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Turco, Pontesilli, Di Battista. Paradiso Ior 
La postfazione di Marco Pannella
29 Aprile 2013
 

«Un saggio documentato e irriverente

sui soldi, gli affari e i segreti dello Ior»

Gianluigi Nuzzi

 

 

Maurizio Turco

Carlo Pontesilli

Gabriele Di Battista

Paradiso Ior

La banca Vaticana tra criminalità finanziaria e politica dalle origini al crack Monte dei Paschi

Postafazione di Marco Pannella

Castelvecchi, pagine 384, € 18,50

 

Perché non può esserci un vero cambiamento nella Chiesa se non si risolve la controversa questione Ior? Perché tra i messaggi di rottura con il passato che il nuovo pontefice, Papa Bergoglio, sta lanciando al mondo non può mancare la riforma dell’Istituto per le Opere di Religione? Lo spiegano gli autori di questa dura inchiesta, che scoperchia una serie di scandali ancora sconosciuti alle cronache e inaccettabili per la Chiesa. Un libro che analizza e rende pubbliche le finanze vaticane, dalla fondazione dell’istituto fino al crack del Monte dei Paschi. Soldi, tanti soldi «sospetti» e correntisti discutibili che ingrassano da decenni i forzieri vaticani, speculazioni che voltano spesso le spalle all’etica e alla morale. Un’accurata ricostruzione che dalle origini passa attraverso gli anni di monsignor Marcinkus e i rapporti che avrebbe intessuto con alcuni boss della Magliana; i misteri irrisolti che ruotano intorno alle morti di Calvi e Sindona; la bancarotta del Banco Ambrosiano; gli intrecci con la maxitangente Enimont e Mani Pulite. Carte, atti parlamentari, conti correnti mai pubblicati riempiono le pagine di Paradiso Ior, un libro che svela come il Vaticano ha preso parte anche ad ambigui affari attraverso Jp Morgan e altre società finanziarie lussemburghesi e svizzere. In queste dense pagine non mancano le rivelazioni di alcuni fondi segreti e i rapporti che lo Ior ha avuto con politici e potenti di tutto il mondo: un vero paradiso fiscale a cui il Vaticano non rinuncerà facilmente. (Nota editoriale)

 

 

 

La postfazione di Marco Pannella

 

Maurizio, maledizione! Sono ore che cerco di buttar giù qualche riga che abbia un senso, un significato, che possa servire, utilizzabile. Sono ore che ti affacci nella stanza dove lavoriamo con altri compagni, non dici nulla e quella tua espressione stampata sul viso dice tutto, dei tempi che urgono, l’editore sta già facendo degli strappi che mai ad altri avrebbe concesso, che deve mandare in stampa questo vostro lavoro che m’appare davvero comunque di straordinario valore ed anche efficacia, e che – temo – proprio per questo fatto, come tutte le altre cose radicali, sarebbe in partenza destinato a essere ignorato, nascosto, materiale pericoloso, crea conoscenza, che – come i leggendari men in black – temono diventi sapere comune: chi sa, chi conosce, ragiona, tira le somme del due + due, ne ricava, direbbe Leonardo Sciascia, il “giusto senso”…

Ecco: questo vostro lavoro è un lavoro di “giusto senso”. Vi basta? No? Troppo breve, troppo poco? Ma che posso dire, cosa mai posso dire che già non abbia detto, tentato di dire (o più propriamente mi si sia impedito di dire) in questo quasi secolo di “mia” vita?

I compagni più giovani, ma anche gli amici che credono di conoscermi più a fondo, si dicono stupiti su questo attuale, tornare al mio insistere su “Pietro” e “Cesare”, come evoco da tempo il mondo cattolico che storicamente stagnava attorno allo Stato Vaticano e all’altro Stato, quel mondo, insomma, che fu concepito e nacque, ma di rado crebbe, come di laica religiosità. Mi accorgo che mi guardano come si guarda il nonno che in un angolo della cucina farfuglia le sue manie: sia quando affermo oggi che Giorgio Napolitano andrebbe processato, magari per poi assolverlo, per attentato alla Costituzione… Gridano o dicono a mezza voce che i miei sono sempre più sproloqui che una piccola setta di semi-plagiati o di interessati (di chissà quale interesse) spaccia per brillanti ragionamenti. Naturalmente hanno le loro ragioni e nessuno per ora può escludere che abbiano ragione; anzi, per sgomberare subito il campo, dico che hanno senz’altro ragione, sono sempre più logorroico, mi perdo dietro i miei discorsi, sono monomaniaco…

