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07 Maggio 2013
In questi giorni si parla di un argomento delicato: il presunto uso (o abuso) del corpo delle donne nella comunicazione. È una riflessione che periodicamente ritorna e parte sempre dalla politica. Da parte mia, solo una breve considerazione. Se una donna o un uomo che lavora nella pubblicità o nello spettacolo desiderano togliersi la maglietta, devono essere liberi di farlo. Credere che le belle donne e i bei ragazzi siano burattini nelle mani di “gente senza scrupoli” non rende loro giustizia. Per la maggior parte, sono artisti consapevoli, capaci di avvalersi di una comunicazione corporea seducente. Le violenze sulle donne avvengono nei regimi che le costringono a impaludarsi e a non mostrare neanche una caviglia: schiave di padri, mariti e padroni. Censurare il corpo femminile e maschile è quasi sempre il primo atto di chi non ama la libertà. Pensiamo al rogo dei libri e delle fotografie dell'Institut für Sexualwissenschaft, istituto tedesco di ricerca sulla sessualità, con sede a Berlino, che consentì alla società di progredire verso la liberazione e la parità sessuale dal 1919 al 1933, quando fu annientato dai nazisti. Chi predica nuove battaglie a difesa del corpo femminile sbaglia e senza volerlo manca di rispetto a tante donne della pubblicità e dello spettacolo, giudicandole incapaci di intendere e di volere. Lo stesso vale per chi volesse incatenare al pregiudizio la bellezza del corpo maschile.
Roberto Malini
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