Il referendum di Bologna pro o contro il finanziamento comunale alle scuole materne paritarie è diventata una questione nazionale, sulla quale intervengono ogni giorno opinionisti, politici di ogni colore, amministratori. Chi ha promosso il referendum si richiama alla questione generale posta dall’art. 33 della Costituzione che, fin che è in vigore, non può essere ignorato, e pone giustamente il problema di un’offerta statale di istruzione generalizzata sul territorio e che comprenda non solo la scuola dell’obbligo. Da questo punto di vista l’intervento dello Stato è molto carente e comodamente lascia alle amministrazioni locali l’impegno a venire incontro alla domanda delle famiglie che, tutte, ora considerano necessaria la scuola dell’infanzia, anche molto importante in ordine alla presenza femminile nel mondo del lavoro. Chi si oppone all’eliminazione del contributo comunale alle scuole paritarie invece si rifà, pragmaticamente, alla positiva esperienza, negli ultimi vent’anni, di questo rapporto pubblico-privato in città, a esperienze analoghe in molte altre amministrazioni e alle difficoltà di bilancio che ostacolerebbero lo sviluppo delle scuole comunali.
Mi sembra che si scarichino su questo referendum, in modo forse inevitabile, anche forti tensioni politiche conseguenti a una modifica inedita dei precedenti schieramenti nel governo del paese. Rende poi difficile una riflessione pacata su tutta la situazione questo intreccio dei bisogni e delle legittime attese della realtà locale con i principi generali che ispirano l’organizzazione dell’istruzione pubblica e con lo scontro aperto nell’area di opinione della sinistra.
Ciò premesso, a me pare che si potrebbe tentare un approccio diverso che parta dall’interno della comunità dei credenti per sdrammatizzare lo scontro ed evitare che la Chiesa sia risucchiata in uno schieramento rigido (come invece sta avvenendo e come ha già prefigurato nei giorni scorsi il Card. Bagnasco). Dico questo perché siamo consapevoli, in quanto credenti che si ispirano al Concilio Vaticano II, di quanto siano dannosi i conflitti che periodicamente attraversano la nostra società tra cattolici e laici (o laicisti). Infatti siamo preoccupati che il Vangelo sia conosciuto per quello che è e non per come è vissuto da quanti si schierano contro le presenze considerate indebite dell’apparato ecclesiastico nella società e nelle istituzioni.
Parto dalla premessa che in questo momento, ben più che in passato, grazie a papa Francesco, si parla di Chiesa povera e dei poveri e che la situazione di crisi pesa su troppi, ovunque nel nostro paese. Mi chiedo perché le autorità ecclesiastiche competenti, pur lasciando impregiudicata ogni loro questione di principio (libertà di educazione, principio di sussidiarietà…), non pensano a una iniziativa unilaterale che preveda che sia la Chiesa locale ad accollarsi il milione di euro che costituisce l’impegno attuale dell’amministrazione comunale a favore delle scuole paritarie dell’infanzia, garantendosi contestualmente che questa somma così “risparmiata” sia poi destinata nel bilancio comunale a interventi a favore dei soggetti più colpiti dalla crisi. Per essere concretamente praticabile, questa possibile soluzione potrebbe essere gestita gradualmente nel tempo (per esempio tre-quattro anni). Secondo questa proposta, la curia dovrebbe trovare le risorse necessarie, riducendo qualcosa di quanto ha (Chiesa povera, non solo a parole). E potrebbe, in questa occasione eccezionale, aprire al proprio interno una riflessione generale sui propri beni, sui propri bilanci e sulla loro gestione sia in ordine a questa specifica finalità sia in ordine alla ben nota imprevista e recente eredità, la cui destinazione potrebbe essere, almeno in parte, finalizzata all’ipotizzato intervento per le scuole. Appunto una Chiesa più povera, più trasparente ma soprattutto più credibile.
Non penso che sia cosa impossibile, sarebbe una iniziativa che spiazzerebbe entrambi i fronti contrapposti, vanificherebbe il senso stesso del referendum e gioverebbe alla credibilità della Chiesa che si dimostrerebbe inoltre ancora più partecipe della situazione sociale di emergenza in cui ci troviamo.
Vittorio Bellavite
coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa