Lo scrittore Ángel Santiesteban rilascia quest’intervista dalla prigione in cui è detenuto a Cuba. Si tratta di una intervista di Juan Carlos Romero, che l'ha inviata al blog Punto Cuba per la sua diffusione.
Traduzione, adattamento e riduzione a cura di Yordan Fuentes De Arnaiz della redazione di NuovaCuba (23 maggio 2013).
– Cosa fa quando non scrive?
Prima, dall’età di venti anni, mi sono dedicato a comprare vecchie auto e moto, le riparavo e poi le rivendevo. Milito nella fratellanza massonica, dove sono sempre stato molto attivo, a questo si aggiungono i viaggi all’estero dove sono stato invitato da università, fiere del libro, conferenze, festival, e così via. Da quando ho aperto il blog, ho lasciato il commercio delle auto per evitare che con un pretesto qualsiasi mi prendessero per un’ipotetica illegalità, perché a Cuba si vive al di fuori della legge. Per evitare che mi avviassero un processo d’inchiesta, al fine di condannarmi, e alla fine è successo, nel modo meno aspettato. Oltre la scrittura, la lettura è la mia migliore compagnia, cosa che ritengo la più opportuna e salutare per lo scrittore.
– A che punto ha deciso che voleva scrivere?
In prigione. A diciassette anni ho accompagnato la mia famiglia alla costa per salutarli, avevano deciso di lasciare l’isola su una barca. Questo è successo nel 1984, come nel romanzo di Orwell! Qualcosa di assurdo come il libro. Studiavo nei Camilitos1 e l’anno successivo sarei entrato nella scuola cadetti Antonio Maceo. La mia famiglia è stata sorpresa in mare e ha ricevuto una sanzione di dieci anni di carcere. Sono stato arrestato per “favoreggiamento”, e rilasciato dopo quattordici mesi di permanenza in carcere perché non costituiva un crimine tra fratelli e tra padri e figli, quando finalmente sono stato portato in tribunale. In quell’anno e due mesi ho trovato il bisogno di scrivere. Allora ero dell’idea che gli scrittori erano dei rammolliti, rispondevo in questo modo al modello sociale di una cultura maschilista. Da allora mi sono dato da fare per la scrittura. In questo modo lo percepisco ora, in questa prigione, credo che sia una miniera di diamanti, se pensiamo in chiave creativa.
– Cosa le offre il fatto di scrivere? E la letteratura? Pensa che in letteratura ogni mezzo sia buono?
La scrittura mi dà la giustificazione per vivere. Mi dà il modo per sentirmi utile verso agli altri. La letteratura mi dà il carburante per scrivere. Mi dà gli strumenti per acquisire il mestiere. Mi assicura la certezza che l’impossibile, quando si pensa a un progetto creativo, è possibile. Penso che qualsiasi cosa sia valida nella misura in cui è onesta.
– Per un romanzo che cosa è necessaria per renderlo interessante ai lettori?
Regalare uno spettacolo letterario, cosa che abbiamo dimenticato a Cuba. Molti scrivono per i critici, per l’élite, dimenticando di fornire un’esperienza che tenti di modificare o ampliare le conoscenze del lettore, cui va aggiunto, che la grande maggioranza dei creativi nazionali, producono loro testi evitando la censura e di essere scomunicati dall’ambiente culturale dell’isola. Il lettore ha bisogno che scrivano senza paura.
– Qual è il suo genere preferito da leggere? E i suoi autori? Da chi ha ricevuto influenze?
La poesia è il seme delle arti. I poeti per primi. Poi la narrazione. Vargas Llosa, Rulfo, Isaac Babel, Hemingway, Dostoevskij, Kafka, Marti, Gorki. Tutte le letture influiscono, quelli elencati sono penetrati più profondamente.
– Qual è il suo metodo di lavoro? Prende appunti delle cose in cui pensa?
Mi siedo a scrivere con un’emozione che si nutre di solito da una frase o un’immagine. Poi, come in un atto di magia, qualcuno mi detta con coerenza sorprendente. Non prendo appunti tutto nasce nell’atto creativo.
