Girare lo sguardo. Guardarsi attorno. Guardare dai finestrini di un bus o di un treno i paesi, le città, le campagne, la riva del mare. Sembrerebbero i gesti più naturali per chi si trova a viaggiare in qualche luogo. Se vogliamo, basta anche affacciarsi alla finestra di casa o uscire a fare quattro passi per rendersi conto che ci sono tante cose da osservare intorno a noi. C'è sempre qualcosa di nuovo dietro l’angolo. Eppure per i giovani d'oggi pare non ci sia niente all'infuori dei loro cellulari e dei loro “giocattoli” informatici. A tutte le ore del giorno e della notte non fanno che armeggiare coi telefonini inviando messaggi o guardando quelli ricevuti, da mattina a sera trafficano con i tablet facendo scorrere parole e immagini a velocità impressionante. Neppure durante i viaggi, in treno, in autobus o in aereo, distolgono lo sguardo dai loro piccoli schermi luminosi. Che importa se c'è intorno una verde campagna? Che importa dei colori delle pianure e delle colline? Che importa della catena di monti che si staglia all'orizzonte? Che importa della bellezza della città in cui si trovano? I nostri ragazzi preferiscono fotografarsi tra loro per inviare le foto agli amici che sono lì accanto, a poche decine di metri. Un mondo virtuale nasconde alla loro vista quello reale, quello nel quale viviamo e con il quale dobbiamo fare i conti di abitanti, di cittadini o semplicemente di esseri umani. Un mondo che ha tanto bisogno delle nostre forze migliori.
A me pare che questo straniamento della gioventù abbia in sé qualcosa di preoccupante. Le nuove tecnologie consentono grandi possibilità di conoscenza e di comunicazione ma vanno poste al servizio di una crescita culturale e sociale (non oso dire morale) che purtroppo non è facile riscontrare nei nostri giovani. So bene che questi discorsi rischiano di apparire datati e moraleggianti e allora mi richiamo a voci ben più autorevoli della mia. Già´alcuni decenni or sono il filosofo austriaco Karl Popper, estendendo alle scienze sociali i suoi “criteri di falsificazione” denunciò i pericoli che la televisione (in quel tempo internet era ancora nel libro dei sogni) poteva a suo avviso costituire per la formazione della gioventù e per una equilibrata crescita culturale della società. Pier Paolo Pasolini fece della denuncia dei disvalori della televisione uno dei cavalli di battaglia delle sue ultime polemiche giornalistiche. Filosofi e sociologi dei nostri giorni propongono i più diversi motivi di riflessione sulla diffusione planetaria dei nuovi strumenti di comunicazione. E non mancano certo quelli che avanzano più di una riserva su internet e dintorni. Personalmente non intendo schierarmi con i detrattori delle nuove tecnologie, le quali oltretutto consentono di dare voce anche a chi voce non ha, magari perché impedito da un regime che fa del controllo dell'informazione il suo fondamento. Nessuno più delle dittature teme la libertà d'espressione.
Nell'anno di grazia 2013 ben vengano i mezzi e gli strumenti che permettono a tutti, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, di aprire una finestra e di far sentire la propria voce, però... c'è sempre di mezzo un però. Torniamo così ai nostri ragazzi che diventano grandi navigando perpetuamente nel vasto mare dell'informatica. Favoriti a mio avviso da una certa pigrizia intellettuale degli adulti, pensano che si possa una buona volta accantonare quello che per secoli è stato il mezzo irrinunciabile per la formazione culturale dell'umanità: il libro. Oggetto raro e preziosissimo fino all'invenzione della stampa (nelle biblioteche medievali i libri venivano legati con catene perché nessuno li portasse via) e poi sempre più diffuso e alla portata di tutti, il libro sembra conoscere ora, per la prima volta dopo millenni, una vera e propria crisi di identità. C'è chi arriva a metterlo in discussione di fronte alla presunta superiorità dei mezzi informatici. Altri, più ponderatamente, sostengono la necessità di integrare i diversi mezzi, informatici e cartacei, al fine di conseguire le migliori opportunità educative e culturali.
Ora è evidente che schierare libri e internet gli uni contro gli altri è quanto di più inopportuno si possa fare. Io sono cresciuto con i libri e so che dei libri non potrò mai fare a meno, mentre so che posso tranquillamente fare a meno dell'informatica. Ma è un discorso che vale per me, e per me soltanto. Del resto come potrei io sottovalutare o ancor meno disprezzare questi nuovi strumenti di comunicazione con i quali i giovani, e non soltanto loro, interagiscono in continuazione?
