Milano – In questi giorni raccolgo opinioni sul caso Palatucci da parte di studiosi e testimoni della Shoah che sono anche miei cari amici, come Thomas Gazit e Wolf Murmelstein. Quest'ultimo mi scrive: «In quell'epoca solo persone ritenute affidabili dal regime nazifascista potevano aiutare, ma non potevano fare pubblicità delle proprie azioni o lasciare documentazione burocraticamente perfetta. Nel Settembre 1944 l'Unione dei Rabbini Ortodossi di USA e Canada ha preso l'iniziativa giusta di contattare il Consigliere Federale Svizzero Jeam Marie MUSY, noto per aver buoni contatti nel III Reich. Non ha potuto fare molto ma, secondo me, se non ci fossero stati i suoi tentativi, Terezin pure sarebbe stato liquidato, ecc. ecc. Era un tentativo che avrebbe dovuto fare già prima Riegner del Congresso Mondiale Ebraico. Schindler ha potuto aiutare un gruppo proprio perché iscritto al partito nazista e ottimo camerata di bevute con quella gentaccia; nel film c'è la scena dove dice che “è pericoloso se si dice in giro che da lui si sta bene”, appunto era necessario il segreto assoluto. Poi ci sono i casi di aiuti indiretti: A Vienna il Prof. Victor Christian (aveva il grado di Maggiore SS ed era Pro-Rettore dell'Università) facendo valere le qualifiche scientifiche di Benjamin Murmelstein gli ha, indirettamente, fatto avere l'incarico di dirigere a Terezin la catalogazione di circa sessantamila libri razziati nelle biblioteche ebraiche. Era un aiuto indiretto, inconsapevole, che ha contribuito alla salvezza sia nostra personale che di altri che sapevano giusto lavorare su questi libri. Nel 1940 era grande impegno dei dirigenti ebrei italiani di ottenere che i profughi non venissero espulsi – riconsegnati alla Gestapo – ma mandati in internamento da qualche parte in Italia. Quei funzionari di polizia che hanno disobbedito all'ordine di espellere i profughi erranti mandandoli invece in qualche comune dell'Italia del Sud hanno dei meriti che certamente non potevano documentare con cura notarile».
Comprendo perfettamente questa posizione. È difficile, a posteriori, ricostruire l'operato di un funzionario pubblico che operasse dall'interno delle istituzioni nazifasciste per sottrarre alla più efficiente macchina di morte di tutti i tempi quante più possibili vittime designate. Lasciare scritti, documenti, evidenze e testimonianze di tale “tradimento” avrebbe significato l'arresto, la deportazione o anche l'esecuzione seduta stante, per quel “Giusto”. Da parte mia, tuttavia, credo che si debba perseguire comunque la verità, affrontando anche anche gli eventuali danni che essa potrebbe portare con sé. Forse è vero che il revisionismo sugli eroi fa il gioco del negazionismo, come affermano alcuni studiosi e attivisti per la Memoria. Tuttavia è proprio la verità a garantire la preservazione della memoria di ciò che avvenne quale eredità fondamentale per le generazioni future. La verità, con le sue montagne di capelli e di cenere, con i milioni di martiri archiviati dal museo memoriale Yad Vashem di Gerusalemme, con le preziose testimonianze dei sopravvissuti.
Mi è piaciuto molto l'atteggiamento di Avner Shalev, Dan Michman e degli altri ricercatori dello Yad Vashem, quando li ho conosciuti a Gerusalemme, nel 2006. Per loro, la ricostruzione della verità storica è assolutamente necessaria in ogni progetto di studio della Shoah o di educazione all'Olocausto. Ho fiducia anche nel lavoro del Centro Primo Levi, che utilizza metodologie molto scrupolose. Una cosa è certa: i “Giusti fra le Nazioni” furono molto pochi, così come oggi sono pochi gli amici dei diritti umani, mentre tante persone, troppe, spendono parole e vanterie, senza far nulla di concreto o addirittura facendo danni. Alla base dell'essere giusto ci deve essere amore per il prossimo e sacrificio. Non dobbiamo temere chi cerca la verità e tutti insieme, con le diverse conclusioni e comunque l'analisi di documenti e testimonianze, possiamo contribuire a trovarla, sempre.
Riguardo agli studi sulle figure dei “Giusti fra le Nazioni”, oltre che fondare ogni valutazione sui residui documentali e testimoniali, è importante mantenere obiettività ed equilibrio, prima di esprimere qualsiasi valutazione. È sempre sbagliato iniziare questo tipo di analisi etichettando esseri umani come “eroi” o “aguzzini”. Fra i due poli, ci sono anche persone di buona volontà che, pur non essendo animate costantemente dal fuoco del coraggio e della dedizione al prossimo, cercano di seguire la propria coscienza, quando possibile. Forse la verità, nel caso di Palatucci, si trova nelle stesse parole del questore, che definì il proprio operato, in una lettera ai genitori, con parole sobrie: «Ho la possibilità di fare un po' di bene e i beneficiati da me sono assai riconoscenti. Nel complesso riscontro molte simpatie. Di me non ho altro di speciale da comunicare».
»» Il caso Palatucci riaperto dal Centro Primo Levi (Corriere della Sera)