– Se potesse essere un libro, quale sarebbe?
Un libro che racconti l’orrore che il popolo cubano ha vissuto in questa dittatura per oltre mezzo secolo.
– In quale progetto è immerso in questo momento?
In molti, per questo sono felice. Finisco di rivedere due romanzi, ne concludo un altro, scrivo storie che nascono continuamente, una sceneggiatura, ho il blog. Il giorno non mi basta e questo mi preoccupa.
– Si scrive per il piacere o anche per il denaro e il riconoscimento?
Si scrive per necessità, il resto è irrilevante, senza negarle importanza.
– Domina le risorse letterarie, le figure di stile, o scrive con stile proprio e ancora sperimenta e impara?
Le domina il subconscio, sono state assimilate. Scrivo, penso che sia troppo presto per parlare di uno stile, e parlarne non è mio interesse: questo è il lavoro di critici e studiosi. Quello che posso dire è che sperimento e, soprattutto, imparo.
– Si dice che gli scrittori dovrebbero curare e offrire opere raffinate utilizzando la narrativa o crede che quello che si narra si dovrebbe limitare a essere riferito come lo si racconta nei discorsi dopocena?
La letteratura non è come raccontare una storia agli amici in salotto o al bar. Le risorse nella narrativa sono lo studio e le letture assimilate che danno forma al mestiere.
– In qualche occasione regala dei libri?
È il mio regalo preferito, sempre do dei libri, ed è il regalo che mi entusiasma di più quando lo ricevo.
– Pensa che la letteratura cubana vada di moda e che lo scrittore, come figura pubblica, ha una responsabilità sociale?
Io non sono un professionista del marketing, e meno a Cuba, dove è sconosciuto ciò che è pubblicato a livello internazionale. Credo, a causa del silenzio, che Cuba non è di moda. Lo scrittore ha responsabilità sociale, almeno mi piace pensare così, e accetto il prezzo di pagare.
– Come la tecnologia ha cambiato il suo mondo?
Credo che per il meglio, così è stato nel mio caso. Si dice che il libro stampato finirà. Dicono sempre queste cose.
– Ha sentito di essere nato con la vocazione letteraria?
No, ed ho resistito quando mio fratello me l’ha suggerito dopo aver ha letto una lettera che le ho scritto. Mi sono sentito offeso. Poi, quando ho scoperto che era la mia passione, mi sono ricordato i libri che sono comparsi nella mia casa in modi misteriosi. Non ho mai saputo chi li ha portati, ma sono stati le mie prime letture: Il conte di Montecristo, I Miserabili, L’isola del tesoro, Ventimila leghe sotto i mari, Tom Sawyer, Zorro, Il Corsaro nero, Robin Hood. Quelle letture giovanili mi hanno segnato, qualche elfo ha rovesciato al mio passaggio questi libri magici, che dopo pochi sono riusciti a superare, e che poi sono serviti di germe per lo scrittore. Mi ricordo che fin da bambino ero molto fantasioso, ma non ho mai sospettato che mi sarei dedicato alla scrittura, che sarebbe la mia vocazione.
– Le dispiace che la sua vita letteraria si avrebbe potuto sviluppare in un altro ambiente, più propizio?
Non sono mai stato incline al rimpianto. Lo odio. La vita è com’è, e va vissuta, si cresce nel tempo e nell’ambiente cui viviamo.
– Pensa che la letteratura cubana a volte abbia seri alti e bassi?
Credo che accada in tutte le culture, è molto difficile mantenerla in alto la maggior parte del tempo, perché colpisce, tra le altre ragioni, la popolazione pro capite e il livello di lettura, quindi, la produzione di libri può essere superiore o inferiore. Soprattutto a Cuba, però, occorrono valutare ragioni extra-letterarie, politiche culturali e governative che non aiutano al rafforzarsi, alla profondità e la qualità dell’opera. Al contrario, sono più importanti gli aspetti politici, che mantengono in costante declino lo sviluppo letterario nazionale. Alcuni scrittori sono scoraggiati a scrivere per i cassetti, o perdono la loro strada, o finiscono per claudicare, scrivendo per essere pubblicati da parte dalle case editrici statali e dopo formare delegazioni culturali nazionali all’estero.
