Dalla baracca si alzò un mormorio. Un mormorio possente come la voce del mare, quando nella notte cominciano ad agitarsi le onde. Cupo, come la voce del vento, quando le prime folate annunciano che la tempesta è vicina.
(Paone-Pagano, La rivolta degli zingari)
La memoria del Porrajmos (divoramento, in romanes), ossia il genocidio di rom e sinti sistematicamente perpetrato dai regimi nazifascisti, è stata sepolta per oltre mezzo secolo, pur se portò allo sterminio di circa mezzo milione (cifra approssimata per le ovvie difficoltà nel censire le popolazioni nomadi) di “zingari” europei, eliminati sia, soprattutto, nei rastrellamenti e nelle esecuzioni di massa compiute dalle truppe d’occupazione che nei campi di concentramento.
Basti dire che soltanto nell’ottobre 2012 a Berlino è stato inaugurato, dopo un decennio di rinvii e polemiche, il monumento-memoriale in ricordo di quello che è stato definito come “l’olocausto dimenticato”, accanto a quelli che già da tempo esistenti in memoria della persecuzione e dell’annientamento degli ebrei e degli omosessuali; mentre il Porrajmos è stato commemorato presso il Museo dell’Olocausto di Washington appena nel 1994.
Tale realtà venne riconosciuta ufficialmente dalla legislazione tedesca soltanto nel 1963, con l’ammissione delle richieste d’indennizzo previste per le vittime del nazismo, dopo che una precedente sentenza della Corte federale di Cassazione aveva ritenuto che gli “zingari” erano stati perseguitati per ragioni razziste solo a partire dal 1943.
Rom e sinti di cittadinanza tedesca – inizialmente inseriti nella categoria degli Asociali – furono internati e sottoposti ai lavori forzati sino dai primi mesi del regime hitleriano, grazie anche alla legislazione “antizingara” emanata e già operante durante la repubblica di Weimar; ma fu con l’inizio della Seconda guerra mondiale e l’invasione nazista di gran parte dell’Europa, che la persecuzione si generalizzò e gli “zingari” vennero avviati ai campi di concentramento e sterminio, senza alcuna differenziazione rispetto alla nazionalità o al presunto grado di purezza razziale. Esiste documentazione del loro “passaggio” nei lager di Dachau, Ravensbruck (femminile), Treblinka, Buchenwald, Bergen Belsen, Chelmno, Maidanek, Gusen, Theresienstadt, Sachsenhausen, Belzec, Sobibor, Natzweiller, Flossenburg e, soprattutto, Auschwitz-Birkenau dove, nel gennaio 1943, Himmler ordinò l’internamento di tutti i Rom e i cosiddetti “sangue misto” (Mischlinge), mentre per i Sinti confermò in un primo tempo le misure coercitive già previste, purché disposti a sottoporsi a sterilizzazione.
All’interno della struttura concentrazionaria di Auschwitz-Birkenau, tra il febbraio 1943 e l’estate del 1944, una sezione speciale fu destinata alla detenzione di intere famiglie rom, denominata Familienzigeunerlager, che era una sorta di ghetto interno allo stesso campo. In questo complesso le condizioni di vita erano tragiche, tanto che nessuno dei circa 300 bambini nati in prigionia sopravvisse, ma nonostante le condizioni disperate il 16 maggio 1944 circa 4-6 mila prigionieri “zingari” dettero vita ad una ribellione senza precedenti. Avendo saputo che stavano per essere condotti nelle camere a gas, uomini, donne e bambini si organizzarono e, dopo aver raccolto bastoni, pietre, spranghe e altre armi improvvisate si ribellarono, sopraffacendo gli aguzzini delle SS.
Sorpresi e spaventati dalla determinazione degli “zingari”, i nazisti nel timore di non disporre di abbastanza uomini e armi per stroncare nel sangue la rivolta, col concreto rischio di una sua estensione agli altri settori del lager, si sottrassero dallo scontro diretto con gli insorti.
Dopo averli lasciati a morire di fame e stenti per stroncarne la resistenza, i nazisti riuscirono ad eliminare 2897 superstiti dello Zeugenerlager soltanto nella notte tra il 2 e il 3 agosto 1944, mentre gli ultimi 800, tra cui moltissimi bambini, soppressi il 10 ottobre. Complessivamente, è stato calcolato che furono circa 23 mila i Rom e i Sinti morti ad Auschwitz-Birkenau.
In questo inferno – così come a Dachau, Matzweillet-Struthof, Natzweiller, Ravensbruck e Sachsenhausen – uomini, donne e bambini “zingari” furono usati in atroci esperimenti per “studiare” gli effetti di malattie mortali, la sopravvivenza in condizioni estreme, l’effetto di gas tossici, i metodi di sterilizzazione, le conseguenze della mutilazione sessuale. Tristemente noto l’operato del dottor Mengele nella baracca 32 del campo zingaro e le sue insensate ricerche eugenetiche sugli “ariani decaduti” secondo le quali i gemelli e i Sinti erano le cavie umane preferite, anche se non fu certo l’unico “scienziato” nazista responsabile di crimini contro l’umanità.
Da alcuni anni, il 27 gennaio, nell’ambito della Giornata della memoria istituita a livello ufficiale, si è cominciato a menzionare pure lo sterminio di Rom e Sinti, anche nel tentativo di relegare nel passato questa tragica pagina di storia, mentre le raggelanti notizie sulle politiche anti-zingare che giungono, a partire dall’Ungheria, da tutti gli stati europei e da quelli dell’est dimostrano al contrario che la persecuzione non è mai finita, neppure nei paesi democratici (si veda a riguardo l’eloquente rapporto 2012 di Amnesty International sull’Italia).
Per questo, ora più mai, appare opportuno ricordare la data del 16 maggio 1944, con l’auspicio che altre tempeste travolgano gli aguzzini.
Archivio Antifascista
(da R-esistiamo newsgroup, 16 maggio 2013)