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Presentazione di Oasi criptate. Dialogo di Alberto Carollo con Patrizia Garofalo 
Presso CasaLorca, Piazzale Giusti, Vicenza, 30 maggio 2013
Ferdinando Franguelli,
Ferdinando Franguelli, 'Libera stampa'. Roma, 28 novembre 2012 
08 Giugno 2013
 

Vicenza – Si è svolta la sera del 30 maggio 2013 presso la sede dell’associazione culturale CasaLorcala presentazione della silloge di poesie Oasi Criptate (Edizioni Il Foglio, 2012). Ho avuto il piacere di dialogare ancora una volta con una carissima amica e una raffinata poetessa, Patrizia Garofalo, che ha incontrato il suo pubblico e, con la consueta generosità e sincerità, sia umana che artistica, ha condiviso con me e i partecipanti aspetti cruciali della sua vita interiore e del rapporto con suo padre, figura chiave in questa sua ultima fatica in versi. Colgo l’occasione per ringraziare l’associazione CasaLorca la squisita ospitalità e in particolare Emiliano Gregori che ha dato voce alle pagine delle Oasi.

Oasi criptate è un progetto collettivo; pure se Patrizia Garofalo ne è insieme chiave di volta e catalizzatore, stiamo parlando di una raccolta di versi scritta a sei mani. Mi spiace non aver avuto l’opportunità di vedere sedute accanto a me pure Margherita Gadenz e Nina Nasilli, impegnate in altri fronti. Per fortuna abbiamo avuto Patrizia, che si è occupata in prima persona della pubblicazione di questo testo per la collana di poesia di cui è curatrice, la “Orizzonti” delle Edizioni Il Foglio letterario.

Oasi criptate è un libello di breve respiro ma di grande peso specifico. L’antefatto dal quale ha origine la raccolta ce lo spiega Patrizia in una intervista che ha rilasciato a Matteo Bianchi per La Nuova Ferrara: «Avevo confessato a Nina e Margherita un mio profondo disagio. Una mattina ho trovato una mail che diceva: “Aggiungi due versi ai miei”. È iniziata così la nostra storia e la storia di questo libro che amalgama ricordi, presente e passato riemersi durante un caldo giugno di due anni fa». In quel periodo moriva il papà di Patrizia. L’incontro di queste tre autrici avviene sotto l’egida dell’empatia, dote di cui sono prodighe, pur nelle loro peculiarità, nelle loro differenze individuali e di poetica.

 

Parliamo del titolo della raccolta. Come è stato avallato Oasi criptate? Oasi come rifugio, ristoro per il viandante assetato di bellezza, realtà o miraggio? Criptate perché si riferisce a un codice, quello della poesia, messaggio “esclusivo” per chi si accosta alla parola poetica e viene ammesso al suo cospetto attraverso un percorso iniziatico, per differenti livelli di evoluzione sensibile? O ancora un luogo-non luogo, un locus amoenusdove l’anima possa dialogare con altre anime e ritrovare la propria autenticità?

Patrizia Garofalo: Alberto, possiamo parlare sia di oasicome luogo di sosta, ristoro, abbeveraggio dell’anima sia di oasi criptateintendendo luogo-non luogo ideale e protetto e nascosto e silenzioso dove poterci incontrare, originando un dialogo libero e senza mediazioni. È da un silenzio protrattosi per mesi che è nata questa silloge, entro la quale sostano e si rincorrono i pensieri di Margherita, Nina e miei. E solo quest’empatia ha permesso di veicolare per tutte e tre noi il ricordo del padre, il vuoto della sua scomparsa. Così è riportato nella sinossi «amore in forma di versi trascorre un’estate, mentre vita e morte si succedono come fanno le stagioni».

 

Una delle spinte sottese a Oasi criptate è, come abbiamo accennato, la morte di tuo padre. (…) «torna la poesia a consolare / il mantra del tuo abbandono». Il tema della “mancanza” e della “ricerca” è sfiorato anche dalle tue “compagne di viaggio”; mi chiedo e ti chiedo: quale artista non soggiace alla figura carismatica e per certi versi idealizzata di un padre biologico, spirituale o modello di perfezione a cui tendere? Te la senti di parlarci di quanto tuo padre ha influito nella tua formazione come donna e come artista? Quali sono stati i tuoi padri e modelli di riferimento nel tuo percorso espressivo?