Lasciamoli perdere, dunque, i miei ellittici e zoppicanti ragionamenti, proviamo a occuparci di cose “serie”. Un compagno cui piace nel suo poco tempo libero immergersi nelle carte ingiallite a cercare brandelli di testi che abbiano ancora un significato, che pur pensati e scritti oggi per l’oggi, abbiano un senso anche “a venire”, l’altro giorno, quando ancora non mi tormentavi per avere queste due paginette che non vengono fuori, mi ha allungato la fotocopia di un articolo che in parte riproduco:

Il dato è un altro: oggi non possiamo assolutamente pensare che la battaglia laica possa vivere nella stratosfera della filosofia politica individuale. Una battaglia è laica se è concretamente amministrata giorno dopo giorno e se nega al politico la proprietà sacrale della verità politica, rifiutando alla classe dirigente costituita nello Stato, come ai dignitari costituiti nella Chiesa, la tutela della libertà a cui nessuno ha rinunciato…

Molto bello, molto attuale. Ho subito chiesto a questo amico chi e quando aveva scritto queste cose.

“Non lo so, è anonimo”, mi ha risposto. “Dalla data del ritaglio si ricava che è roba che risale a più di quarant’anni fa”. L’infame sorrideva, e si capiva che invece sapeva bene chi era il suo autore, e che mi stava tendendo un tranello. E infatti…

“Guarda quest’altra fotocopia”, ha poi aggiunto, allungandomi un altro foglietto.

Leggo a voce alta:

La libertà non è il patrimonio di una classe che distribuisce i beni senza tener conto della realtà delle nuove indicazioni, considerando ogni proposta simile al bracconiere che invade la riserva di caccia. La lotta per la libertà deve essere una lotta di popolo, del popolo che ha riscoperto il volto di Pietro e il volto di Cesare, di gente semplice che parte da una rivendicazione della propria responsabilità, che esprime giudizi politici laici, giudizi sui fatti, non sulle persone, senza pessimismo, senza inimicizia. La verità non va riscoperta sui libri e nell’ideologia, ma in concreto, attraverso il dialogo…

Sorrideva, con un’aria che forse voleva essere sorniona, e invece lo rendeva ebete: “C’è chi ti ha preceduto, con questa storia di Pietro e di Cesare… e anche la gente: tu la chiami ‘comune’ contrapponendola alla ‘normale’; lui, l’autore di queste riflessioni, la chiama ‘semplice’, ma se non è zuppa è pan bagnato…”.

Decido di stare al suo gioco: “Interessante. Chi ha detto o scritto queste cose ha un’aria di casa…”.

“Lo credo bene”, fa lui, che forse ha capito che ho capito; o forse, semplicemente, si è stancato nel vedere che non gli do molta soddisfazione. “Ti ho appena dato parte del tuo intervento al convegno “Concordato e libertà civili” al teatro AMGA di Genova del dicembre 1972… Sei noioso, Pannella, ripetitivo: dici sempre le stesse cose”, aggiunge, col tono di chi scherza, ma ridendo dice anche una cosa vera. E poi: “Ascolta come concludevi:

Bisogna avere la capacità di protestare, di contestare e di contrastare i volti bruti da bestia del potere, si tratti di quello di Cesare o di Pietro, certi di portare avanti la speranza e la forza della verità, non per distruggere nessuno, ma per poter essere diversi. Solo un po’ più felici, un po’ più responsabili e un po’ più liberi per noi e, soprattutto, per gli altri…

