il compito di disarmare, bensì di garantire la tregua, chiesta dai due popoli che si fronteggiavano sanguinosamente. Aggiungo che per fondare una analisi precisa si deve partire dall'uso corretto delle definizioni, anche tenendo conto di alcune non sempre sincere sottigliezze del diritto sulle quali però bisogna imparare a giocare e non invece sprezzantemente ignorare. Mi spiego con un esempio: quando ci fu il fenomeno del fordismo Lenin non disse né che era cambiato il modo di produzione, né che non era cambiato nulla, ma si occupò appunto del fordismo seriamente e con precisione, per poter attrezzare la lotta operaia.

Appena dunque ho cominciato a leggere i fatti, prima di tutto ho cercato di capire che cosa sono gli Hezbollah. Non sono Al Qaeda, sono proprio un'altra forma politica di risposta ad Israele e agli USA, meno ambigua di Al Qaeda sulla quale pesano sospetti di infiltrazioni e peggio, persino a proposito dell'11 settembre. Pensando agli Hezbollah mi è venuto in mente Hamas, che avevo a lungo esaminato, dato che a me erano famigliari quelli di Al Fatah, il partito di Arafat. Sapevo che era molto corrotto, e che Hamas era per questo espressione di altri pensieri politici: ma ambedue erano e sono formazioni politico-militari. Così Hamas come partito politico-militare prende parte alla lotta politica e vince le elezioni. Da questo punto in poi tende a diventare partito politico (e quasi basta). Un processo simile si verificò anche dentro la Resistenza: ogniqualvolta una forma politico-militare vince, si divide tra chi pensa di aver ottenuto il fine proposto e il maggior risultato possibile e passa all'azione solo politica, cioè che escluda l'uso della forza e delle armi, e chi invece vuole proseguire con le armi. Chi appoggia da fuori fa bene, a mio parere, a favorire il processo verso la politica e ad escludere l'uso delle armi. Almeno appena vede che si apre una strada che può essere percorsa appunto dalla politica, e che rende perciò non accettabile qualsiasi uso di armi. Per questo Hezbollah -per così dire- si disarma da sé e viene costituzionalizzato entro lo stato libanese, del cui governo fa già democraticamente parte.

 

Riusciamo a capire che cosa è utile fare da parte nostra? possiamo fare esempi con storie analoghe successe in Europa: non siamo affatto estranei da storie simili: ad esempio i Baschi e gli Irlandesi hanno formazioni politico-militari e nei loro confronti è stata rispettata rigorosamente la sovranità spagnola e inglese e non si sono invocate né condotte invasioni missioni liberatorie ecc. ecc. E ambedue sono sulla via di una risoluzione per la quale si è usata una pazienza internazionale lunghissima.

Dunque, se Hamas e Hezbollah debbono essere considerati interlocutori, ogniqualvolta si ha qualcosa da dire, perché non cercare che anche i Talebani si riconvertano in formazione politico-militare ed entrino nel discorso? la cosa è più difficile, dato che in Afghanistan formalmente c'è un governo regolare, e truppe di vari stati sotto nome Nato di occupazione, ma potrebbe essere l'Iran a consigliarli, dato che è in contatto con loro ed è capace di essere sufficientemente doppio e sottile.

 

Da ciò la mia assoluta incapacità di seguire altre strade che non siano a un dipresso quelle che ho già detto: cerchiamo di trascinare la questione afghana verso azioni simili a quelle del Libano, e -anche attraverso rapporti decenti con il governo iraniano- cerchiamo di indire una conferenza internazionale alla quale prendano parte tutti gli attori afgani, il governo, ma anche l'opposizione, Rawa, i Talebani e i contadini e le truppe stanziate sul territorio e l'Europa e trattiamo con gli Afgani e vediamo se si riesce a trasformare i militari in garanti della tregua o -meglio- a sostituirli con missioni di caschi bianchi, cioè con forze organizzate ma non combattenti. Insomma a me pare che giovi far lavorare la fantasia che è una bella forma della ragione, non ripetitiva né catechistica, che non recitare rosari ossessivi di parole d'ordine che non sono traducibili in nessuna azione politica.

 

Lidia Menapace


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