Il discorso è complesso, e lo sarà sempre di più nei tempi a venire. Emergono tra l'altro inattesi elementi di preoccupazione che già suscitano discussioni a tutti i livelli. Si parla ad esempio di strumenti informatici “oculari” (proprio così), ovvero di mini-computer da inserire in appositi occhiali che permetterebbero di visualizzare come su di uno schermo i dati di qualsiasi persona che ci troviamo davanti, della quale sarebbe possibile conoscere all'istante nome, cognome, età, stato civile, professione, ecc. Nessuno potrebbe sfuggire, così si dice, a questo micidiale occhio informatico. Non sto parlando di qualcosa di avveniristico o di immaginario. Già si sono fatte e si stanno facendo prove di questo tipo, con risultati che mettono i brividi soltanto a pensarci. Forse non sfuggiranno a questo terribile occhio orwelliano neppure il conto in banca o la fedina penale degli ignari passanti. Riusciranno le autorità statali a impedire la corsa verso questi assurdi traguardi? Naturalmente ce lo auguriamo tutti, ma sappiamo anche che quando si mettono in moto macchine di questo tipo, è poi assai difficile fermarle. In ogni caso notizie come queste fanno correre un brivido giù per la schiena. Perché se così fosse andremmo verso un mondo che non è quello che abbiamo conosciuto finora. Verrebbero meno un po' tutti i criteri sui quali abbiamo basato da sempre i rapporti sociali.
Già più di una decina di anni fa uno studio condotto da una università americana preconizzava una società nella quale la forza dei computer avrebbe potuto sostituirsi man mano alle capacità fisiche, intellettuali e morali degli uomini e relegare quindi l'essere umano a un ruolo secondario, per non dire marginale, sul pianeta terra. Converrete con me che questi discorsi mettono un poco di angoscia. Ancora una volta l'umanità, come già di fronte al pericolo nucleare, si troverebbe sull'orlo dell'abisso e dovrebbe pertanto riflettere sulla necessità di fermarsi prima del salto nel vuoto.
Mi rendo conto a questo punto di essere andato troppo avanti col discorso, specialmente da parte di uno che, come il sottoscritto, fino a poco tempo fa si divertiva a definirsi un “analfabeta informatico”, dal momento che quasi non sapevo neppure che cosa fosse un computer. Vi dirò, amici lettori, che tra le altre cose ho sempre scritto a mano i miei articoli per il Gazetin, recandomi in redazione con il quaderno nel cassonetto della Vespa. Il nostro direttore Enea ha sempre avuto la cortesia di accogliermi e di mettersi a disposizione per trascrivere sul computer quello che io gli dettavo.
Ma poi, dagli un giorno e dagli un altro, un po´ i figli, un po´ gli amici (“ma come è possibile che tu sia ancora senza internet”?), un po´ la moglie, anch'io mi sono convertito sulla via di Damasco e mi sono dotato di un tablet. Con il paziente aiuto di un tutor ho cominciato a usarlo. Confesso che ho impiegato una intera settimana soltanto per imparare ad accenderlo e a spegnerlo, ma poi sono partito alla grande (si fa per dire) e adesso non mi ferma più nessuno. Però, come dicevo prima, c'è sempre di mezzo un però. Ad esempio, mi sembra di perdere molto tempo dietro a tante sciocchezze. È vero che ho a portata di mano un'infinità di dati e di informazioni ma è anche vero che a volte mi capita di chiedere una cosa specifica, una sola, e non c'è modo di averla. Infatti mister computer mi offre spesso mille informazioni correlate di varia natura, ma non quella della quale io ho bisogno. Insomma mi sembra di essere come un povero affamato e assetato che chiede soltanto un panino e un bicchiere di acqua e gli viene presentato un ricchissimo menù che però sta soltanto sulla carta. Ma niente antipasti, niente primi piatti, niente secondi né contorni. E quel che è peggio, niente panino. Ovviamente la carta del menù non si può mangiare. Allora me la prendo con me stesso che non so usare adeguatamente l'aggeggio e ritorno in tutta fretta alla GE 20 o alla fedele Garzantina (in casi estremi telefono a qualche collega esperto), ottengo finalmente l'informazione che mi serve e torno a sentirmi una persona felice.
Gino Songini
(da 'l Gazetin, giugno 2013)