Però è pur vero: dico, in fondo, sempre le stesse cose da sempre. E come potrebbe essere altrimenti? Sono sessant’anni che, con le sue varie declinazioni, siamo sempre più duramente sgovernati da un Regime apparentemente multiforme, camaleontico, come Proteo assume di volta in volta mille volti, anche accattivanti, ma nell’essenza sempre uguale a se stesso; e sono più di sessant’anni che la nostra lotta, il nostro “dialogo”, il nostro Satyagraha consiste nel chiedere, nell’esigere e pretendere che sia rispettata la Legge, quale che sia, a cominciare da quella che “loro” stessi si sono dati, e “loro” violano. Perché siamo contro le mille piazzali Loreto che pur tanti – in cuor loro, e non solo – invocano e giudicano auspicabili, necessarie; perché noi non abbiamo – né siamo – nemici, ma dialoganti innanzitutto con gli “avversari”, e anche con loro pensiamo sia doveroso cercare di comprendere, di compatire. Come tali quindi ci sono preziosi, anche – perfino! – con loro possiamo e dobbiamo tentare di fare quello che serve, quello che è utile e giusto…

Ma tu giustamente mi chiedi di IOR, e io invece divago… Potrei cavarmela citando quel versetto del Vangelo di Matteo che campeggiò in quel bellissimo maxifotomontaggio realizzato da Oliviero Toscani, che mostrava un corteo di ragazzimonaci tibetani, avvolti nelle loro semplici tuniche e a piedi scalzi; e, al centro, un Joseph Ratzinger di allora appena proclamato Benedetto XVI riccamente bardato, e ai piedi le famose babbucce di Prada, con i suoi anelli e diademi… Riportando le parole del Cristo, il passo di Matteo dice:

Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone…

È sempre Matteo a ricordare quel passaggio dove il Nazzareno esorta a non affannarsi troppo, nella vita:

Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai… E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro…

Abbiamo ora il nuovo Papa Francesco venuto da “quasi la fine del mondo”, che con le sue parole semplici e “comuni”, ha subito saputo conquistare l’attenzione e la simpatia di tutti; questo Papa – gesuita, ricordiamolo – che ha voluto chiamarsi, ed è già questo un evento, un progetto, “parola” come il poverello d’Assisi, sono certo che altre “sorprese” riserverà a tanti, anche scettici; ora confido che prima o poi si avrà anche una Chiara perché i tempi stanno maturando…

Ve lo ricordate, ancora don Luigi Verzè, il “sacerdote-manager” come un po’ tutti lo definivano, ed era definizione che non amava? Su di lui si è scritto e detto molto: le inchieste, le amicizie spericolate e spesso imbarazzanti, il suicidio del suo principale collaboratore, un settimanale – come s’usa dire – “familiare” qualche giorno fa ha fatto uno scoop, mostrandolo mentre faceva il bagno in una piscina in Brasile assieme a una bella signora… Insomma di tutto. O meglio, quasi. Ma nessuno mi pare, che ricordi un passaggio contenuto in un suo libro del 2004, Pelle per pelle, realizzato con Giorgio Gandola, e pubblicato da Mondadori: editore non certo di nicchia, e a cui non mancano possibilità di segnalare quello che pubblica. Eppure le recensioni a Pelle per pelle si contano sulle dita della mano. A parte le insistenti segnalazioni che facemmo da Radio radicale. Curioso? Non tanto, se si tiene conto che in quel libro don Verzè sillaba cose che alle gerarchie vaticane dell’epoca non devono certo essere risultate gradite. Per esempio, i “Dieci pensieri per il prossimo Papa”, immaginati e scritti quando Karol Wojtyla stava raggiungendo “il padre” e Joseph Ratzinger ancora non lo aveva sostituito. Il “settimo pensiero” è il manifesto di una rivoluzione:

Il nuovo Papa è universalmente atteso per rivedere coraggiosamente, da padre universale, le decisioni tradizionali sugli argomenti: a) celibato del clero cattolico latino; b) Attribuzione di poteri ministeriali ai laici “probati”, donne comprese; c) sacramenti ai divorziati; d) uso di anticoncezionali; e) procreazione assistita; f) non si può sonnecchiare accontentandosi di divieti contro una scienza biologica che irresistibilmente corre. Il guarire è un sacramento imperativo-cristologico; g) coinvolgimento dei fedeli nelle scelte gerarchiche, episcopato compreso.

