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Michael Williams: The Juniper Passion. Lettura del libretto di John Davies 
a cura di Maria Lanciotti
John Davies
John Davies 
19 Aprile 2013
   

Michael Williams, affermato compositore neozelandese, parte per l’Italia con una missione in tasca. Si tratta del libretto di John Davies, suo connazionale, sulla Battaglia di Montecassino culminata il 15 febbraio 1944 con il bombardamento del Monastero. Williams cerca spunti e prende appunti: deve cogliere tra impressioni e storia il movente per tanta barbarie. Non la giustificazione, quella mai, l’obbrobrio di ogni guerra resta senza perdono.

28 novembre 2008. Città di Cassino, abbazia sul monte. È questa la meta di Williams, i luoghi degli scontri che ancora sembrano riecheggiare tra le valli e le fenditure del massiccio montuoso. È da qui che parte il richiamo, dalla terra intrisa di tanta giovinezza inutilmente sacrificata che allontana e insieme calcina popoli. Vi arriva a pomeriggio inoltrato, si respira un’aria calda e umida. Alloggia in un B&B colmo di cimeli di guerra. La notte è stata squassata da un forte temporale. Attraverso la nebbia appare il monastero benedettino in tutta la sua impressionante mole e un sotteso, livido rimprovero sembra aleggiare nel cielo basso.

Williams s’imbatte così nella storicità di un evento che ha segnato indelebilmente i Paesi coinvolti, e stretto vincoli di sangue fra etnie di diversa cultura. Qui hanno lasciato la vita migliaia di soldati sulla Linea Gustav, tra cui 343 neozelandesi, i cui discendenti ne ricercano resti e memoria nel Sacrario Militare di Cassino. Voci sommesse nella testa di Williams, spezzoni agghiaccianti di pietà e furore cercano affannosamente di farsi suono che accompagni il lamento di celebrazione. Il libretto di Davies – dedicato alla memoria del padre Ferguson Richard e a tutti i Caduti in Guerra – si è fatto incandescente come la visione di quel che fu eccidio e distruzione e negazione di ogni forma di pietà e rispetto. ‘Fuoco e acciaio’. ‘Carne martoriata’. ‘Soldati e figli’. ‘In culle di legno… ossa silenti’. Attorno, ‘The Juniper Passion’ sullo sfondo di un paesaggio spettrale. Volti e luoghi riemergono dalle nebbie del tempo, come foto ingiallite rigirate fra le mani di un vecchio.

La musica comincia a farsi strada fra brandelli di cuore e nervi tesi, cercando la massima assonanza col senso potentissimo del dramma.

 

Cambia repentinamente lo scenario, spariscono la montagna e l’abbazia e il presente, e i Caduti commemorati nell’ANZAC Day in una cittadina neozelandese prendono corpo e vita per narrare la storia della loro fine.

“Ascolta o figlio mio i precetti di tuo padre, e china l’orecchio del tuo cuore… È tempo ormai di levarci dal sonno”. La ‘santa regola’ la chiave per accedere a una scena troppo greve, ultreumana.

Non è lecito oltrepassare certe soglie. La Vita e la Morte non s’incontrano mai, se non per le vie misteriose dell’Arte.

“Per me si va nella città dolente… lasciate ogni speranza voi ch’entrate”. E sulle orme di Dante si va nell’inferno dell’umana demenza.

Al di là del bene e del male’, a porsi con Nietzsche l’impossibile quesito per un rovesciamento di prospettive e di ‘idoli’: quale rapporto intercorre fra l’umano e il divino, fra la mostruosità e la bellezza, fra la crudeltà e l’amore?

E l’interrogazione continua, e sempre si arricchisce di nuove argomentazioni insostenibili, e indifendibili, che sfociano nella rassegnazione cristiana, con quell’invocazione terribile e consolatoria – ‘Signore, abbi pietà’ – rivolta a un cielo che ruota fra incommensurabili abissi.

E poi ci sono le parole che vengono semplicemente dal cuore, il rifiuto della morte insensata, della perdita di tanti ‘cari figli’ sottratti alla vita per calcoli sbagliati.

