Si è aperta a Palazzo Strozzi a Firenze, in collaborazione con il Musée du Louvre, la straordinaria mostra dal titolo La primavera del Rinascimento. La scultura e le arti a Firenze, 1400-1460 aperta fino al 18 agosto, a cura di Beatrice Paolozzi Strozzi e Marc Bormand. L’esposizione, che presenta circa centoquaranta opere, si propone di illustrare, in dieci sezioni tematiche, la genesi di quello che ancora oggi si definisce il “miracolo” del Rinascimento, soprattutto attraverso capolavori di scultura: l’arte che per prima se ne è fatta interprete. Dopo una “premessa” dedicata alla riscoperta dell’Antico fra Due e Trecento – con Nicola Pisano, Arnolfo e i loro successori – e all’assimilazione da parte degli scultori toscani della ricchezza espressiva del Gotico maturo, all’alba del nuovo secolo i due rilievi con il Sacrificio di Isacco di Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi, vincitori del concorso per la seconda porta del battistero fiorentino, e il modello della cupola brunelleschiana costituiscono il momento fondante del primo Rinascimento e danno avvio al percorso dell’esposizione. Sulla scia degli umanisti che già nel secolo precedente (da Petrarca fino a Collucci Salutati, diffondono i testi classici, indicando in essi gli ideali politici su cui fondare la libertas della Repubblica fiorentina, gli artisti, e gli scultori in modo particolare, si fanno interpreti diretti della restituito antiquitatis, stimolati dalla consonanza dei marmi che quotidianamente lavorano con i reperti dell’antica Roma. In quegli anni, i successi politici della Repubblica fiorentina, la sua potenza economica e la pace sociale diffondono attraverso gli scritti di grandi umanisti il mito di Firenze come erede della repubblica romana e come modello per gli Stati italiani.
Narra il Vasari che poco dopo il concorso del 1401, mentre Ghiberti dava inizio ai battenti bronzei della Porta nord, Brunelleschi parte alla volta di Roma. Lo accompagna il giovanissimo Donatello (1388-1466), spinto anche lui dal desiderio di conoscere a fondo ogni angolo della città e delle sue rovine: quel lungo soggiorno è fondamentale per entrambi, consentendo a Filippo di scoprire principi architettonici che impostarono la sua successiva attività e a Donatello di assimilare, da rilievi e statue classiche, una sensibilità che lo avrebbe influenzato per sempre. La scultura pubblica monumentale di Donatello, Ghiberti, Nanni di Banco – all’opera nei grandi cantieri della cattedrale e di Orsanmichele – è la prima e più alta testimonianza di questa nuova temperie culturale e spirituale: le figure “eroiche” di santi e profeti, che questi artisti realizzano reinterpretando modelli antichi, incarnano allo stesso tempo l’ideale civico e quello religioso e influenzano profondamente, nello spirito e nella forma, la pittura di artisti come Masaccio, Paolo Uccello, Andrea del Castagno o Filippo Lippi, che la mostra propone a diretto confronto. Attraverso la scultura, non solo la grande statuaria, ma tutti i generi più significativi dell’arte classica vengono assimilati e trasformati nel nuovo linguaggio, a dimostrazione del fervore creativo della città. Sull’esempio di Marco Aurelio del Campidoglio a Roma, rinasce il monumento equestre simulato in pittura e audacemente prospettico quello di Giovanni Acuto, di Paolo Uccello, all’interno della cattedrale di Firenze; realizzato lontano dalla città, per la Repubblica di Venezia, il grandioso bronzo donattelliano del Gattamelata, che gli era stato commissionato fin dal 1443, anno della morte del «capitano generale». Il monumento sorge sulla piazza antistante la basilica antoniana, perciò in quel luogo importante per la vita cittadina e di grande rilievo per l’impostazione ambientale. Innanzi tutto bisogna sottolineare che qui, forse per la prima volta dopo l’antichità classica, la statua si svincola dalla concezione della scultura come parte integrante dall’architettura (addossata a un muro o racchiusa in una nicchia) per proporsi come forma autonoma, come volume liberamente rapportato allo spazio. Studi in disegno, modelli, derivazioni (come la gigantesca Protome Carafa) testimoniano in mostra la genesi e la fortuna di entrambi i modelli.
Il riferimento alla classicità avviene anche nel segno della grazia e, sulla scia di Donatello, persino le sculture monumentali si popolano di “spiritelli”, il nome che dell’arte antica, declinati (anche in mostra) in numerosissime varianti, sacre e profane. E ancora, le ricerche di uno spazio razionale, l’invenzione della prospettiva brunelleschiana e la sua elaborazione negli scritti di Leon Battista Alberti trovano proprio nella scultura le loro formulazioni più avanzate: a partire dai bassorilievi donatelliani – come la giovanile predella del San Giorgio e il Banchetto di Erode di Lilla – fino alle opere di Desiderio di Settignano o di Agostino di Duccio.
Altro tema che connota fortemente la scultura fiorentina del primo Quattrocento è quello delle Madonne col Bambino. Fin dagli anni Venti, i nuovi canoni stilistici messi a punto dai grandi maestri e illustrati da alcuni capolavori – come la donatelliana Madonna Pazzi di Berlino o la Madonna di Fiesole, attribuita a Brunelleschi o a Nanni di Banco – si moltiplicano, attraverso l’uso di calchi, in una produzione sconfinata di rilievi (in marmo, stucco, terracotta) destinati alla devozione privata, che consentono una capillare diffusione del gusto per la bellezza “nuova” in ogni strato sociale e fondano un vero e proprio canone estetico. Le terrecotte invetriate di Luca della Robbia, che la sua bottega produce e replica con successo sempre maggiore, costituiscono il caso più rappresentativo dell’irraggiamento, in Italia e fuori, dell’arte rinascimentale attraverso la scultura. Allo stesso tempo, Firenze vede concentrarsi nei luoghi di solidarietà e di preghiera (chiese, confraternite, ospedali) la generosità dei cittadini e la committenza artistica più prestigiosa. Di particolare rilievo – anche nel percorso della mostra – sono il grande complesso ospedaliero di santa Maria Nuova, in cui lavorano nel corso del Quattrocento scultori e pittori di prima grandezza; e il nuovo Spedale degli Innocenti, progettato da Brunelleschi e archetipo di una tipologia architettonica (ma anche sociale) che avrà grande fortuna. La rinascita di generi come il ritratto scolpito vede la sua genesi verso la metà del secolo – nei busti marmorei di Mino da Fiesole, Desiderio da Settignano, Antonio Rosselli – si prefigura il passaggio della committenza pubblica al mecenatismo privato dei grandi banchieri e mercanti fiorentini che caratterizzerà l’età medicea nella seconda metà del secolo.
Maria Paola Forlani