P.G.: Mio padre moriva il giorno del mio compleanno, così come riportato nel testo di una mail che ho trascritto, e l’unica cosa che mi è stata subito chiara è che avrei cancellato il mio compleanno, la mia nascita e così è stato. Non voglio che il mio compleanno venga ricordato. Mi dispiace non poter aggiungere altro se non che la conflittualità che ha caratterizzato il rapporto con mio padre ha lasciato vuoto, senso d’abbandono, rabbia e dolore ma tu sai, perché mi sei molto amico, che io non sono capace di parlarne.

Nel mio percorso espressivo invece, oltre Borges sul quale mi sono formata e Caproni che mi destinò una magnifica prefazione all’uscita del mio primo libro, mi sento profondamente legata a Paolo Ruffilli. Abbiamo la stessa età ed è per me un referente essenziale. Poi tanti altri che amo e sento profondamente e ai quali mi lega amicizia e confronto continuo, da molto tempo. Ho una madre però, non biologica, che passo passo ha accompagnato la mia vita. È Jader Pojaghi: è stata mia insegnante di latino e greco al liceo; da allora non ci siamo mai perse di vista. La sua stima, il suo bene e la sua vicinanza mi hanno trasmesso l’amore per la vita, per la libertà, per la poesia. Mi ha telefonato stasera e giorno dopo giorno riconfermiamo il nostro volerci bene. Ho nei suoi confronti oltre che un grande amore una gratitudine immensa.

 

(…) «dal dolore scavi nel profondo del mare». Ne sa qualcosa, Patrizia Garofalo, del dolore, vissuto nella propria carne e celebrato pure nella sua precedente raccolta, Il Dio dell’impossibile. «E venni a patti con il Dolore / Disorientato ospite / Lo ebbi più volte a cena». Il Dolore è stato per te una forma di conoscenza, tuo malgrado, uno spogliarsi metaforico delle sovrastrutture, di tutti gli orpelli che rendono fatua e superficiale l’esistenza? Quanto il Dolore può forgiare la personalità del poeta e la sua espressione poetica? Quanto scrivere del Dolore equivale a una sorta di “esorcismo”, di catarsi o un pareggio dei conti, quasi una singolare legge del contrappasso?

P.G.: Sì, il dolore mi ha insegnato a dare un senso alle cose che valgono veramente, a spogliarmi dalle sovrastrutture, a “venire a patti”, parlargli, fronteggiarlo e mai rimuoverlo. Certamente la poesia mi ha aiutato moltissimo, come dire… è stata una modalità interlocutoria fino alla sintesi totale con la parola, sempre scaturita senza infingimenti. Sono pagine e pagine quelle che il dolore mi ha strappato, che forse non pubblicherò mai ma che spesso rileggo, rivivo, risento e amo come parte di me.

 

(…) «l’umidore del silenzio». Dare voce al silenzio è il titolo di una tua raccolta di poesie del 2008. «Il silenzio è ascolto di sé fino all’esplosione della scrittura», chiosavi qualche tempo fa. E ancora «Il silenzio / per chi lo ascolta è assordante» (in Il Dio dell’impossibile). Vorremmo sapere cos’è per Patrizia Garofalo il Silenzio, e come promuovi e veicoli questa “cultura del Silenzio” attraverso le iniziative dell’Accademia del Silenzio. Quanto peso ha il Silenzio nella tua poesia in quanto nume tutelare della parola, prima che venga pronunciata e suo carnefice quando, una volta emessa, la precipita nell’oblio?

P.G.: Le tante connotazioni che esso assume per me costituiscono il filo conduttore delle mie liriche. C’è sempre silenzio prima che io riesca a strappare da me un sentimento che venga contenuto dalla parola. Il silenzio è una condizione che mi consente una ricerca, un’ipotesi, una possibilità infinita, inarrestabile e senza tesi. Nel silenzio ho trovato me stessa, mi sono accettata e ho rifiutato di “essere conforme”.

