Ancora sulle strade
di collegamento agli alpeggi
previste nel PGT di Tartano
Sul numero di marzo del Gazetin, poi ripreso dal quotidiano La Provincia del 25 marzo scorso, Alfredo Mazzoni, nel merito delle osservazioni di critica al PGT di Tartano, dichiara la sua approvazione alle scelte dell’Amministrazione comunale che ha messo in programma una rete di strade agro-silvo-pastorali, le cosiddette VASP.
Poiché mi sto accorgendo che i commenti, man mano apparsi sulla stampa locale, riflettono una approssimazione dovuta anche alla difficoltà di reperire le osservazioni, ora consultabili presso il Comune, ritengo necessaria una breve premessa che chiarisca ciò di cui si sta parlando.
In un contesto di continua diminuzione della popolazione residente (da 1.200 negli anni ’50, ai 192 del 2011), degrado e abbandono dei maggenghi e di gran parte degli alpeggi, del taglio dei prati ridotto ad attività marginale ed in mancanza di indicatori che lascino intravedere un’inversione di tendenza, il Programma di Governo del Territorio di Tartano, prevede una rete di non meno di 50-60 km di strade agro-silvo-pastorali di cui non si comprende la necessità: si vorrebbero collegare in quota (tra i 1900 ed i 2000 m.sm.) 27 alpeggi di cui solo 7 ancora caricati ed in discreto stato; non solo, ma sovvertendo la logica che una strada dovrebbe sempre salire dal basso; qualunque caricatore d’alpeggio lo capisce!
Questo, in estrema sintesi, si contesta.
Ciò che nelle osservazioni al Piano si richiede, sostanzialmente, è che le strade previste siano giustificate da necessità comprovate e compatibili con la legislazione in vigore; in particolare che vengano prospettate solo laddove servano all’attività agricola esistente, non a incentivo di una ipotetica possibilità al momento inesistente.
La Provincia ed il Parco delle Orobie Valtellinesi, sul PGT presentato, dovranno pronunciarsi in modo vincolante per il Comune.
Non userò termini come “Ambiente”, “Ambientalismo”, “Sviluppo Sostenibile”… che ho avuto l’impressione Mazzoni consideri parolacce. E nemmeno di squilibrio idrogeologico dei versanti che si verrebbe a creare in conseguenza delle opere previste.
Mi importa riflettere sul taglio economico-filosofico che Mazzoni dà al suo intervento ed al principio che se ne deduce: un obiettivo di sviluppo economico legittima di per sé qualunque intervento.
Dice testualmente Mazzoni: «È l’economia che manda avanti il mondo. La politica può solo compiere scelte o... limitare i danni»; «[...] se quel che scegliamo oggi ci pare giusto, tra qualche decennio potrebbe rivelarsi un errore...»; «Ai contadini importa non avere mucche con belle corna ma mungere tanto latte».
Appartengo all’idea che debba la Politica essere guida all’Economia, non esserne subalterna; una politica economica deve assecondare o stimolare le tendenze più utili socialmente e scoraggiare o frenare quelle negative.
Un criterio per giudicare se un’iniziativa economica è utile o meno è quello della necessità.
Ricorderò sempre quell’anziano contadino che indicandomi una baita lontana, su per un versante impervio, mi confidò che lui sapeva quanto pesava; lì per lì non capii…
Ma voi pensate che quel contadino si sarebbe sfiancato a portare sulle spalle sacchi e sacchi di cemento da 50 kg su un sentiero da capre, trascinare e sollevare massi, per costruire una baita che non sapeva se gli sarebbe servita?
Ecco il punto.
L’avvento dei mezzi e delle attrezzature moderne ha reso infinitamente meno faticoso e più redditizio il lavoro materiale, manuale in precedenza e può portare a sottovalutare l’effettiva necessità di un’opera; il costo del lavoro poi rende man mano difficile, trascurabile ed infine, secondo un processo mentale inevitabile, esteticamente superfluo completare “ad arte” qualcosa che si è intrapreso.