Chissà che Papa Francesco non faccia quello che i suoi predecessori non hanno potuto, o saputo, o voluto fare, nella direzione indicata da don Verzé. Chissà… E sempre in omaggio alla mia logorrea – ma l’hai voluta tu, Maurizio, questa “prefazione”, tu mi hai istigato… – il pensiero mi corre a un altro libro, ancor meno recensito, e non meno interessante: Siamo tutti nella stessa barca (Editrice San Raffaele). È un libro del 2009, un “colloquio” di una novantina di pagine tra due personaggi che all’apparenza si direbbero agli antipodi: l’arcivescovo di Milano, cardinale emerito Carlo Maria Martini, e ancora don Verzè.

A un certo punto don Verzè si domanda: «Ma Gesù, mi chiedo, andrebbe con i suoi sandali e il suo mantello anche in piazza San Pietro?», e già il solo fatto che si ponga l’interrogativo, un interrogativo di sapore retorico, la dice lunga. Ne ricava, dal cardinale Martini una risposta franca e netta:

Credo che andrebbe con un vestito che faccia un po’… un po’ di scalpore e produca un certo disagio nella gente… Agire controcorrente, questa sarebbe l’opera di Cristo. E senza dubbio troverebbe da ridire anche sui figli della Chiesa, perché non abbiamo creduto abbastanza e non abbiamo amato abbastanza…

Ma c’è anche altro.

Non le sembra sconveniente che il Santo Padre sia universalmente considerato quale capo di Stato? Il Papa per me è un grande papà; grande perché universalmente riconosciuto come tale, forte del genuino mandato di Cristo, pastore di tutte le pecore, soprattutto di quelle perdute… Il papà, senza vesti sontuose, scende tra i suoi figli, ricorda, ammonisce, predice, dona, salva, perché in sé ha il Cristo che vive nel Padre, Dio di ogni uomo…

Non pago, insiste:

Non crede anche Lei che un Gandhi nudo sia più eloquente di un Papa mitrato? Così come un Francesco stigmatizzato fa sempre storia per tutti gli esseri umani di tutte le epoche e di tutte le fedi…

In Brasile don Verzè non andava solo a fare il bagno in piscina:

Ricordo che nella mia visita alle favelas del Brasile frequentemente mi incontravo con povere donne senza marito con un bimbo in seno, un altro in braccio e una sfilza di altri che le seguivano, tutti prodotti di diversi mariti. Era giocoforza concludere che la pillola anticoncezionale andava consigliata e fornita… La Chiesa cattolica è troppo lontana dalla realtà, e le fiumane di gente, quando arriva il Papa, hanno più o meno il valore delle carnevalate e delle feste per la dea Iemanjà, l’antica Venere alla quale tutti, compreso il prefetto cristiano, gettano tributi floreali… Penso che anche ai sacerdoti dovrebbe essere presto tolto l’obbligo al celibato, perché temo che per molti il celibato sia una finzione.

Tutto questo, Maurizio, c’entra con quello che mi chiedi, con la pompa del Vaticano, lo IOR e i suoi mille scandali, quel Paul Marcinkus colpevole di mille colpe e tuttavia impunito e protetto, i riciclaggi e le ignobili speculazioni che denunci così efficacemente da sempre, fin da quando eri parlamentare europeo, guadagnandoti stima e considerazione anche da coloro che pregiudizialmente ti avversavano, perché si rendevano poi conto che dietro ogni tua affermazione, ogni tuo gesto, ogni tua iniziativa politica c’era sempre un paziente, metodico, preciso lavoro di ricerca della verità, scavo, documentazione, raccolta di cifre, fatti, testimonianze? Non lo so, e forse neppure importa molto saperlo. Ti dico quel che mi preme.

