Con la riforma migratoria castrista e i vantaggi concessi dal governo statunitense, molti cubani che vivono negli USA tornano al paese di origine solo per fare viaggi di piacere
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Non si deve criticare una persona espatriata perché torna a vedere la sua terra natale. Nel caso degli esiliati cubani, sappiamo che molti, dopo la loro uscita da Cuba, avvenuta 10, 20, persino 40 anni fa, giurarono di non tornare e hanno prestato fede a tale giuramento. Altri, qualche volta sono tornati; alcuni per rivedere i familiari più stretti, in certi casi molto anziani; altri, semplicemente, per constatare lo stato di rovina in cui versa il quartiere dove nacquero e per visitare i parchi e i cimiteri dove si trovano i loro ricordi e i loro cari. Conosco casi di persone che "avevano bisogno" di contemplare un'altra volta quelle montagne e quel mare che li hanno visti crescere. Tutto questo, compreso molti altri esempi simili che non ho citato, è umano.
Ma ultimamente, grazie alle nuove leggi migratorie approvate dal castrismo e ai vantaggi concessi dal governo statunitense, molti nostri compaesani che, paragonati a coloro che sono rimasti sull'Isola, vivono vantaggiosamente nel paese del Nord, viaggiano verso la loro terra d'origine solo per piacere, per “fare turismo”, per “fare la bella vita” e mostrare i loro dollari, i loro vestiti, le loro possibilità. Questi cubani esiliati, soprattutto a Miami, vanno a Cuba con il solo scopo di “godersi la vita”, frequentando locali notturni, spiagge e centri di divertimento... sfruttando tutto quel che trovano di positivo in simili luoghi. Tutto è piuttosto economico per le loro possibilità e in ogni caso alla portata dei loro redditi. Malgrado ciò, quando chiesero asilo politico negli Stati Uniti dichiararono che l'Isola era un luogo invivibile, che erano perseguitati, o qualcosa di simile. In pratica, questi cubani emigrati sfruttano il lato positivo degli Stati Uniti e – per alcuni giorni – il meglio della loro terra natale, nonostante la situazione di degrado in cui versa.
Alcuni dei cubani esiliati che si comportano così fanno parte di quel contingente di compatrioti che – nei luoghi dove vivono – si fanno passare per i più coraggiosi, i più scherzosi, i portabandiera di un popolo che ama il divertimento, i migliori amanti, i migliori ballerini, i più intelligenti e ingegnosi del pianeta. Di fatto, sono soltanto dei caproni.
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A Cuba, invece, abbiamo un nuovo modello di compatriota. Per oltre mezzo secolo la maggior parte dei cubani, dagli alti dirigenti fino ai venditori al dettaglio e agli amministratori di farmacie, si sono dedicati a investire molte ore lavorative per portare a termine ruberie e piccole truffe. Non deve sembrare strano che dopo la crisi totale che investe il paese dal 1991 e la depenalizzazione del dollaro, decisa alcuni anni dopo, spuntasse un nuovo tipo di cubano: quello che non “muove un dito”, ma attende solo la manna dal Nord, dove vivono i familiari e dei buoni amici che lo mantengono.
Queste persone di solito sono giovani o adulti in età lavorativa. Il loro ragionamento è semplice: perché lavorare, anche nelle attività private recentemente liberalizzate dal governo, se con il denaro inviato dai familiari che vivono all'estero campano senza problemi? A Cuba esiste da oltre 40 anni la Legge Contro il Vagabondaggio, applicata con severità e persino con crudeltà – l'ho visto con i miei occhi – negli anni Settanta. Questa legge non è stata derogata, ma in realtà non viene più applicata.
– Mi hai portato qualche extra? – È stato il saluto di un cugino a un maestro che si è recato recentemente a Cuba per far visita ai familiari. Ha detto “extra” perché questo zio manda regolarmente al cugino e agli altri parenti i dollari che servono per sopravvivere.
– Zio Alberto non manda niente da quasi tre mesi.
Zio Alberto è un altro zio che, secondo quel che mi ha raccontato lo zio che è stato da poco in visita a Cuba e che è amico mio, non invia rimesse con regolarità.
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Che cosa fare in casi simili? Credo che non possiamo fare niente. Soltanto analizzare il risultato.
Félix Luis Viera
(da Cubaencuentro, 27/08/2013)
Traduzione di Gordiano Lupi