18 Giugno 2013
Hanna Rosin
La fine del maschio
e l'ascesa delle donne
Cavallo di Ferro, 2013, pp. 336, € 14,90
Il titolo completo di questo saggio di Hanna Rosin, giornalista che vive a Washington, tra le fondatrici di un sito dedicato alle donne e alle questioni femminili, è La fine del maschio e l’ascesa delle donne. Detta così sembra una catastrofe, in realtà la Rosin analizza le trasformazioni sociali, culturali ed economiche degli ultimi decenni che hanno visto l’avanzare della donna nel mondo del lavoro, auspicando che questa situazione declinante del maschio non sia permanente, ma che si arrivi ad una maggiore capacità di adeguarsi ai tempi, ad una capacità di “riprogettare la virilità”, senza stare più a guardare al passato.
La recessione degli anni ’90 ha annichilito gli uomini e le cose non sono migliorate nel tempo, secondo la Rosin, inoltre la tecnologia «ha cominciato a lavorare contro gli uomini, rendendo obsoleti certi lavori muscolari e sempre più preziose quelle che i sociologi definiscono capacità comunicative».
Le donne sono diventate competitive nel settore della contabilità, gestione finanziaria, optometria, dermatologia, medicina genetica, patologia forense, legge, veterinaria, farmacia, nonché in tutte le professioni dedicate all’accudimento, come infermieristica, assistenza sanitaria domestica, assistenza all’infanzia, produzione alimentare. Se è pur vero che le posizioni dirigenziali restano ancora maggiormente nelle mani dei maschi, questo è «l’ultimo respiro di un’epoca che sta scomparendo». Secondo un’indagine OCSE del 2006, «il livello di accettazione di un Paese rispetto alla ascesa delle donne sta diventando uno degli indicatori di successo globale… con rare eccezioni, più grande è il potere delle donne, maggiore il successo economico». Più donne nei posti di lavoro, meno rischi in giro, perché prevalgono la cura e la prudenza, perché le donne portano sul posto di lavoro il loro bagaglio psicologico, perché accettano i lavori nuovi con entusiasmo, mentre gli uomini lo fanno con maggiore riluttanza. La trasformazione dei processi lavorativi trova più disponibile la donna, ma questa maggiore presenza femminile nel mondo del lavoro si ripercuote sulla vita di coppia. L’obiettivo del maschio e suo aspetto distintivo, infatti, era il mantenimento della famiglia, suoi punti fermi erano quelli di trovare una compagna, un buon lavoro e mettere su casa.
Ora, anche se un uomo è felice che la propria compagna abbia successo, senza realizzazione personale si sente umiliato, e questo può far aumentare la sua aggressività.
Sempre più frequenti stanno diventando negli USA i matrimoni altalena, dove i coniugi si danno tempi diversi per la propria realizzazione sul mercato del lavoro. Ma la presenza dell’uomo in casa mentre la moglie lavora non significa sempre che lui si faccia carico anche dei lavori domestici. È in aumento comunque il numero delle coppie della middle class dove la moglie mantiene il marito, anche se da parte dell’uomo non è facile adeguarsi a fare il casalingo e portare i bambini al parco a mezzogiorno.
L’indagine vede in diminuzione il numero dei matrimoni e in crescita quello delle mamme single che lavorano e mantengono un figlio, che non si sposano perché dovrebbero pensare anche al marito disoccupato.
Non sono tempi facili nemmeno per la donna che si realizza nel lavoro, perché, se ha figli, non può rinunciare al ruolo di madre, quindi c’è bisogno di arrivare ad orari sempre più flessibili. Vero è che «le donne sembrano essere in grado di fare meglio degli uomini più cose contemporaneamente», ma non hanno il dono dell’ubiquità.
Sembra che le nuove generazioni si stiano adeguando a questo cambiamento, con una diversa disponibilità alla collaborazione domestica, alla gestione dei figli, alla altalena del lavoro, mettendo sempre più da parte gli stereotipi della società a misura di maschio, tendendo a instaurare nuovi equilibri.
Marisa Cecchetti |