Nella tarda mattina del 13 lascio Piacenza -dopo una dormita favolosa- e vengo portata alla stazione per andare a Milano Lambrate dove i compagni dell'Anpi di Monza verranno a “raccattarmi”. Uso scherzosamente il verbo che mi attribuisco quando -come mi piace- arrivando in un posto mi trasformo con mia grande soddisfazione in un fagotto, che si affida e non ha più bisogno di stare attenta a orari e posti. Prendo un regionale, infrequentabilissimo: pieno da non trovare un posto se non a gran fatica, eppure è sabato mattina; ci sono però una quantità enorme di persone, le più con bagagli del pari enormi. Sono sempre sorpresa dalla quantità di cose che la gente si trascina dietro, si direbbe che tutti e tutte stiano sempre facendo trasloco tramite ferrovia. Beh! pace amen! Temo quasi di non riuscire a scendere, una volta che mi sono incastrata negli stretti sedili dei regionali, così vicini che io stessa che sono un tappo viaggio con le ginocchia in bocca, figurarsi le persone di normale statura, figurarsi i e le giovani che adesso crescono come il sedano, beh! di nuovo pace amen! del resto a Lambrate scendono in molti e vengo trascinata dalla corrente fino sul marciapiede, dove mi avvista subito, facendo segnali e sorrisi il Comité d'accoeuil monzese (misericordia! sono tutti alti come corazzieri). Divento subito un fagotto e vengo portata affettuosamente verso Villasanta, non lontano da Monza, dove l'Anpi locale ha organizzato una bella serie di eventi sulla presenza delle Donne nella Resistenza, con un ricco volantino sul quale oltre alle molte iniziative e una mostra, campeggia superbamente con sorriso smagliante e basco in testa una mia foto, vicino a quella di una giovane donna di schiena che regge per il manubrio una bicicletta.
Arriva pian piano gente, bambine donne in quantità, vengo intervistata dalle bambine delle elementari con una specie di curiosità mista a soggezione, sono bambine molto ben educate, mi diverto; poi si passa alla manifestazione e dibattito. Sorpresa! arrivano anche due altre donne anziane e partigiane che prima non erano conosciute e raccontano, quella più in là con gli anni, è del '20, mi batte, l'altra invece è del '39, era bambina. Ma davvero straordinaria la vivacità e forza e profondità delle narrazioni. La veterana vispissima narra col solito atteggiamento antieroico delle donne che hanno fatto cose grandi con leggerezza, quasi come se giocassero. Ma se hanno visto cose orrende, tenute nel loro cuore per sempre, anche quelle raccontano con grande umanità: ad esempio la meno anziana dopo che ho raccontato la vicenda di alcune fucilazioni per strada a Novara, la mia città natale, alle quali la mia sorellina fu costretta ad assistere col mitra alla schiena e la vicenda dei cadaveri lasciati lì sulla pubblica via tutta la notte, sicché chi arrivava dal treno inciampava nei cadaveri o scivolava sul sangue rappreso o su materia cerebrale sparsa, scuote la testa e narra che lei non può dormire, ancora adesso, senza che le vengano incontro nel sonno cadaveri pezzi di ossa tracce di sangue e di materia cerebrale, galleggianti nell'acqua, come aveva visto da bambina, a Genova morti ammazzati buttati a mare nel porto.
Viene fuori anche qualche curiosità sui rapporti con i ragazzi e non nascondo che erano abbastanza frequenti episodi non gravi di doppia morale, ma non perdòno ancora oggi il fatto che proprio a Milano alla grande manifestazione del 25 aprile 1945, alle donne partigiane fu vietato dai grandi capi, non da qualche uomo di moralità antiquata, di comparire, segnando di una nota vergognosa la nostra presenza. Il che fa felice una donna che applaude.
