| foto PG per il Convegno di Anghiari, 2013 |
20 Maggio 2013
Non è necessario abbattere un albero
per costruire una barca,
necessita invece
il desiderio del mare
Era pieno il teatro dei Ricomposti dove si è tenuto, ad Anghiari, il convegno di ecologia narrativa. Pieno di persone silenziose e attente alle parole intense di Vandana Shiva e agli altri interventi accomunati tutti dalla consapevolezza della necessità di riscoprire e riformulare un nuovo modo di raccontare la terra per custodirne memoria, voce e storia. E per non perderci in percorsi segnati dalla frettolosità, noncuranza, mancanza di valori. La solitudine e il vuoto del silenzio non sono sentimenti che possono essere sopportati a lungo se non vogliamo, tra la ruggine del cuore e l'asfalto, non cogliere più un tramonto foriero di nuova alba nella sua luce di fine giornata. A questa sinergia con la natura indirizzava il primo video, dove una signora di una veneranda bellezza abbracciava un tronco, della natura distrutta, invece, quello successivo. In successione rapida d'immagini, e quindi emotivamente forte, mostrava lo scempio che da troppo tempo l'uomo compie contro una terra generatrice, madre, sorella, amante e vestale d'amore. Pochi giorni fa ho visto un immenso tronco secco steso su un verdissimo prato, mi sono seduta dalla parte vicina alle radici e mentre mi chiedevo come mai non fosse stato rimosso, ho scorto dentro le piegature del tronco, delle piantine piene di fiorellini rosa. Eravamo un gruppo di vacanzieri ma, quasi commossa, mi sono appartata dagli altri e ho provato una circolarità d'emozioni. Sentivo la profondità meravigliosa del silenzio, di quello spazio dell'anima nel quale vita e morte sembravano quasi sorridersi complici. Oggi debbo e lo faccio di cuore ringraziare gli organizzatori del convegno, l'università di Anghiari, la gente tutta e quel silenzio parlato piano, sospirato e forte di cui ho goduto.
Postare su Tellusfolio questo scritto è anch'esso una forma di comunicazione circolare che unisce più terre, più gente, più amici di percorso e a chiudere lo scritto sarà, a mio avviso, una delle più belle poesie di Angelo Andreotti, il cui libro Parole come dita insieme a Diario di Normandia di Paolo Ruffilli è da tempo viatico al mio andare.
Patrizia Garofalo
IL CHICCO DEL MELOGRANO
In arsura si allarga
la chioma dell'ulivo rada di ombra
su terra che resiste,
dove un canto versò l'inno a Demetra
musicando miserie
raccontate in esametri incagliati
tra gli scogli del tempo e il
succoso chicco di una melagrana.
Nel silenzio svuotato,
come dischiuso da un pianto acquietato
per stanchezza trafitta,
io guardo il mondo da questa pianura
distesamente breve,
e nella sua memoria acquitrinosa
trovo impronte infangate,
testimoni di un fiume in transumanza
e in fossile abbandono.
Alla mia terra manca limpidezza,
e sciacqua in acque torbide
che il mare spalma su spiagge ferrose.
Persefone rapita
si sdraia in campi promessi alla sabbia.
Demetra svigorisce
giustiziando all'indolenza la vita
per umana imprudenza.
Io, semplifico tutto il patimento
in un pugno di versi.
In canti antichi riscopro emozioni
che giro come zolle,
arieggiandomi il fiato ormai sepolto
e piombato da nuvole
saldate nel tradire ogni mutamento
attorno agli orizzonti.
Noi ce ne siamo accorti mai del tempo
perso ad inseguire il tempo?
E di stupori toccati dall'anima
ne sappiamo più niente?
Luce viola nei cieli, incantati
da una luna perlata
che guarda in apparente fissità
l'estinguersi dei sogni.
Ma i miei restano, suggerendo gesti
portati a spasso in sguardi
di speranza tardiva ed estenuante.
Sogno. M'affido ai sogni,
perché c'è un attimo buio in cui è tardi
per fare bello il giorno.
Angelo Andreotti
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