03 Giugno 2013
Con prefazione di Els de Groen, questa nuova raccolta di Malini, Dichiarazione (Ed. Il Foglio), nelle sue cinque sezioni, torna a richiamare l’attenzione sui diritti umani, il mancato rispetto dei quali è alla base delle più grandi sciagure, emarginazioni, pregiudizi. Con questa convinzione, che Malini porta avanti da tempo con fermezza e senza possibilità di fraintendimento, l’autore si sofferma a spiegare ai più giovani, articolo per articolo, con un linguaggio adatto all’età, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che dal giorno della sua approvazione da parte delle Nazioni Unite quel lontano 10 dicembre 1948, continua ad assistere a infinite offese e trasgressioni. Una parte importante del testo è dedicata alle vittime della Shoah, perché è fondamentale la memoria per costruire il presente. Il passato deve essere conosciuto, non cancellato. Troppe divisioni, abusi, prepotente, violenze, troppo sfruttamento, strumentalizzazione, schiavitù, hanno luogo nel mondo, a dimostrare che c’è una certa umanità che non vuole imparare dalla storia, i cui crimini nega e cancellerebbe volentieri: “C’è chi non si inginocchia davanti alla memoria/perché non riconosce il proprio destino”. Ma se ognuno di noi, pur nel suo continuo costruirsi, è anche ciò che è stato, l’umanità non deve disconoscere il passato bensì riconoscerlo e porsi in maniera critica nei confronti dei suoi errori, perché non siano ripetuti.
Le parole di Malini non risparmiano niente agli occhi e al cuore. «vedo un’orda di scheletri, migliaia/ di scheletri che tendono le loro ossute braccia/ verso di me, implorando pietà e vita./ Pietà. Vita. Ma io, bagnato di sudore,/ posso solo guardarli,ma non posso aiutarli». Questo il lamento di chi, deportato a Treblinka, era stato costretto a partecipare alla edificazione delle camere a gas. La pace sembra un’utopia in questi versi che echeggiano Brecht: «Pace, dichiararono le Nazioni/ e poi aprirono il fuoco. La pace,/ dissero, si fa con gli eserciti,/ i carri armati,i cacciabombardieri/ e le navi da guerra». Ma i diritti umani sono diventati «codici di giustizia dimenticati». Lo sanno e lo sperimentano tutti gli emarginati, le vittime della violenza di ogni genere, i fuggiaschi sui barconi della speranza, chi muore di freddo e di inedia, i rom perseguitati, i diversi, gli ultimi della terra che vedono crollare i loro sogni prima di arrivare a mare: «Si muore nella sabbia/ quando gli occhi/ non cercano più il mare,/ mentre il khamsin cancella/ la memoria di casa/ e l’anima riarsa/ beve fuoco dal cielo».
Marisa Cecchetti
(da alleo.it, maggio-giugno 2013) |