Daniele Lembo
Le portaerei che non salparono
IBN Editore, pagg. 120, € 14,00
Tra gli anni ’20 e l’inizio della guerra, la Marina aveva più volte sottolineato la necessità di navi portaerei, necessità ampiamente soddisfatta invece dalla Francia, dall’Inghilterra, dal Giappone e dagli Stati Uniti. La conferenza di Washington aveva infatti stabilito le tonnellate di naviglio che ciascuna nazione poteva costruire. Nonostante la quantità assegnata all’Italia fosse di 60.000 tonnellate (come alla Francia), il nostro Paese si presentò al conflitto completamente sprovvisto di navi portaerei.
Enorme influenza su questa decisione del governo ebbe il parere negativo dell’Aeronautica, convinta che la posizione centrale dell’Italia nel Mediterraneo fosse sufficiente come base aerea per velivoli, che potevano così dirigersi verso qualunque bersaglio.
Purtroppo la collaborazione dell’Aeronautica fu scarsa. Quest’ultima non destinò parte delle sue forze come “aviazione da marina”, come fece invece l’Inghilterra, ma, avendo un comando a parte, inviò aiuti aerei solo quando richiesti e disponibili, ovviamente solo dopo aver soddisfatto le proprie esigenze strategiche.
Solo a conflitto già iniziato, quindi, saranno avviati i lavori di allestimento delle navi portaerei Aquila e Sparviero che comunque non saranno terminate in tempo utile. L’Aquila rimase nei cantieri navali di Genova non completata, mentre lo Sparviero arrivò all’armistizio senza che i lavori avessero preso consistenza.
Nonostante la evidente contrarietà del regime alla costruzione di portaerei, la Marina fu prodiga di studi e progetti durante tutto il periodo antecedente al conflitto.
Questo lavoro, oltre a ripercorrere le vicende storiche della Regia Marina, illustra i vari progetti e le caratteristiche degli stessi.
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