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Roberto Malini. L'importanza del Gay Pride
30 Maggio 2013
 

Milano – Il Gay Pride è, nel mondo, la principale manifestazione delle istanze civili e della cultura omosessuali. Esso nasce in forma spontanea e dunque rappresenta perfettamente il caleidoscopico universo LGBT. Alle sfilate per l'orgoglio gay, infatti, prendono parte tanto le associazioni per i diritti LGBT quanto gruppi di cittadini e singole persone che desiderano esprimere le proprie idee di emancipazione, la propria cultura, la propria creatività. Mi succede spesso di ascoltare pareri fortemente avversi a questa forma di azione civile e culturale, sia da parte di eterosessuali che da parte di omosessuali, prevalentemente giovani e di destra.

Dagli anni 1970 a oggi ho sfilato in numerosi Gay Pride, in molte città italiane. Più volte mi sono accorto, con gioia, che un aspetto positivo dei cortei è sempre stato quello di aggregare gruppi di gay, lesbiche, transessuali, al di fuori delle associazioni. Questi circoli spontanei di “cultura gay” rappresentano l'unico supporto sociale per i giovani che vivono con angoscia una condizione di diversità. Da anni, quando i giovani si rivolgono alle associazioni, non trovano purtroppo punti di riferimento in grado di rispondere alle loro inquietudini. Nel tempo esse sono diventate strutture politicizzate prive di un'anima solidale: lo stesso problema che rende inutili sotto l'aspetto civile e umanitario tante associazioni per i rom e i profughi. La società civile è da rifondare e si deve partire dalla gente che fa rete in modo spontaneo. Noi difensori dei diritti umani di EveryOne Group abbiamo cercato a più riprese di creare, comunicando con le associazioni gay, una rete basata sui valori civili e sugli obiettivi. Tuttavia, la nostra organizzazione è stata vissuta nel 99% dei casi come una “concorrente” e l'opportunità di lavorare insieme si è rivelata irrealizzabile, qui in Italia.

Nei giorni scorsi ho chiesto alle principali associazioni LGBT presenti nel nostro paese di sostenere la nostra performance al Festival Internazionale di Poesia di Genova, che promuoverà attraverso l'arte l'importanza di battersi contro l'omofobia, in memoria di don Andrea Gallo e ricordando il suo messaggio. Come di consueto quando proponiamo loro di unire gli sforzi in vista di obiettivi superiori, non ho ricevuto alcuna risposta. Vale a dire: “Ah no! Se non parte da noi, se non è inquadrata in una politica di partito, nessuna iniziativa ci interessa!” Mi è dispiaciuto soprattutto la posizione di distacco da parte di alcuni amici attivisti, con cui ho condiviso momenti di impegno intensi e valorosi. Contemporaneamente, al contrario, Parlamento europeo, Consiglio d'Europa e organizzazioni LGBT all'estero sostenevano l'iniziativa “Ladri di Fuoco, Trafficanti di Sogni” e proponevano di operare insieme.

Tornando al Gay Pride, don Gallo lo amava, perché lì si incontrano i suoi “ragazzi gay spauriti” e le sue “principesse”. Chi è ostile al Gay Pride è spesso ostile anche al matrimonio gay. Un giovane omosessuale mi ha scritto proprio oggi: «Perché non ci inventiamo qualcosa di diverso, tipo “omomatrimonio”, così non facciamo incazzare gli eterosessuali 'sminuendo' il loro». E poi mi ha fatto un esempio davvero triste: «Se propongo di battezzare il mio cane, tutti i cattolici si scandalizzano. Non è la stessa cosa per il matrimonio omosessuale?». Gli ho spiegato che il matrimonio è un'istituzione e l'accesso a un'istituzione, in una civiltà paritaria, deve essere consentito a tutti gli esseri umani. Solo così si può ottenere giustizia sociale. Poi, in àmbito civile, ogni gruppo e ogni individuo è libero di ridefinire il diritto essenziale. Il problema riguarda proprio il mancato rispetto dei diritti umani fondamentali, che si concreta nello specifico nel diritto di accesso a un'istituzione. Ho aggiunto una considerazione ovvia, ma dovuta: Con tutto il rispetto per ogni essere vivente, non puoi paragonare persone ad animali, altrimenti cade il concetto stesso di 'diritti umani'.