Testimone il ginepro, al cui riparo si è imparato l’amore e l’attesa, il fischio delle pallottole e il passo della morte in agguato, il fuoco che divora ed essicca radici.

 

Si sposta la rievocazione fra tempi e luoghi diversi, gli eventi bellici del 1944 in Italia e il Cimitero di Guerra di Montecassino nel 1960, con incursioni in una cittadina della Nuova Zelanda rappresentativa del punto di partenza della storia e luogo di commemorazione di tanti soldati caduti.

Ed è proprio nei pressi del Sacrario del Commonwealth, biancheggiante fra le montagne verdi e lo sfondo chiaro del cielo, immerso in un torpore che allenta i battiti del cuore e cristallizza lacrime, che avviene l’incontro, casuale e risolutivo, fra persone sconosciute e legate tuttavia dalla tessitura di esistenze incrociate.

Una ragazza cammina fra le tombe cercando un nome. Accanto a lei la madre, vedova di un caduto neozelandese. Il loro caro si chiama Joe. E alla tomba di Joe convergono i testimoni di un episodio di guerra imbastito di storicità e fantasia, basato comunque sull’introspezione profonda di fatti e personaggi.

Le due donne, Jessie ed Helen, s’imbattono in un monaco benedettino, Carlo, e la sorella Maria, venuti come ogni anno a pregare sulla tomba di Joe. Un debito inestinguibile li lega alla sua memoria.

Staccandosi da un gruppo di veterani tedeschi, venuti a piangere per il sangue versato di tanti ‘soldati e figli’, sopraggiunge Bruno, ufficiale dell’esercito tedesco ai tempi del conflitto. Anche lui ha più di un insoluto da sciogliere. Joe, testimone silenzioso di una ricerca di perdono che si fa troppo attendere. Avviene la spiegazione fra animi concitati e avversi.

 

Il tempo corre all’indietro, a quel terribile inverno del 1944, alle ultime fasi di una battaglia che si rivelerà inutile e quanto mai sanguinosa.

Carlo è raccolto in preghiera, determinato a non lasciare l’abbazia diventata preda di guerra e terreno di scontro. Vuole salvare le sante reliquie e i tesori d’arte custoditi nel monastero. Ha preso accordi con un tenente tedesco per il trasporto del prezioso patrimonio prima dell’arrivo degli alleati, temendo che tutto venga distrutto come già accaduto col passaggio degli alleati a Napoli. “Dobbiamo proteggere il genio dell’Europa cattolica, l’Arte, e mettere in sicurezza questi tesori dal barbaro rampante”.

La discussione d’allora si ravviva fra Carlo e Bruno sulla tomba di Joe, mentre le donne pregano.

Uno scontro dialettico di perenne attualità, per dibattere la complessa natura umana e i perversi meccanismi che muovono le azioni efferate degli uomini, preda di se stessi e degli eventi e sempre affannosamente in cerca di un’assoluzione che non può venire senza autentico pentimento. Il nemico da distruggere individuato in chi si ha di fronte e non piuttosto nella malvagità che in ogni essere vivente si annida e dall’interno va combattuta.

Dio il baluardo dietro il quale nascondersi e le diverse ideologie le bandiere da sollevare in alto. Così va l’uomo, lacerato dalle contraddizioni e senza nessuna carità per il prossimo suo e per se stesso.

 

Ancora un salto indietro nello spazio e nel tempo. 1940, zona agreste in Nuova Zelanda. Venti di guerra preannunciano il richiamo delle forze del Commonwealth.

La storia incombe. Il suolo nativo sarà difeso dalla minaccia della tirannia fino allo stremo delle forze, ‘se necessario per anni, se necessario da soli’. Le parole pronunciate da Churchill al Parlamento Britannico il 4 giugno non lasciano scampo: l’isola e la dignità di un popolo saranno difesi fino alla morte, se necessario.

Torna viva la memoria dolorosa di una partenza che sarà senza ritorno. Un addio tenero e disperato al riparo del ginepro che vide fanciulli Jessie e Joe, da sempre e per sempre innamorati e ora in procinto di separarsi.