– Quali libri hanno cambiato la sua vita?
Dopo quelle prime letture, i miei, nel male, perché sin dai primi racconti la Sicurezza di Stato mi ha schedato, ho fatto parte della sua lista di scrittori pericolosi, e mi ha perseguito nei concorsi per non farmi vincere.
– La nostalgia, la sofferenza causata dall’inappagato desiderio di emigrare. Ha l’ossessione di emigrare o si accontenta di ottenere la sua libertà e di seguire nel suo paese?
Per quanto riguarda il poter viaggiare, ho visitato diversi paesi nelle Americhe, negli Stati Uniti sono stato in più di un’occasione, in Europa, e ho sempre avuto l’invito e le condizioni necessarie per restarci, ma ho sempre avuto un impegno speciale, particolare, sentimentale, di rigore perché ho la convinzione che qui sia il mio posto. Molti prevedono che la proposta per liberarmi sarà l’offerta dell’esilio, da ora rispondo categoricamente di no, accetterei di andarmene soltanto se in quell’aereo viaggiassero con me Fidel e Raúl Castro.
– Ha dovuto schivare la censura nei suoi scritti?
Schivarla e soffrirla. Nel 1992, la Sicurezza di stato ha chiamato la giuria del concorso Casa de las Américas,2 mentre partecipavo nella categoria racconti, affinché mi fosse ritirato il premio dopo che mi era stata comunicata la notizia di essere stato il vincitore. La stessa Casa de las Américas ha preparato un dossier sugli scrittori della mia generazione, per il quale ha richiesto un racconto, ne ho dati cinque, poiché sono informato della procedura di censura, eppure non sono stato incluso per motivi extra-letterari. Quando nel 2006, non hanno potuto evitare che mi premiassero, per il libro Dichosos los che lloran (Beati coloro che piangono, ndt), hanno vietato che il libro potesse entrare nel paese fino al 2008, perché il suo presidente, Roberto Fernández Retamar, aveva avvertito che «il mio libro avrebbe tolto le fondamenta della Casa de las Américas». L’ho sofferta prima con Il libro Los hijos que nadie quiso (I figli che nessuno voleva, ndt), Premio “Alejo Carpentier” 2001, dal momento in cui ho ricevuto una lettera da parte dell’Associazione dei Combattenti, dove sono stato accusato di essere un controrivoluzionario, e hanno messo in discussione la sua pubblicazione. Con il premio UNEAC3 1995, il libro ha avuto un ritardo di tre anni per uscire, ed è stato alla disposizione del pubblico solo dopo aver accettato di rimuovere cinque racconti. Per di più, è stato pubblicato con una copertina di qualità commerciale scadente, che ricordava una scatola di detersivo. In Morón,4 nell’ultima fiera che ho partecipato nel 2009, la Sicurezza di Stato mi ha sfrattato dal mio albergo, a prescindere dal fatto che ero invitato dal Centro del Libro della provincia. Quella notte ho dovuto dormire nella casa del tassista, e il giorno dopo ho dovuto lasciare l’evento.
– C’è un genere più efficace per trascrivere la realtà cubana?
Nessun genere è più efficace, sono tutti importanti e incidono in modo molto forte sulla realtà cubana. Quelli che vedo, nelle arti in generale, con un carattere più eccezionale e solido: sono il cinema, il teatro e la musica popolare. La letteratura è rimasta in dietro per la paura che ha istituzionalizzato gli scrittori, lo stesso per i doni con i quali sono stati comprati.
– Pensa che la cultura cubana abbia un deficit di monografie, memorie storiche che danno profondità a questa cultura? Come si può colmare questo vuoto?
La politica culturale e la politica in genere sono solo interessate a studi storici contemporanei sulla generazione che ha preso il paese nel 1959. Ci hanno distorto la cultura, l’economia, l’arte libera e spontanea, l’onestà e il paese in generale. Per recuperarla occorre aspettare un cambiamento sociale. Nessuna dittatura è stata buona, soprattutto con le arti.
