La politica dei contrari
Il Grande Fratello televisivo, iniziato nel Duemila e sospeso nel 2010, sebbene primeggi tra i reality show più esecrati e discussi, prende spunto dal romanzo 1984 di George Orwell, con il quale l’autore riprende il discorso contro il totalitarismo già affrontato nell’opera La fattoria degli animali, un luogo abominevole in cui campeggia la scritta: “Tutti gli animali sono uguali ma alcuni animali sono più uguali degli altri”.
In 1984 Orwell immagina una situazione planetaria divisa in caste, in cui il Grande Fratello, misteriosa identità cui nulla sfugge, ha il controllo sulla vita di tutti.
La popolazione, costretta alla povertà e all’ignoranza a causa di una guerra perenne, vive costantemente spiata, mentre viene propagandata la politica dei contrari, come per esempio: “la guerra è pace, l’ignoranza è forza”.
Secondo la volontà e il disegno del Grande Fratello – letterario e televisivo – il pensiero critico diventa reato, la storia non esiste se non quella confezionata da chi comanda, la neolingua – o il ‘nuovo parlare’ – diventa un mezzo espressivo che propone una nuova visione del mondo, cancellando le vecchie abitudini mentali e rendendo impossibile ogni altra forma di pensiero che non sia programmata dal ‘sistema’.
Analfabetismo di ritorno
Perduto il dialetto, non si parla più in lingua. Il linguaggio moderno, farcito di neologismi e anglicismi in continua espansione, perde il significato e la varietà dei vocaboli e si va rapidamente spogliando della sua ricchezza strutturale.
La comunicazione telematica si va a ripercuotere nel linguaggio quotidiano, sempre più telegrafico e ripetitivo, e col sistema automatico si perde la padronanza della scrittura che passa alla macchina, tanto che diventa una fatica improba scrivere anche una semplice lettera, in una sorta di analfabetismo di ritorno.
Come non ricordare il film Totò Peppino e la Malafemmina, e la sudatissima missiva per la Signorina? “Veniamo noi con questa mia a dirvi, adirvi una parola…”.
Ma le lettere non si scrivono più con carta e penna e non vengono recapitate dal postino: sostituite dalle mail, arrivano via rete.
Il Postino
L’ultimo film di Massimo Troisi – Il postino, tratto dal romanzo Ardente Paciencia di Antonio Skármeta – narra di Mario, un giovane disoccupato figlio di pescatori che vive su un’isola in cui trova asilo politico Pablo Neruda. Una fortuna per Mario, assunto come postino per recapitare la corrispondenza al poeta cileno, unico utente che riceve posta nell’isola in cui regna l’analfabetismo.
Mario si sposta in bicicletta, e quando arriva alla casa dove alloggia Neruda si ferma a riprendere fiato, e giorno dopo giorno, tra una parola e l’altra, entra in rispettosa confidenza col poeta.
Mario inizierà ad ascoltare e poi a leggere i versi di Neruda, e a provare il desiderio di fare anche lui poesia.
“Come… come si diventa poeti?”
“Prova a camminare sulla riva fino alla baia, guardando intorno a te”.
“E mi vengono le metafore?”
“Certo”.
Era il 1994. Massimo Troisi venne a mancare subito dopo la fine delle riprese del film, e si spiegò così quel suo volto sofferente, il faticoso arrancare per le viuzze scoscese dell’isola; sembrava fatto apposta, un abile trucco per dare al suo volto quell'espressione malinconica e pensosa che per tutto il film non lo abbandona e prelude ad un finale drammatico ed esaltante.
Così ci lascia l’ineguagliabile attore comico, capace di farci ridere fra le lacrime.
Clown Terapia
“Ridere fa buon sangue” è un proverbio antico la cui validità è stata ampiamente confermata dalla ricerca scientifica. I cardiologi sono concordi nel dire che la risata è un vero e proprio farmaco, con tanto di indicazioni: ridere per 15 minuti al giorno migliora la circolazione del sangue e previene le malattie vascolari.
Se ne parlava già nel film Patch Adams con Robin Williams, del 1998, storia di un medico americano che superata una brutta depressione si dedica alla ricerca di ciò che rende felice l’uomo, arrivando a mettere a punto la Clown Terapia, il famoso metodo che porta il suo nome.