Perché sì, accanto alla mia “mania” e attenzione a quel che si muove e si agita nel mondo cattolico e dei credenti; accanto alle mie ricorrenti evocazioni di Lord Acton e John Henry Newman – non foss’altro perché non se ne smarrisca il ricordo –, e con loro don Romolo Murri, o – ancor più - “I quattro del Gesù”, il coraggioso, trepido bel libro di Giulio Andreotti che racconta la storia, tuttora misconosciuta, più che del modernismo, della storia cattolica italiana, attraverso quattro suoi protagonisti, che da seminaristi avevano l’abitudine, terminati i loro studi, verso le cinque del pomeriggio, di passeggiare e discutere tra loro (può dirsi: profeticamente?) in piena libera gravità: sacerdoti scomodi come Ernesto Buonaiuti e Angelo Roncalli, il primo scomunicato, l’altro che assurge a Papa col nome di Giovanni XXIII; e con loro don Giulio Belvederi, zio della moglie di Andreotti, anche lui perseguitato dalla curia romana senza però arrivare alla scomunica; e don Alfonso Manaresi, messo sotto pressione dall’Inquisizione, che preferì abbandonare lo stato sacerdotale e così proseguire con rigore e onestà intellettuale e di fede, i suoi studi storici. Accanto a questo mondo c’è sicuramente una nuova Porta Pia da attraversare: quella economico-finanziaria dell'unico Stato al mondo che goda di tutte le impunità possibili, immaginabili ed inimmaginabili lo Stato-Città del Vaticano: ma in ciò, a rappresentare e servire la tentazione (“simoniaca”) di Simon Mago, determinante, lo Stato, il “Cesare” italiano partitocratico, delle fazioni, per un ventennio “fascista”, un sessantennio “antifascista”, metamorfosi dello stesso male, sua “ri-vincita”. Oggi, lo ripeto, oggi è da Pietro, dalla sua sponda destra del Tevere, da quella di San Pietro, e non da quella opposta, quirinalizia, come ai tempi delle catacombe, oggi come più di allora, da laici (spiritualisti, personalisti, di religiosità senza frontiere e senza paure, aggiungo, ad esempio contemporanei capitiniana e più ancora crociana). Siamo insomma consapevoli che “Cesare” è di nuovo impazzito, un po’ ovunque nel mondo di oggi: con i quasi 200 suoi “Stati” dell’Onu. Così come le grandi tragedie, quella greca e shakespeariana, e quelle novecentesche, ci ammonirono e ci insegnano. Oggi danno energia nuova alla attuale specie umana, i profetici annunci, via via, ora del nuovo Vescovo di Roma, ora del Tibetano Dalai Lama di Dharamsala.

Quindi sappiamo e dobbiamo ben sapere come siano cose vive, al di là dei singoli e gravi episodi, lo scandalo costituito dallo IOR, la colossale opera di inquinamento e riciclaggio di denaro sporco; e per andare a vicende il cui ricordo sbiadisce: la morte (certa) di Roberto Calvi, con i suoi complici, e probabili assassini impuniti, e con il cardinale Marcinkus salvato dall'articolo 11 del Concordato. E certo non ha una spiegazione o una motivazione di carattere religioso la sottrazione delle isolette Turks and Caicos e Cayman alle rispettive Diocesi di Nassau nelle Bahamas, e di Kingston in Giamaica, per proclamarle “Missio sui iuris”. Non a caso delle prime venne proclamato Superiore, il Cardinale americano Theodore Edgar McCarrick, mentre delle seconde il cardinale americano di origine polacca Adam Maida, membro della Commissione di Vigilanza dello IOR. McCarrick era amico di Marcinkus; Maida di Papa Wojtila; Turks and Caicos e Cayman, come sanno anche i neonati, sono centri finanziari offshore dove convergono capitali, diciamo averi, di ogni tipo e provenienza.

Certo, Maurizio, fai bene, facciamo bene, a ricordare testardi che lo Stato-Città del Vaticano non ha legge antiriciclaggio; che l'unica banca operante nello Stato-Città del Vaticano, lo IOR, è anche la Banca centrale, e di conseguenza il campo d'applicazione delle normali misure antiriciclaggio che includono il sistema finanziario è limitato; che il sistema bancario, economico e finanziario dello Stato-Città del Vaticano non è mai stato oggetto di verifiche da parte di organismi internazionali; che lo IOR partecipa indirettamente, attraverso due grosse banche, una tedesca e una italiana, al sistema di pagamento dell'area euro, denominato Target, e solo le banche che partecipano direttamente al sistema Target sono sottoposte ai controlli delle autorità bancarie; che la "Convenzione monetaria tra la Repubblica italiana, per conto della Comunità europea, e lo Stato della Città del Vaticano, e per esso la Santa Sede", autorizza lo Stato della Città del Vaticano ad emettere euro; che in questa convenzione lo “Stato della Città del Vaticano” è rappresentato dalla “Santa Sede” in virtù dell'articolo 3 del Trattato del Laterano; che questo trattato assicura agli enti centrali della Chiesa cattolica l'esenzione da “ogni ingerenza da parte dello Stato italiano”…

