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Patrizia Garofalo. A Gordiano 
In questa calda sera (avanera)
Ferdinando Franguelli
Ferdinando Franguelli 
25 Luglio 2013
   

«Dove esiste la fame non esiste la vita»… «Le onde del mare si frangevano sul muro di granito, screpolato e distrutto in più punti […] dove si faceva forte il sapore del mare, i palazzi colorati di rosa e di giallo mostravano alla forza del vento un antico splendore». «Palme altissime si lasciavano scalare da bambini in cerca di noci di cocco».

Quando ci si strappa un dolore dal petto e si cerca di ricomporlo nella scrittura, esso diventa condivisione e “traduzione” destinato alla memoria collettiva. La parola liberata dalla prigionia di una “precisa scansione di genere”, diventa circostanziale riferimento dell’anima e contenitore logico di emozioni, come suggeriva Borges. È così che l’Avana è diventata anche mia e anch’io vorrei essere come lei incompiuta e donna dal trucco sempre in disordine, mosaico non finito a cui aggiungere tessere d’ipotesi e sogni.

«Mi resta dentro una grande voglia di rivedere il tramonto più bello del mondo, con un sole color pastello che scompare tra il Malecón e l’oceano. Spero che quando potrò tornare non sia diversa dalla città imperfetta e incompiuta che ho tanto amato».

La mia terra, Gordiano, è Mogadiscio. Le guerre l’hanno rasa al suolo, ma quel mare, io me lo sogno ancora. Gli animali. Le piante. Il cieli bleu e i volti splendidi delle donne somale. Quando ti ho incontrato e ho letto per la prima volta i tuoi libri, la mia nostalgia l’ho messa nella tua valigia.

Ho conservato tutti i testi e una coralità di voci suonano l’amore e la disperazione, il sorriso e la rassegnazione di un popolo. Da Gutiérrez leggo «…la città cade a pezzi in silenzio/ la fame sull’asfalto e l’unto/ Nel mio cuore passa la disperazione di tutti/ questa poesia è una manciata di vetri rotti/ che stringo/ e mi dissangua le mani». Ognuno si fa protagonista della sua accorataggine in una mirabile e multipla partitura.

E tue sono le parole:

ho sempre avuto un solo desiderio… fartelo volar via dalle labbra quel maledetto sigaro.

Il passato cade nell’abisso se non è rivisitato e riportato alla luce dall’anima. Nei libri che custodisco su Cuba tanti autori respirano appartenenza e nostalgia, persino le buche delle strade sulle quali traballano i taxi, sembrano solchi di cuore nei quali s’inciampa correndo verso ideali che, pur spesso infranti, hanno lasciato, intatte, le albe, i tramonti, i colori, gli odori, la musica e la gente e i poeti che conosciamo per le tue traduzioni.

Perché ti ho scritto?

Perché è una sera strana e caldissima. Ho sfogliato con i miei figli gli album dell’Africa e mi ha invaso una nostalgia fortissima che ha raggiunto Cuba, i tuoi testi e le poesie che non nomini mai e gli occhi di Yoani e poi perché ritengo che tu abbia lasciato in eredità ai lettori la storia dell’isola.

Intendo storia nel senso più ampio di tradizione, letture, confronti, percorsi che ridanno dignità e voce anche da «dietro le sbarre».

Grazie

patrizia


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