Il costruttore Solness (titolo originale Bygmester Solness) è una delle ultime opere del grande drammaturgo norvegese Henrik Ibsen (1828-1906), risalendo al 1892. In quella parola – aggettivo, sostantivo? – c'è tutto. Tutto e niente. Costruttore di che cosa? E per che cosa? Halvard Solness è un uomo ricco, potente, affermato nella sua professione, eppure è tormentato, infelice, solo, insicuro e pauroso del successo altrui, ossia dei giovani che potrebbero soppiantarlo. Di umili origini Solness ha raggiunto e conquistato il successo, ma il tarlo del passato e del rimorso lo divora. I piccoli figli morti nell'incendio della sua vecchia casa di legno (paradossalmente, l'incipit della sua irresistibile fortuna imprenditoriale) e la malattia psichica della moglie – che in scena non compare mai, ma con la sua presenza aleggia come un triste e costante memento – sono come chiodi piantati nell'anima, laceranti, silenziosi e strazianti.
Nel frenetico succedersi di ville, costruzioni e “focolari” per famiglie edificati dal costruttore di fama – ciò che cela il grande vuoto esistenziale – giunge Hilde Wangel, una giovane “innamorata” del grande costruttore, colui che un giorno dieci anni prima si era arrampicato in cima all'altissimo campanile da lui progettato ed edificato per deporvi, in pieno fulgore di pensiero e di azioni, potenzialità e prospettive, una corona. Immagine indelebile per una dodicenne che dal passato torna a saldare una sorta di conto, catalizzatrice di imprevedibili reazioni.
Solness pare rinascere all'innocenza e al fuoco della ragazza. Una sottile e implacabile tensione erotica pervade i protagonisti. Il gioco della seduzione sembra restituire forze e possibilità, speranze, “castelli in aria”, ma in ogni camino c'è una fessura che può disperdere fumo e scintille, il divampare del fuoco distruttivo... Proprio come nel correre dei giorni. Proprio come nell'inconscio.
Scarni gli arredi di scena – un cubo, una poltrona, delle liste trasparenti a separare i due soli ambienti (neanche esterno e interno: due interni del medesimo luogo: come una irrisolvibile dicotomia), perché la battaglia è tutta interiore, fra sé e sé. Solo le luci mutano, segnando i passaggi temporali, indovinati più che visti, straniti, un po' come avviene tra la veglia e il sonno, tra la realtà e il sogno. E non c'è lieto fine in questo dramma di sapore nordico e ordine universale.
Dopo la prima nazionale di giovedì 4 aprile Il costruttore Solness, riscritto e diretto da Roberto Trifirò, rimarrà in scena al Teatro Filodrammatici sino al 14 aprile. Lo stesso Trifirò ne è il principale interprete insieme con Sonia Burgarello, Angelo De Maco, Luigi Maria Rausa ed Elisabetta Scarano. Scene e costumi sono di Paola Danesi, il progetto luci di Andrea Diana e Tony Zappalà; assistenti alla regia sono Beatriz Lattanzi e Chiara Zerlini; la produzione è del Teatro Filodrammatici, il progetto in collaborazione con Teatro MA.
«Ibsen è il primo autore a penetrare nelle oscure profondità dell’animo umano fino a liberare i desideri dell’inconscio» spiega Roberto Trifirò. «Sotto quella che può essere una realtà apparente percepita con i sensi si nasconde una realtà più profonda e misteriosa alla quale si può giungere solo attraverso un’intuizione. Con l’utilizzo di un eloquio quotidiano riesce a creare una poesia che sorge dalla realtà, lasciando fluire le confessioni più intime e gli squassanti tormenti dei protagonisti. Questi, che prendono vita nella loro contemporaneità, si trasformano in un pretesto, una scacchiera sulla quale l’autore li muove nei loro incontri solo apparentemente casuali. Una simbologia che diventa sempre più forte con l’avvicinarsi della maturità dell’autore».
Alberto Figliolia
Il costruttore Solness, Teatro Filodrammatici, via Filodrammatici 1, Milano. Info e prenotazioni: tel. 02 36727550, www.teatrofilodrammatici.eu. Orari spettacoli: mar, gio e sab 21, mer e ven 19:30, dom 16.