Ma queste e altre cose, tu le conosci e le sai raccontare, denunciare, molto meglio di me, e lo fai da sempre; e te ne do, te ne diamo, piena, totale fiducia. E per questo tuo paziente, certosino lavoro, che spesso realizzi nell’ombra, a volte regalandolo agli altri – penso al libro La questua di Curzio Maltese (Feltrinelli): quanto c’è di tuo e di Carlo che ha fatto suo, col vostro consenso? Tanto, credo, e comunque l’essenziale…

Ecco, lo vedi, mi son perso ancora. La faccio finita, torno alle mie altre questioncelle legate alla barbarie imperante da noi: ad esempio la giustizia italiana allo sfascio, che potrà essere sanata solo con le indispensabili riforme strutturali, la prima delle quali è l’Amnistia, che sgomberi le scrivanie dei magistrati di milioni di fascicoli che ne seppelliscono capacità e funzioni. Vorrei, dovremmo occuparci del Diritto alle verità, al sapere, che dobbiamo incardinare alle Nazioni Unite, con il collaudato sistema che ci ha già consentito successi come l’istituzione del Tribunale Penale Internazionale, la moratoria delle esecuzioni capitali e quella contro le Mutilazioni Genitali Femminili. C’è, poi, l’altro mio e nostro chiodo fisso, la verità sull’invasione dell’Irak e l’assassinio del Saddam, perché convertito all’esilio, alla pace, alla nonviolenza. Guerra fortissimamente voluta da George W.Bush e Tony Blair, che devono essere messi in stato di accusa, perché hanno mentito ai loro popoli e al mondo intero, i principali responsabili di centinaia di migliaia di loro vittime, di morti.

Per quanto riguarda il suo fronte italiano, il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale TranspartitoNonviolent Radical Party Transnational Transparty – ci sono il movimento da costruire attorno a quello straordinario patrimonio politico e umano che sono state le liste “Amnistia, Giustizia e Libertà”; l’aiuto che dobbiamo assicurare e garantire anche agli sciagurati che ci sgovernano (i referendum per i quali chissà se riusciremo a raccogliere in tempo utile le firme); l’iniziativa attorno ad Emma Bonino che tutti i sondaggi demoscopici indicano da quindici anni come la candidata ideale del popolo italiano per il Quirinale…

Maurizio, queste sono le mie, le nostre urgenze; e tra queste il tuo, vostro splendido lavoro… E io che pigio stancamente sui tasti di una logora macchina da scrivere queste note, che chissà se… Buon lavoro a tutti, compagne e compagni… come si dice? Fai quel che devi, accada quel che può…

 

 

 

Maurizio Turco. È stato deputato al Parlamento europeo, dal 1999 al 2004, e italiano, dal 2006 al 2013. Nel 2005 ha ricevuto da Anne Hidalgo, vicesindaco di Parigi, le “Prix International de la laicité”. È autore con Sergio D’Elia del saggio Tortura democratica. Inchiesta su «la comunità del 41 bis reale» (Marsilio, 2002). Coautore con Curzio Maltese e Carlo Pontesilli de La questua. Quanto costa la Chiesa agli italiani (Feltrinelli, 2008).

 

Carlo Pontesilli. È fiscalista ed esperto di questioni vaticane. È promotore in Italia e in Europa di numerose iniziative volte al superamento dei privilegi ecclesiastici. Coautore con Curzio Maltese e Maurizio Turco de La Questua. Quanto costa la Chiesa agli italiani (Feltrinelli, 2008). È segretario di Anticlericale.net.

 

Gabriele Di Battista. È esperto di temi vaticani e di questioni legate alla giustizia e alla laicità, anche in ambito europeo.


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