 

Lacrime ancora calde. Al cimitero di Montecassino Jessie piange il suo ragazzo che non invecchierà con lei, confortata dalla vicinanza di Maria che ne comprende tutta la solitudine e il rimpianto. Anche il tedesco esalta il coraggio del combattente, ma esprime rammarico per una vita persa in una lotta non propria. Il monaco riconduce tutto alla ragione suprema della sconfitta del Bene sul Male, ‘Deo gratias’.

Ma la giovinezza si oppone ai misteriosi inumani disegni: suo padre è morto a 23 anni ed Helen non ha mai conosciuto il suo abbraccio e il suo amore. Una parola fatale, l’amore, interpretata come unguento per mitigare ferite o sentimentalismo che offusca la ragione o debolezza contraria a comportamenti virili.

“La donna crea la vita e gli uomini la distruggono” si unisce in coro la voce delle tre donne, e si apre la disputa sulla formazione dell’uomo, forgiato dalla tradizione alla crudeltà al servizio di cause non comprese e non condivise.

Il senso di colpa si manifesta nel tedesco, a disagio nel trovarsi vivo sulla tomba di un eroe involontario. Ci sono ferite che non guariscono mai. E memorie che più chiare appaiono al cospetto della morte. È la resa dei conti con la propria coscienza, fornace di inconciliabili tensioni.

 

Si torna a quel tremendo fine febbraio del 1944, nella cripta dell’abbazia bombardata di Montecassino. Carlo, sotto una coperta, stringe a sé la statua della Madonna intagliata nel ginepro. Entra Bruno armato di pistola che gli intima di rizzarsi in piedi.

“Per me si va ne la città dolente… per me si va tra la perduta gente”.

È il momento decisivo. Il monaco ha ingannato: ha consegnato un pezzo di legno in una cassa e non la statua lignea della Madonna, destinata come le altre opere d’arte custodite nel monastero ad essere trasportata a Spoleto. E Bruno si è appropriato della cassa pensando contenesse la pregiatissima scultura. Voleva donarla a un suo superiore in occasione della celebrazione del trionfo del Terzo Reich, e si è trovato a offrire un pezzo di legno da ardere. Un deplorevole incidente che avrà le sue pesantissime conseguenze: il destinatario del dono, sentendosi beffato, giura vendetta.

Il vortice della storia risucchia e contorce il senso d’ogni cosa. Una statuina, o un pezzo di legno, può creare legami o far saltare accordi. Difendere la propria idea, sia essa religiosa o politica o di libertà, può scatenare reazioni violentissime e rappresaglie inconcepibili quando il demone della guerra possiede e condiziona gli animi, in preda agli impulsi distruttivi indotti dalle ‘ragioni’ belliche.

Due uomini si fronteggiano nel chiuso di una cripta fra le rovine del monastero: il monaco in ginocchio sotto il tiro della pistola del tedesco, tornato in possesso della preziosa Madonna di ginepro. Ed ecco che fra loro s’inserisce il soldato Joe, che spezza la tragicità del momento assumendo il comando della situazione. E viene a trovarsi nel mezzo di una diatriba che, partendo da uno scontro personale, ingloba l’intera condizione umana.

Ognuno spiega i suoi motivi e appone le sue giustificazioni, ma il nodo resta irrisolto: la statuetta scolpita dal bisavolo del monaco e appartenente all’abbazia, il fulcro della violenta disputa. Mentre tutto attorno è distruzione e morte e sospensione di ogni anelito di civiltà.

Alle donne non resta che pregare, e invocare la pietà e la misericordia del Signore per i peccatori di ogni tempo, nella ‘lingua sacra’ della liturgia romana.

Tra le accuse reciproche e le motivazioni a discolpa del monaco e del tedesco, s’inserisce la voce di Joe che dolorosamente racconta la morte di un suo compagno, colpito al ventre durante gli scontri, che egli ha tenuto stretto a sé durante la lunga agonia, parlandogli di quando erano bambini e cavalcavano insieme in riva al fiume.