Nei reparti pediatrici di diversi ospedali tale metodo viene applicato grazie all’apporto di tanti volontari, tra cui artisti professionisti riuniti in cooperativa, che si prestano a fare i pagliacci per vedere il sorriso fiorire sulle faccine dei piccoli degenti.
La risata è contagiosa, attacca operatori e ricoverati, si espande negli altri reparti e riesce, con la forza della comune allegria, a contrastare gli effetti della malattia.
Ma ridere è diventato raro come farsi un bel pianto, e contro la patologia dell’‘occhio secco’, sempre più frequente a causa di vari fattori, fra cui inquinamento e stress, si ricorre alle lacrime artificiali.
Stress
“Fermate il mondo voglio scendere” era la frase finale di un carosello pubblicitario per un amaro, pronunciata da un personaggio perseguitato dalla iella, e poi il titolo di un film con Lando Buzzanca del ’70, per la regia di Giancarlo Cobelli.
In quegli anni tante auto giravano con la scritta adesiva fermate il mondo voglio scendere, più una moda che un reale desiderio di cambiare marcia.
Si correva troppo, la giostra girava sempre più veloce e l’euforia cresceva fino a diventare affanno. Entrò nell’uso comune la parola stress, che significava tutto e niente. Se qualcuno si lamentava dicendo “sono stressato”, si sentiva rispondere “prenditi un Cynar”, come suggeriva una vecchia pubblicità televisiva, quando già nel ‘60 si era capito quanto la vita moderna fosse logorante.
‘Una sindrome di adattamento’ – così viene anche definito lo stress – che si manifesta nei modi più impensati e provoca le reazioni più strane: toglie il sonno ma non la fame, fa venire la gastrite e l’emicrania, il mal di schiena e il prurito, l’herpes e l’asma, e cerca in tutti i modi di rovinarti l’esistenza.
E mentre si dovrebbe rallentare, lo stress induce a forzare l’andatura, alleato di questo tempo nevrotico che l’ha generato.
Dalla giostra non si scende, e il mondo non si può fermare.
E forse non si avrebbe nemmeno voglia di rinunciare alle comodità che il circuito offre e di cui si è dipendenti.
Ci si adatta, magari con l’aiuto della farmacologia, che riporta e mantiene i valori del sangue nei parametri ritoccati ogni tanto dalla Sanità Internazionale. E per non farsi cogliere da eventuali attacchi di panico e insorgenza di fobie, sempre in agguato, si prende un volo Low cost con l’illusione di lasciarsi tutto alle spalle, incrementando il mercato dell’inquinamento.
Inquinamento
“Quando le api scompariranno, all’uomo resteranno solo quattro anni di vita”, teorizza Albert Einstein, Premio Nobel per la fisica (1921).
Diversi anni fa un immenso sciame di api si riversò a Piazza di Spagna a Roma, seminando il panico. Accorsero i vigili che sotto la guida di un esperto apicoltore approntarono un gigantesco alveare e al rientro delle api, al tramonto, portarono a termine l’operazione ‘catturasciame’. A farle impazzire, tra gli altri fattori inquinanti, le onde elettromagnetiche emesse dai cellulari, che in prossimità degli alveari impediscono loro di rientrare.
La scomparsa delle api è già in atto, secondo certi studi sembrano essersi ridotte della metà, dato confermato da chi pratica la campagna e può verificare il fenomeno.
Dal lavoro delle api non dipende solo la produzione di miele e cera, ma l’equilibrio naturale globale, che si riflette sull’alimentazione e sulla salute.
Le api, è stato accertato, comunicano fra loro scambiandosi precise informazioni attraverso la danza codificata; restando a corto di nettare – prediligono per il loro nutrimento fiori selvatici e di campo, tigli e acacie – le api potrebbero cessare la danza del ventre e sparire, come già gli asinelli e le lucciole, o migrare in cerca di luoghi ancora ospitali. Esattamente come fanno gli uomini, sempre in fuga e in cerca di nuovi approdi.
Maria Lanciotti