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Quelli che… Milan Inter ’63. La leggenda del Mago e del Paròn a Palazzo Reale 
di Mauro Raimondi
24 Maggio 2013
 

C’è la Grande Inter di Sarti, Burgnich, Facchetti, il Milan prima squadra italiana a conquistare una Coppa Campioni nel 1963. C’è la Milano degli anni Sessanta, quella di Jannacci, Fo e Gaber, dell’immigrazione e del boom economico. E poi ci sono loro, Helenio Herrera e Nereo Rocco, che alla fine ci appaiono nudi (il primo, impegnato in un esercizio di yoga) o sorridente davanti al classico bicchiere di vino…

Per noi, milanisti e interisti, oltre che milanesi, potremmo dire che c’è tutto, nella mostra “Quelli che… Milan Inter ’63. La leggenda del Mago e del Paròn”, la cui vernice per la stampa del 23 maggio Tellusfolio ha seguito partecipando alla conferenza stampa, iniziata con una poesia di Maurizio Cucchi citata dall’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno, per ricordare a tutti come il calcio sia a pieno titolo cultura di un Paese e, in questo caso, di una città intera.

Tra gli interventi successivi, ricordiamo quelli di Barbara Scaramucci, direttore delle Teche Rai (il cui d’archivio è costituito per il 30% da materiale sportivo) e di Franco Arturi, vicedirettore della Gazzetta dello Sport, che ha caldeggiato l’ipotesi di intitolare a Herrera e Rocco delle vie di Milano, oltre a sottolineare come una mostra del genere, sulle due squadre insieme, sia praticamente (e purtroppo) possibile solo nella nostra città. Infine, ha preso la parola il curatore della mostra, lo scrittore e giornalista Gigi Garanzini, che ha evidenziato le differenze tra i due allenatori (l’uno, Herrera, cittadino del mondo e poliglotta, l’altro che si esprimeva quasi solo in triestino), entrambi comunque grandissimi comunicatori, e ha svelato il sincero rapporto di amicizia esistente tra loro: quando Helenio ebbe un infarto, nel 1974, tra i primi visitatori ci fu proprio Nereo Rocco, e dopo la morte di quest’ultimo, talvolta Herrera si recava al cimitero di Trieste per restare solo con lui.

Un altro calcio, verrebbe da dire. E un’altra Milano, come evidenzia la prima sala della mostra, a cui si accede “attraversando” gli spalti di San Siro e dopo aver visto il grattacielo Pirelli, entrambi rigorosamente in bianco e nero. Le numerose foto alle pareti, infatti, raccontano la città del 1963 (e dintorni), con alcuni dei suoi protagonisti (Vittorio Sereni, Oreste del Buono, le sorelle Giussani inventrici di Diabolik…), la sua trasformazione radicale sia dal punto di vista urbanistico (splendide le immagini dell’Isola, di via Forze Armate o del Gratosoglio, di Vicolo lavandai, allora luogo di fatica e ora monumento nazionale, della Martesana a Crescenzago) sia antropologico, con l’immigrazione ricordata anche da due foto prese da Rocco e i suoi fratelli e Napoletani a Milano. Il tutto, mentre di sottofondo si sentono le note della canzoni di Jannacci, che in un video compare insieme a Dario Fo e Giorgio Gaber.

Difficile, anche per chi quella Milano l’ha vista solo al tramonto, trattenere la commozione. Come emozionante è la sala seguente, intitolata “Due mondi diversi” e dedicata ai due allenatori. Così, mentre su un maxischermo si alternano le immagini di Herrera e Rocco rigorosamente insieme, ai lati si può trovare la mitica lavagnetta con cui il primo preparava le partite e il piatto d’argento regalatogli dai suoi giocatori in concomitanza dal divorzio dall’Inter, oppure la pagella di un Nereo Roch ancora “asburgico”, un suo cappello (donatogli da Giorgio De Chirico dopo la sconfitta in un derby), le sue scarpe anni ’30. Non manca, poi, una teca dedicata al massimo cantore del calcio italiano, Gianni Brera, di cui ci viene mostrata la macchina da scrivere, una penna e il ricordo di quel vocabolario che ci ha lasciato in eredità (goleada, incornata, libero, palla-gol…). A fianco, da non perdere la divertente foto di Nereo Rocco mentre gioca a tennis e insieme a Fellini (che lo voleva per una parte in Amarcord), e la citazione di Herrera addirittura in una striscia di Charlie Brown.

Adriano Celentano (tifoso interista) che parla con i due allenatori, con Angelo Moratti e Franco Carraro dopo un derby del 1967-68 finito 1-1 con molti rimpianti dei neroazzurri (che recriminano per dei presunti errori di Lo Bello con un tatto veramente d’altri tempi), costituisce la chicca della sala successiva, caratterizzata da quattro schermi su cui appaiono, contemporaneamente, delle interviste con i due allenatori (imperdibile, quella di Gianni Brera a Nereo Rocco). Segue la riproduzione di uno spogliatoio, con tanto di armadietti dentro cui dei piccoli video rimandano l’intervista di Beppe Viola a Suarez, Facchetti e Mazzola al rientro dalla conquista dell’Intercontinentale, di Jair sul tetto del Duomo, della signora Fiora Gandolfi, moglie di Herrera; oppure, di alcuni giocatori del Milan Campione d’Europa del 1963 (con Rivera impassibile di fronte all’intervistatore che gli dice che vale mezzo miliardo), oltre a un’imitazione di Rocco fatta da Walter Chiari alla presenza dello stesso Paròn. Dentro una sorta di doccia, poi, si possono vedere le foto dei due allenatori, e sul muro campeggiano i famosi cartelli che Herrera usava per caricare i suoi: “Tacalabala”, “Chi non dà tutto non dà niente”, “Aspirina e caffè un’ora prima”… La foto del Mago che impone ai suoi il “giuramento del pallone” prima di una partita (si riconosce un giovanissimo Giacinto Facchetti), contrapposta allo “schiaffo del soldato” subito da Rocco per mano dei suoi giocatori (del Torino), evidenzia poi alla perfezione le diverse strategie, entrambe vincenti, dei due allenatori all’interno dello spogliatoio: l’uno severo e autoritario, l’altro bonario e ironico.

Alcune delle Coppe conquistate in quegli anni dalle due compagini di Milano, l’unica città d’Europa in cui entrambe le squadre hanno vinto la Coppa dei Campioni, chiudono la mostra, mentre due televisori ai lati riportano le immagini delle rispettive finali.

Dopo un tale tuffo nella Milano degli anni ’60, bisogna ammettere che una volta usciti si resta un po’ straniti. Probabilmente, perché è quella la città che in molti di noi è rimasta dentro, e in cui ancora adesso ci identifichiamo. Anche se non esiste più.

Per chi volesse la mostra, resterà aperta fino all’8 settembre con orari continuati (9:30-19:30, al giovedì e al sabato 22:30) tutti i giorni tranne il lunedì mattina: il biglietto intero costa 8 euro.


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