Non solo; il finanziamento pubblico, inteso come inesauribile fonte di risorse, una certa mentalità che travisa il concetto di bene comune e premia la furba capacità di pensare al proprio orto, la speculazione che si maschera di buone intenzioni, la debolezza delle istituzioni e degli enti intermedi che a volte non rispondono con coerenza e rigore a richieste infondate, la carenza di una meditata programmazione territoriale: tutto questo serve a smarrire la “strada” e crea la confusione concettuale che tutto sia utile e lecito.
Mazzoni, a sostegno della sua tesi di liberismo “spinto”, richiama l’esempio delle confinanti Valli del Bitto di Albaredo e di Gerola dove, nella prima la strada per San Marco e nella seconda il comprensorio sciistico di Pescegallo, hanno permesso, se non il mantenimento della popolazione, una certa, seppur sempre in crisi, attività turistica a Gerola e, soprattutto nell’area di Albaredo, un’ammirabile tenuta del territorio agricolo ed un equilibrato mantenimento del patrimonio edilizio rurale, per la verità, spiegabili solo in parte con la presenza di una strada intervalliva. Parrebbe immediato accostare quindi, una strada intervalliva e magari impianti di sci, oltre che una rete stradale di viabilità agro-silvo pastorale dalle motivazioni generiche, a premessa dello sviluppo della Val Tartano.
Qui la riflessione dovrebbe allargarsi ad esaminare la realtà della val Gerola; mi limiterò ad esprimere la convinzione che ogni vallata ha la sua Storia e peculiarità che le sono proprie e non possono essere trasferite pari pari in altre situazioni. Semmai è utile valutare con senso critico l’esperienza altrui e ricavarne una linea di azione meditata ed originale.
Modelli a cui riferirsi non mancano nelle Alpi: in Trentino, Svizzera, Austria… In essi si colgono oltre una disponibilità finanziaria usata sapientemente e una radicata sensibilità dell’accoglienza, anche una cultura del territorio che noi, francamente, abbiamo dimenticato, nonostante il paesaggio sia sempre lì a ricordarci che i nostri antenati, di questa cultura erano impregnati; ricordate il suggestivo richiamo ai “giardinieri delle Alpi”?
Cultura che, divenuta sentimento, si manifesta ora nel legame emotivo profondo ai luoghi, nell’ostinato radicamento dei contadini, nella affezionata memoria dei ricordi ed in una sorta di sottaciuto complesso di colpa collettivo, per non aver saputo difendere dal degrado tante fatiche. Senza lasciarsi tentare da giudizi arbitrari e nostalgie ingannevoli, vien da riflettere sulla profonda mutazione e dimenticanza intervenute nella montagna di oggi. Non sarebbe importante che quell’antico sentimento, nato per necessità di sopravvivenza, venisse recuperato in un rapporto con la montagna che la modernità ha emancipato e reso più libero?; che quell’antico sentimento orientasse le scelte che ci stanno di fronte e aprisse spazi di azione più maturi?
La mancanza di una visione fiduciosa nel futuro, porta a giustificare qualunque tipo di comportamento e di risultato. È irragionevole muoversi a tentoni, sapendo che gli errori prima o poi si pagano e alle generazioni future si precludono opportunità che oggi non possiamo conoscere. Esagerando: è meglio star fermi che muoversi e fare danni; oltretutto, se ci si indirizza alla manutenzione ed alla messa in sicurezza del territorio, non occorre molta fantasia per giustificare un programma di spese; l’azione umana in Natura è paragonata a volte a quella di un elefante in un negozio di cristalleria e ciò che rompe non si può più riparare.
C’è una bella canzone di Fabrizio Moro che raccomanda: “Prima di sparare, pensa!”.
Soprattutto oggigiorno, in cui i tradizionali modelli di sviluppo arrancano dietro a domande di cambiamento e aspettative che richiedono risposte convinte e lungimiranti, occorre ripartire dal territorio con una “testa” nuova; la Val Tartano (e non solo), ancora non del tutto compromessa, ha l’inconsapevole privilegio di poter percorrere strade più pensate.
Giorgio Spini