«Dove esiste la fame non esiste la vita»… «Le onde del mare si frangevano sul muro di granito, screpolato e distrutto in più punti […] dove si faceva forte il sapore del mare, i palazzi colorati di rosa e di giallo mostravano alla forza del vento un antico splendore». «Palme altissime si lasciavano scalare da bambini in cerca di noci di cocco».
Quando ci si strappa un dolore dal petto e si cerca di ricomporlo nella scrittura, esso diventa condivisione e “traduzione” destinato alla memoria collettiva. La parola liberata dalla prigionia di una “precisa scansione di genere”, diventa circostanziale riferimento dell’anima e contenitore logico di emozioni, come suggeriva Borges. È così che l’Avana è diventata anche mia e anch’io vorrei essere come lei incompiuta e donna dal trucco sempre in disordine, mosaico non finito a cui aggiungere tessere d’ipotesi e sogni.
«Mi resta dentro una grande voglia di rivedere il tramonto più bello del mondo, con un sole color pastello che scompare tra il Malecón e l’oceano. Spero che quando potrò tornare non sia diversa dalla città imperfetta e incompiuta che ho tanto amato».
La mia terra, Gordiano, è Mogadiscio. Le guerre l’hanno rasa al suolo, ma quel mare, io me lo sogno ancora. Gli animali. Le piante. Il cieli bleu e i volti splendidi delle donne somale. Quando ti ho incontrato e ho letto per la prima volta i tuoi libri, la mia nostalgia l’ho messa nella tua valigia.
Ho conservato tutti i testi e una coralità di voci suonano l’amore e la disperazione, il sorriso e la rassegnazione di un popolo. Da Gutiérrez leggo «…la città cade a pezzi in silenzio/ la fame sull’asfalto e l’unto/ Nel mio cuore passa la disperazione di tutti/ questa poesia è una manciata di vetri rotti/ che stringo/ e mi dissangua le mani». Ognuno si fa protagonista della sua accorataggine in una mirabile e multipla partitura.
E tue sono le parole:
ho sempre avuto un solo desiderio… fartelo volar via dalle labbra quel maledetto sigaro.
Il passato cade nell’abisso se non è rivisitato e riportato alla luce dall’anima. Nei libri che custodisco su Cuba tanti autori respirano appartenenza e nostalgia, persino le buche delle strade sulle quali traballano i taxi, sembrano solchi di cuore nei quali s’inciampa correndo verso ideali che, pur spesso infranti, hanno lasciato, intatte, le albe, i tramonti, i colori, gli odori, la musica e la gente e i poeti che conosciamo per le tue traduzioni.
Perché ti ho scritto?
Perché è una sera strana e caldissima. Ho sfogliato con i miei figli gli album dell’Africa e mi ha invaso una nostalgia fortissima che ha raggiunto Cuba, i tuoi testi e le poesie che non nomini mai e gli occhi di Yoani e poi perché ritengo che tu abbia lasciato in eredità ai lettori la storia dell’isola.
Intendo storia nel senso più ampio di tradizione, letture, confronti, percorsi che ridanno dignità e voce anche da «dietro le sbarre».
Grazie
patrizia