Come ogni sera arriva dalla Siria il bilancio delle vittime civili cadute in Siria. Oggi il conto si è fermato a 30; è un bilancio che, da 29 mesi, si aggiorna inesorabilmente. Bambini, donne, giovani, anziani che trovano la morte senza colpa alcuna e la cui atroce fine sembra non aver scosso nessuno. Bombardamenti, spari di cecchini, torture, sequestri, privazioni, stragi con armi bianche; nulla ha scosso la diplomazia internazionale che, misteriosamente, sembra essersi svegliata solo lo scorso 21 agosto, il giorno del massacro con armi chimiche alla periferia di Damaso. Oggi i tg parlano di Siria, si parla di inizio di una guerra… Si parla di bombardamento a stelle e strisce, di intervento americano. Poi si parla di mancanza di prove e il teatrino della politica internazionale propone performance ipocrite in politichese. Ma in Siria si muore; si muore da quasi tre anni. Il popolo è stremato, stanco; non si aspetta nulla da nessuno. Di certo non vuole altre bombe. Il popolo siriano vorrebbe solo vivere. I figli del popolo siriano vorrebbero vivere.
Come il piccolo Nabil, che ho incontrato ad Aleppo. L’ho incontrato mentre facevo riprese nel cuore della città vecchia; riprendevo distruzione e macerie. Così Nabil ha detto di volermi mostrare una cosa importante “che ha distrutto bashar al assad” e mi ha pregato di aspettarlo. È entrato in casa ed è uscito con una piccola scatola; dentro la scatola c’era un gattino di pochi giorni. Mi ha detto che la mamma è stata uccisa da un bombardamento insieme agli altri cuccioli. L’unico sopravvissuto era quel gattino di cui si sta occupando con tanto amore. Nabil è un piccolo uomo, un cuore puro che cammina. Il suo gattino è invece il simbolo dell’innocenza, di quegli esseri viventi, umani e animali, costretti a morire sotto le bombe.
Asamae Dachan
(da Diario di Siria, 31 agosto 2013)