L'immaginario del Gay Pride – che piaccia o no – recupera quello del periodo antecedente alla persecuzione nazifascista contro gli omosessuali e soprattutto di una Berlino in cui la liberazione e l'emancipazione sessuale trovarono l'acme. Quel momento importante di civiltà e libertà si esprimeva nel Wissenschaftlich-humanitäres Komitee (comitato scientifico-umanitario) e soprattutto nell'Institut für Sexualwissenschaft. È un immaginario di libertà, che trovava allora espressione legata alla cultura e invitava il mondo alla conoscenza e al rispetto delle diversità. Non a caso locali di cabaret culturale frequentati da gay come l'Eldorado o il Monbijou – con i loro formidabili spettacoli en travesti – furono chiusi non appena i nazisti pervennero al potere e i loro gestori e artisti perseguitati.

Il giovane contestatore del Gay Pride e del matrimonio gay ha manifestato, sempre nel corso del nostro odierno scambio di idee, una certa paura per le parole: «Se usiamo parole diverse da quelle che usa la maggioranza eterosessuale, forse ci lasceranno in pace. Altrimenti continueranno a chiamarci 'finocchi', senza neanche sapere perché si usi il nome di un ortaggio per offenderci. A proposito: come mai si adopera quel termine?». Sull'uso del termine “finocchio” – gli ho risposto – si sono scritte tante sciocchezze: perché il finocchio ha il gambo vuoto, perché il finocchio si riproduce senza impollinazione, per l'uso di semi di finocchio al fine di coprire l'odore dei corpi bruciati nei roghi inquisitori (uso ipotizzato senza alcun fondamento documentale). In realtà, fin dall'antichità, il nome dell'ortaggio era usato per esprimere lo scarso pregio di un oggetto o di una persona. “Finocchio” era l'uomo senza onore (come dire che... non valeva “un cavolo”!). I semi di finocchio erano le spezie più a buon mercato e dunque di scarso valore nella comune reputazione, come – purtroppo – gli omosessuali, discriminati ed emarginati. Ecco alcuni versi danteschi apocrifi del 1300: «E quei, ch'io non credeva esser finocchi, / ma veri amici, e prossimi, già sono / venuti contra me con lancie, e stocchi».

Chi è critico verso il Gay Pride lamenta spesso l'aspetto provocatorio di certe espressioni e non si interroga sul perché durante le sfilate alcuni partecipanti amplificano le componenti sessuali della diversità. Sono come le bandiere rosse e i pugni chiusi nei cortei dei movimenti per i lavoratori. Sono vessilli le parrucche multicolori, le protesi che alludono alla genitalità, le ampie porzioni di pelle scoperta, le connotazioni erotico-dualistiche. Gli emblemi della liberazione sessuale sono espressioni di libertà in senso assoluto e chi le contesta, non deve far altro che tenersi lontano dalle sfilate variopinte del Pride, rispettando in ogni caso chi sfila correndo spesso grandi rischi per manifestare un valore fondante della civiltà. Questo immaginario rutilante e allusivo – va ripetuto – recupera quello della Berlino della libertà sessuale, funestata dai nazisti. Il mio giovane interlocutore di oggi si pone quasi ossessivamente una domanda: «E se fosse proprio la 'spudoratezza' del Gay Pride ad attrarre contro la comunità gay gli strali dell'omofobia?». Anche in questo caso, non è stato difficile rispondergli: Nei paesi integralisti gli omosessuali si nascondono, vestono con sobrietà, non sfilano per chiedere la parità sociale eppure vengono perseguitati, torturati, uccisi.

Il Gay Pride è la principale azione civile per ottenere il rispetto dei diritti LGBT, proprio perché recupera il pensiero e l'espressione del momento più importante dell'emancipazione della gente LGBT, immediatamente prima delle persecuzioni del Triangolo Rosa. È assodato che dove non esiste il Gay Pride, i diritti dei gay sono costantemente violati ed è per questo che il movimento gay pone il corteo in cima alle priorità nella lotta contro l'omofobia. Nei paesi dove il Gay Pride si è maggiormente affermato, i diritti dei gay sono proporzionalmente riconosciuti. Su queste basi, ritengo che si debba tutelare il Gay Pride quale espressione di civiltà e quale forma rappresentativa, in tutto il mondo, della cultura gay.

 

Roberto Malini


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