– Senza memoria non c’è fantasia?
Secondo il fine che si vuole per quella memoria. Lo scrittore, tuttavia cresce, non si preoccupa degli ostacoli, e la memoria si può nascondere, rimandare, ignorare, perseguitare, reprimere, ma sempre fiorirà. La memoria non dimentica, e poi in libertà, produrrà molti libri, ricordi che dormono e aspettano l’alba.
– Nei romanzi e racconti, i fatti reali si mescolano con quelli immaginati, però, vedendo la parte importante di realtà che compare nei suoi racconti, si potrebbe pensare che la realtà superi la finzione.
La realtà supera sempre la finzione, infatti, per il narratore una delle sfide più grandi è quella di rendere credibili alcuni passaggi reali, perché anche se le ha vissuti, anche se ha avuto un’esperienza personale, alcuni sono impossibili da scrivere. L’espressione “Kafka è rimasto piccolo con la realtà cubana” non è scelta a caso. La fattoria degli animali è un tacito esempio di questo.
– Quali sono gli scopi dei suoi libri?
I libri non dovrebbero nascere per inseguire un traguardo, tranne l’impegno di essere artistico. Se questo è raggiunto, allora essi da soli cercheranno il proprio destino. Se l’arte non prevale, sarà un libro dimenticato senza infamia senza lode, non importa quanto si investa nella loro promozione. Se sono riusciti artisticamente, allora potranno essere didattici, di denuncia, politici o apolitici, quello che vogliono essere, ma non viceversa. In particolare mi piace che incidano sulla realtà, che mettano in discussione il mio tempo, che siano le voci della mia generazione, per denunciare, per colpire la dittatura. Sopra tutte le cose, che dopo tutto, offrono un barlume di speranza, se non per l’argomento almeno per aver osato di scriverli, per aver rischiato la stabilità emotiva e fisica.
– Quale messaggio vuole trasmettere ai cubani in questo 2013?
Che il muro si muove, tutti hanno spinto un po’, ma quest’anno è decisivo e unificando gli sforzi lo faremo smuovere in meno tempo, dipende solo da noi. Che è vero che ci sono migranti economici: se non ci fosse una dittatura, per di più inetta, non dovrebbero cercare fortuna altrove. Che non corrisponde al vero che si possa essere apolitico, ne sono esempio i cubani cui ci piace dare il proprio parere, la nostra opinione, per di più è stato dimostrato che il silenzio è anche un atteggiamento politico, una posizione partitistica, come l’anarchia. Coloro che restano a Cuba, con un grido di dolore, e voi dal di fuori date voce per farlo sentire al mondo. Dio non vi a ha messi lì per caso, in ogni spazio e angolo dove vi trovate, dovrete essere in lotta attraverso Facebook, i blog, Twitter, e-mail, negli spazi di opinione, e in ogni mezzo di divulgazione che ci sia. Senza di voi, il grido non è integro. José Martí, che aveva un sogno per tutti i cubani, conta su tutti e su ciascuno di coloro che sono nati in quest’arcipelago per realizzarlo.
1 Conosciuti come “Camilitos” studenti appartenenti alle Scuole militari Camilo Cienfuegos. Queste fanno parte di un sistema di scuole “vocazionali” per ragazzi che corrisponde alla scuola superiore. La prima è stata fondata a Baracoa nel 1966.
2 Istituto culturale fondato a L’Avana il 28 aprile 1959, dipendente dal Ministero della Cultura. L’omonimo premio viene assegnato annualmente dal 1960.
3 Unione di artisti e scrittori cubani. Organo associativo filogovernativo.
4 Comune di Cuba, situato nella provincia di Ciego de Avila nel centro sud dell’isola.
Opere a cui si fa riferimento:
Los hijos que nadie quiso, Editorial Letras Cubanas, La Habana, Cuba, 2001
Dichosos los que lloran, Ediciones Casa, La Habana, Cuba, 2006