Nel silenzio mi sono messa a fuoco e da esso ho ricavato voce per una comunicazione vera, sacrale, sintetica, connotativa e, in alcuni casi, reciproca e circolare.

Nel silenzio ho trovato splendore e strazio, vita e morte. Il silenzio assorda anche, e, a tal proposito, ricordo con molto piacere, Alberto, quanto scrivesti nel 2008 per il mio “dare voce al silenzio”. Esso si è spesso riempito di voci, ricordi, parole, immagini del mio passato… è incubo, urlo, solitudine ma anche compagnia e riposo. Il mio scrivere, ricco di ossimori, nasce dalla consapevolezza che tutto abbia il suo opposto anche nel momento stesso in cui viene agito.

Nel silenzio nasce un fiore e nel silenzio muore e rinasce la parola.

Poi ho conosciuto l’Accademia del silenzio di Anghiari ed è ad Anghiari e al Salento che sono grata della ricchezza interiore che ho provato in questi ultimi due anni.

 

Parlaci di com’è nata questa bella e intrigante copertina delle Oasi, elaborazione grafica di un’opera di Ferdinando Franguelli, Libera stampa.

P.G.: Ferdinando Franguelli è un pittore di Ancona che ho conosciuto a Caldarola, vicino a Macerata, durante una mostra sulla libertà di stampa. Il quadro con le rondini mi colpì subito e gli chiesi l’autorizzazione a poterne fare la copertina del libro. Ora siamo amici ed è nato fra noi un sentimento di sincera stima. Quando mio padre partiva, inviavo lettere con dentro una rondinella di carta; lui le rispediva e scriveva “bacio”. Io collezionavo i baci e ritagliavo nuove rondini. Ecco, è nata così… questa dolcissima copertina.

 

La poesia di Patrizia è anche una costante meraviglia delle cose e degli eventi; laica, viscerale e spontanea se dovessi attribuirle tre aggettivi. È una poesia fortemente radicata nella vita e nel suo percorso. È poesia dell’incontro, dell’alchimia che scaturisce dal sentimento di appartenenza, di quel “sentire insieme” ottimamente espresso in una tua riflessione in prosa che vorrei citare in parte – e ringrazio Pino Tossici per averla evidenziata in un suo scritto: «Io non so parlare di poesia come sostanzialità in sé ma come una sorta di costante meraviglia insita nelle cose e nelle anime e nei corpi e in tutto un mondo che, da laica, non mi sono mai sentita di affidare a Dio per percorrerlo solo come comparsa in attesa dell’aldilà. (…) Avverto l’altro da me, colgo il tempo, scelgo le relazioni, non sono simpatica; quando non scrivo e non studio, da sempre, mi piace cucinare, comprare oggetti inutili, curare il corpo, creare collane e parlare in dialogo di tutto, sono felice che gli amici sappiano che “ci siamo”, che il mio amore arrivi e tutto ciò è vissuto come una poesia , come un miracolo che si ripete ogni giorno». Vorresti commentare con noi questo passaggio?

P.G.: In realtà, Alberto credo che la poesia abbia il volto della vita. Io sono laica e credo tutto finisca in questo breve tragitto, attraversamento… chiamalo come vuoi e sento forte il desiderio di “riempire di pienezza” questo viaggio, lo avverto impetuosamente come una spinta alla quale non voglio mettere freno. Un giorno Paolo Ruffilli mi regalò un libro bellissimo, Razza bastarda di Cristina Masciola.

Una frase è restata indelebile: “sono di razza bastarda, vivo al congiuntivo in un mondo che vive all’indicativo”.

Alberto… grazie di cuore amico caro!

 

Grazie a te, Patrizia, per il dialogo sempre fecondo di stimoli e riflessioni che, ci auspichiamo, si trasmettano pure ai nostri lettori.

 

Alberto Carollo


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