Dopo oltre vent’anni sono tornata alla Wartburg e l’incanto del luogo si è ripetuto, perché, a parte la bellezza del paesaggio che questa fortezza sovrasta (i colli della densa e vasta Selva Turingia), esso irradia – nonostante l’enorme folla di turisti – suggestioni a cui è difficile sottrarsi. La fortezza si alza imponente sopra Eisenach, la città che diede i natali a Johann Sebastian Bach, che qui visse fino al decimo anno di vita, frequentando la stessa scuola di latino che aveva avuto fra i suoi discepoli, fra il 1498 e il 1521, anche Martin Lutero, allora ospite della famiglia patrizia dei Cotta, la cui abitazione, sede di un museo, costituisce una delle attrattive della città con il nome di Lutherhaus (Casa di Lutero).
Ma il nome del Riformatore è profondamente legato anche alla Wartburg: qui infatti Lutero, colpito da scomunica papale con l’Editto di Worms e salvato dai suoi protettori grazie a un finto sequestro, trascorse in incognito una decina di mesi (fra il maggio del 1521 e l’aprile successivo), e nella piccola stanza dove oggi è ancora conservato il suo scrittorio, tradusse dal greco in sole undici settimane il Nuovo Testamento, sforzandosi di rendere il testo biblico in un linguaggio che fosse accessibile anche ai ceti meno colti e dando così un impulso fondamentale all’unificazione dei vari dialetti tedeschi.
La ormai millenaria Wartburg non fu tuttavia solo, in qualche misura, la culla della lingua tedesca moderna; essa racconta anche la storia precedente, quella del Medioevo e dell’era cortese, di cui figura centrale in questa regione fu Santa Elisabetta (1207-1231), la figlia del re d’Ungheria andata sposa al langravio di Turingia, che, rimasta vedova, si dedicò in maniera esemplare a opere di carità. Cantano le sue lodi non solo i mosaici novecenteschi (appariscenti, ma anche un po’ pacchiani) della “Sala delle dame”, ma anche una serie di opere del pittore austriaco Moritz von Schwind (1804-1871) che ha immortalato la vita della santa, esempio di indefessa dedizione ad opere di misericordia.
Al pennello di Schwind si deve anche il grande affresco della “Sala del margravio” che illustra la gara fra i poeti del Minnesang (del canto d’amore del cavaliere per l’irraggiungibile donna amata), che, stando alla leggenda, si svolse proprio nel salone centrale della Wartburg nel 1206. Sängerkrieg (Tenzone fra i poeti) è chiamata un’antologia di testi medievali, raccolti a posteriori e firmati da poeti cortesi di lingua tedesca, davvero esistiti (come Wolfram von Eschenbach o Walther von der Vogelweide) o frutto d’invenzione (come Klingsor, personaggio del romanzo cortese Parsifal di Wolfram von Eschenbach, o Heinrich von Ofterdingen, protagonista dell’omonimo romanzo incompiuto di Novalis del 1802), che avrebbero partecipato a una gara svolta alla Wartburg per elogiare il mecenatismo generoso del margravio di Turingia.
L’influsso che questi motti e strofe esercitarono sulla letteratura e l’arte posteriori fu enorme, soprattutto a partire dal periodo romantico, caratterizzato nel mondo di lingua tedesca dalla riscoperta del Medioevo. Fra le numerose rivisitazioni del soggetto compiute da vari artisti nel corso dell’Ottocento, la più nota è certo quella proposta da Richard Wagner nell’opera Tannhäuser, il cavaliere che si sottrae alle lusinghe di Venere, la dea pagana della sensualità che vorrebbe trattenerlo nel suo mondo di edonismo e di lascivia, per essere alla fine redento dall’amore puro di Elisabeth. Tannhäuser incontra la giovane donna – che è in questo caso la nipote, non la sposa del margravio – appunto durante una festa alla Wartburg in cui si esibisce una serie di poeti. A tutta prima il cavaliere, che confessa di essere stato sul Monte di Venere (monte reale in Turingia, lo Hörselberg, ma anche simbolo di dissolutezza), viene condannato dal margravio per idolatria; solo grazie all’intervento di Elisabeth gli viene permesso di unirsi a un gruppo di pellegrini diretti a Roma, in modo che possa fare penitenza e chiedere perdono per i suoi peccati al papa. Ma il cavaliere torna senza aver ottenuto l’assoluzione papale; Elisabeth, disperata, muore invocando il perdono per l’amato che, abbattuto, si unisce a lei nella morte, dichiarandola santa. Soltanto dopo questo doppio sacrificio, il bastone pastorale del papa si riempie di germogli, a indicare che Dio ha redento i due innamorati, accogliendoli in paradiso.
Nell’opera confluiscono spunti tratti da diverse saghe e leggende che si amalgamano in una storia d’amore che vede in contrasto amor profano e amor sacro, come avviene anche in altre opere wagneriane successive. Wagner stesso diresse la prima nell’ottobre del 1845 al Teatro d’Opera di Dresda, dove a cantare la parte di Elisabeth fu sua nipote, Johanna Wagner. In seguito l’opera subì diversi rimaneggiamenti e oggi è spesso rappresentata nella versione parigina del 1861.
A quest’opera, la quinta compiuta e una delle più note del compositore tedesco, la Wartburg dedica in questo periodo una mostra (aperta fino al 31 marzo 1914) in occasione del bicentenario della nascita di Wagner. Stando agli allestitori della mostra, dove, oltre ad ascoltare brani dell’opera si possono ammirare costumi di scena e molti altri oggetti e documenti relativi alla fortuna nel mondo di Tannhäuser und der Sängerkrieg auf der Wartburg [T. e la gara dei poeti alla W.], Richard Wagner (nato il 22 maggio 1813) trovò ispirazione per questo suo lavoro durante una visita alla fortezza nel 1842, dall’alto della quale ebbe modo di osservare nella Selva Turingia il non lontano Hörselberg, il Monte di Venere.