Di fronte allo strazio dei corpi dilaniati e della terra imbevuta di sangue e di giovinezza, di fronte allo strazio delle madri inconsolabili e degli amici per sempre perduti, che cosa rappresenta il monastero bombardato, solo un edificio già tante volte distrutto e sempre ancora riedificabile, mentre la vita di ogni uomo è unica e irripetibile, e se spesa male nessuno potrà mai risarcirla. Il monaco si rifugia nei dettami della sua dottrina e Joe laicamente affronta il discorso del Cristo riflesso in ogni uomo, e non può ragionevolmente accostare la bestialità di certi comportamenti con l’idea di redenzione, e non comprende e non ammette come si possa fare richiesta di perdono e di accoglienza in paradiso per i combattenti di ogni schieramento, anche per i più feroci e disumani. Ed ecco il pensiero nicciano sulla razza pura, frainteso e strumentalizzato dalla propaganda fascista, inserirsi nel discorso con le parole del tedesco che pone come fine ultimo dell’esistenza umana il raggiungimento della volontà di potenza, mentre nega l’idea d’immortalità – per lui insensata e deleteria – connaturata alle religioni. Lapidaria la sentenza del monaco, che accusa le diverse filosofie di esaltare false dottrine e promuovere l’egocentrismo che assoggetta desideri e scelte. Ancora Joe controbatte con la logica sferzante del pensiero critico, svincolato da aprioristiche certezze, trovando assurda la disquisizione su Dio e l’immortalità dell’anima, che si svolge in mezzo alle rovine provocate da idee contrapposte. Non usa riguardi per i portatori dei diversi credi, dogmatici e inflessibili, ma semplicemente dichiara che l’uomo ha bisogno del divino. Quel divino che è nella vita stessa, in ogni sua naturale manifestazione ed espressione.

E distaccandosi dal contingente, fatto solo di rabbia e dolore, torna la mente del soldato a una ragazza col vento fra i capelli che gli corre incontro a braccia aperte e che lo incita – suo tenero uomo – a correre via da lì, a cercare rifugio nel ginepro, testimone dei loro incontri e del loro addio.

Le voci si fondono, si annullano differenze e distanze, l’uomo è tale sotto ogni cielo, con le sue speranze e afflizioni e le immancabili contraddizioni, sempre in bilico fra la bestia e l’angelo.

Caos di voci, l’amore che chiama, l’amore che invoca, l’amore che rimprovera. Antico e nuovo testamento ancora e sempre da avvalorare e convalidare, sempre colmo il calice di fiele e d’assenzio.

Poi il silenzio. E si consuma la tragedia nel silenzio rotto da uno sparo. Fra il tedesco e il monaco in lotta per il possesso della Madonna di ginepro, s’interpone Joe e sarà la vittima designata di uno scontro di civiltà condotto sul filo di logiche contrapposte e avverse, irriducibili. Sarà il suo petto a fermare la pallottola partita dalla pistola passata, nella colluttazione, nelle mani del monaco.

E con le parole di Zarathustra – ‘ora volo, ora mi vedo sotto di me; ora un dio danza in me’ – risuona la fede nell’uomo, sempre uccisa e sempre risorta, come il principio d’ogni salvifica certezza poggiante su concrete ragioni umane: in ogni uomo c’è Dio, ogni uomo dio di se stesso.

 

Tutto torna al suo principio, nell’eterno svolgersi dell’avventura umana. Joe e Jessie, riuniti dalla potenza del ricordo e dal sentimento reso immutabile dall’azione della morte, vivono il loro momento di completa estasi, dopo aver superato barriere di dolore. Li aspetta la frescura del ginepro, testimone accorto di tanti moti e recrudescenze dell’agire umano, e non è stata vana attesa il ritorno di un soldato caduto, rimasto vivo nel cuore di una ragazza mai invecchiato, con la sensazione del vento sulla pelle e lo scorrere tranquillo del fiume, e quella promessa mantenuta di ritrovarsi nel segreto luogo della loro intimità.

 

The Juniper Passion, opera drammatica in tre atti che già nel prologo esprime, attraverso la commistione dei diversi generi e stili musicali e artistici, il qualcosa di nuovo e già conosciuto che subitaneamente invade i sensi e conquista l’animo, rendendo partecipi di una storia che anziché chiudere un capitolo apre a inesauribili riflessioni, sempre percorse e mai giunte a conclusione.


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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