Alla fine si passa al pranzo sontuoso al quale faccio onore, come sempre. E poi il parco e la villa reale! i mitici monumenti di Monza, verso i quali ho grande curiosità e non minore ignoranza. Infatti vengo a sapere che la villa è reale perché fatta da Maria Teresa e che anche in questo caso si giustifica la ancor verde memoria della gran donna che appunto fu Maria Teresa d'Austria che ancora è rievocata popolarmente in Trentino e Sudtirolo col detto elogiativo: “ai tempi di MariaTeresa!”. Infatti l'impero austroungarico era naturalmente uno stato assoluto, un miscuglio incredibile di nazionalità, che riuscì però a stare insieme per la grande abilità amministrativa e di governo illuminato. Mio suocero che vedeva con stupore i sudtirolesi di Bolzano obbligati a imparare l'italiano e sotto il fascismo a parlare solo e obbligatoriamente italiano, soleva dire di non aver dovuto mai imparare una sola parola di tedesco, perché quando dal natio Trentino aveva bisogno di qualcosa da Innsbruck, città capitale del Tirolo storico dal quale dipendeva anche Trento, scriveva in italiano e in italiano riceveva risposta, dato che -come dicevano orgogliosamente- tutti gli uffici pubblici erano attrezzati per corrispondere nelle sette lingue ufficiali dell'impero.
Entriamo nel parco, la giornata è definitivamente non solo soleggiata, ma anche mite e stiamo al sole come lucertole, è la prima volta quest'anno, una bellezza. Mi immergo nell'atmosfera del Lambro, un compagno che ha assistito alle vicende della mattinata, mi regala un suo libro di poesia racconti canzoni, con annesso disco: una interessante forma di espressione multipla, alla quale ritornerò, spero che se mando una recensione la pubblichino su qualche giornale locale. Il Lambro è un mondo, e il parco pure, una cosa sterminata, un vero gioiello.
Verso la fine del pomeriggio un gruppo di compagne vuole che vada a far visita anche a un centro sociale, che ha occupato uno spazio pubblico e lo gestisce come spazio di dibattiti. Ci trasferiamo, il centro sociale ha una facciata di graffiti e murales, tra i quali campeggia il volto del padre partigiano di una delle compagne, arrivo festeggiatissima e ben accolta, per ascoltare il racconto di una ricerca fatta da un compagno sulla Resistenza post 25 aprile, dirò.
È un tema che sta riprendendo: mi è capitato di andare a Milano non molte sere fa a presentare un libro su Moranino, per il quale ho anche scritto la prefazione, oggi il centro sociale,e si preannunciano racconti e celebrazioni delle varie volanti rosse ecc. Quando prendo la parola racconto di aver pensato che dovessimo tenerci pronti/e a continuare la Resistenza fino a tutto il dibattito per il referendum monarchia/repubblica e di aver dichiarato in pubblici comizi che incitavo a votare repubblica per ragioni storiche generali, perché il Risorgimento aveva avuto repubblicani illustri e poi “per la pace, perché se vince la monarchia noi partigiani/e non staremo fermi, ma vorremo finire il lavoro incominciato: se vince il re vince già di nuovo il fascismo”.
Ciò detto e mai nascosto, voglio dire chiaro -come anche al centro sociale di Monza ho fatto- che cercare di rinfocolare l'idea della lotta armata oggi, per ottenere risultati politici, ad esempio per fare la rivoluzione, è una stupida follia.
Per la seguente ragione fondamentale: che gli stati nazionali oggi non sono in grado di difendere la loro popolazione da attacchi esterni (contro l'atomica a non c'è stato che tenga), ma sono così organizzati da essere invece in grado di stroncare nel sangue col consenso popolare qualsiasi azione armata di propri concittadini. In altri termini la “forza pubblica”, cioè la violenza legittimata dello stato può stroncare qualsiasi attacco interno. Non può venire di buono nulla da un incrudelimento senza pari, come quello che è provocato da una guerra civile, che scoppi dentro uno stato borghese democratico.
È un discorso che mi riprometto di riprendere, perché coinvolge la situazione internazionale e la situazione del diritto internazionale. Che non può essere sostituito di fatto dalla forza dell'imperialismo USA.
Al centro sociale accenno a vari temi e richiamo una lettura non semplificata del dopoguerra della seconda guerra mondiale, Churchill e lo sdoganamento dei crimini nazisti con l'armadio della vergogna e l'uso della Germania in funzione antisovietica ecc. ecc.
Questo è tutto un sistema di riflessioni, l'altro è sulla natura e caratteristica del socialismo e del comunismo che vogliamo: c'è lavoro politico e gloria per tutti/e.
A questo punto si torna al parco e si mangia polentina e vari accompagni e poi a nanna e l'indomani, messa sul treno dai compagni di Monza proprio come un fagotto torno a casa a Bolzano, viaggiando bene e incontrando una ragazza molto giovane che sta leggendo un fumetto politico sulle 15 vite di 15 cattive ragazze, secondo il motto femminista per cui le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive ovunque. Che si vuole di più dalla vita?
Lidia Menapace