A Palazzo Cosmo di Pieve di Cadore si è aperta una mostra dossier, un racconto inedito, una nuova e suggestiva lettura di una tela fondamentale della fase giovanile del pittore cadorino, tra opere di riferimento, richiami iconografici, documenti e multimediale. L’esposizione diventa un’indagine analitica di un’opera chiave degli inizi della carriera del grande Tiziano Vecellio, riletta con una potente lente di ingrandimento nei suoi aspetti storici, stilistici, compositivi e iconografici.
La mostra “Tiziano, Venezia e il papa Borgia”, che la Fondazione centro studi Tiziano e Cadore ha promosso fino al 6 ottobre 2013 in occasione dei suoi primi anni d’attività, insieme al paese natale del grande artista Pieve di Cadore, curata da Bernard Aikema e organizzata da Villaggio Globale International, vuole essere il racconto, assolutamente inedito, di quella notissima e fondamentale opera, conservata al Museo voor Shone Kunsten di Anversa, in cui Tiziano dipinge Il vescovo Jacopo Pesaro e papa Alessandro VI davanti a San Pietro. Un’opera che ora si conosce meglio grazie alla recente pulitura, alle preliminari indagini e agli studi di Beverly Louise Brown; che è presentata in Italia per la prima volta in occasione degli eventi tizianeschi di questa stagione. Ogni capolavoro del Maestro è un caso a sé, ha una sua storia, dei suoi riferimenti iconografici, degli obiettivi programmatici; condensa memorie, esplora nuove vie, rivela maturazioni e pensieri in divenire, manifesta gusti, tendenze, volontà ma anche relazioni, incontri, dinamiche politiche e commerciali.
È il segno di un’epoca e del percorso artistico intrapreso.
La tela commissionata da Jacopo Pesaro al giovane Vecellio non è da meno e la mostra offre l’occasione, attraverso una decina di opere di puntuale riferimento e di confronto – dipinti, disegni e silografie, gemme e armature, documenti preziosi – non solo di riconsiderare più da vicino gli avvenimenti che ne circondarono la commissione. Se dunque l’opera in passato era stata considerata addirittura come la più antica realizzata da Tiziano e si era anche ipotizzato che il quadro fosse stato dipinto in diverse fasi o, magari, iniziato da Bellini e ultimato da Tiziano – considerata la presunta discrepanza qualitativa tra la figura di San Pietro e quella degli altri due personaggi – gli esami eseguiti hanno dimostrato che la tela è stata prodotta in un’unica soluzione ed è paragonabile, sotto il profilo tecnico e dei materiali, alle opere di Tiziano del 1511 – 1513 circa: eseguita su una fitta tela ad armatura semplice, con supporto coperto da un sottile strato di gesso sul quale Tiziano ha abbozzato la composizione con carboncino.
Di grande suggestione è la presenza in mostra, per affinità e per differenze, con un’altra straordinaria opera di Tiziano, come Tobiolo e l’Angelo, eseguita per la famiglia Bembo già in Santa Caterina a Venezia (ora alla Gallerie dell’Accademia), che ripropone una analoga ripartizione chiaro-scuro ma che, da sempre datata tra 1509 e il 1515, ha rivelato ora una storia ben più complessa: con due versioni sottostanti di cui una documentata ed evidentemente nota ai contemporanei che pare anteriore al 1511 – perché vicina ai modi di Sebastiano del Piombo – e con la versione attualmente visibile (la terza) che risulta databile addirittura agli anni Venti, probabilmente modificata (con l’angelo addirittura girato) rispetto alla precedente, per soddisfare le richieste della committenza e le necessità imposte per la collocazione.
Tante novità, che nell’insieme contribuiscono a gettare nuova luce sull’attività giovanile di Tiziano. Le suggestioni e i rimandi offerti dall’esposizione sono del resto molteplici.
Jacopo Pesaro commissiona a Tiziano l’opera per celebrare e ricordare la sua “vana” vittoria sui Turchi a capo delle galere pontificie, avvenuta nel 1502 con la conquista dell’isola di san Maura. Probabilmente lo decide alcuni anni dopo l’evento e in ogni modo il quadro non è un ex voto commissionato per mantenere una promessa, non ha una funzione ufficiale ne è destinato a rimanere in uno spazio pubblico, come sarà invece per la famosa “Pala Pesaro” richiesta sempre a Tiziano nel 1519 (ultimata nel 1526) per l’altare della Chiesa dei Frari.
Il fatto è che, genialmente, Tiziano fonde insieme immagini della tradizione veneziana tratte dalle monete e dai teleri votivi con lo scopo di proiettare Jacopo in un ruolo al di sopra della sua effettiva posizione nella società veneziana, richiamandosi all’iconografia dogale.
La presenza in mostra del dipinto di Vincenzo Catena Madonna con il Bambino e i santi Marco e Giovanni Battista, e il doge Loredan commissionato da Loredan come immagine votiva da donare per Palazzo Ducale – opera probabilmente nota a sia a Tiziano che a Pesaro – esplicita questi riferimenti, pur nell’arretratezza psicologica dei personaggi di Catena.
D’altra parte la grandezza di Tiziano e la ragione della dicotomia visiva tra la rigidità arcaica del santo e l’atteggiamento più naturalistico di Jacopo e del papa sta proprio nel voler fondere una sequenza narrativa – la benedizione dello stendardo militare dei Pesaro effettivamente avvenuta – con la tradizionale iconografia devozionale.
Nel quadro di Anversa metà dello sfondo è occupato dalle galere papali che non sono impegnate nella battaglia ma sono in partenza. Non si commemora la vittoria ma la benedizione messa in risalto dal drappo d’onore che esalta il rosso vivo della tunica di san Pietro, bilanciando l’espandersi dei voluminosi panneggi delle vesti dei due supplicanti che presentano il vessillo.
Maria Paola Forlani