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In libreria/ Giuseppe Carnovale. Nessuna pagina rimanga bianca 
Prefazione di Alberto Figliolia
29 Marzo 2013
 

Nessuna pagina rimanga bianca... Ogni vita è un libro dalle infinite pagine, un romanzo denso di avvenimenti, come di non avvenimenti: i fatti accadono e anche non accadono o rimangono sospesi; ogni vita è raro broccato e preziosa seta che fruscia al tocco dei giorni che si susseguono voraci o pietosi, talora indifferenti; ogni vita è desiderio e abbandono; ogni vita è, soprattutto, mistero. Quel mistero da scrivere e che senza posa si deposita. Nessuna pagina rimanga bianca... Leggi, volti e cambi pagina e non sai quel che ti spetta e ti aspetta, se gioia o dolore, se tragedia o farsa, se odio o amore e in quale strana/stranita comunione o stupita commistione.

Giuseppe Carnovale, per gli amici Pino, non sapeva in quelli che erano stati gli impervi sentieri della sua vita che cosa fosse la poesia. Poi, un giorno, per un sapiente scherzo del Caso o del Destino (le iniziali incise in maiuscolo fiammeggiante) che indossava il volto di un caro amico, si è ritrovato in un corso di scrittura creativa, là iscritto senza saperlo o volerlo. Nel Laboratorio di lettura e scrittura creativa della Casa di reclusione di Milano-Opera Pino ha incontrato una Signora (maiuscolo anche qui), Silvana Ceruti, maestra, pedagoga, formatrice, italianista e amante della poesia, provvista, oltre che di competenza e professionalità, di garbo, sensibilità, intelligenza della mente e del cuore – materie, osiamo dire, rarefattesi in questi talvolta confusi, mediocri e superficiali tempi storici –: un incontro fatale e una strada da percorrere, un itinerario. Pino ha contratto da allora un inguaribile morbo: l'amore per la lettura e la scrittura, l'amore per la poesia. Un benefico virus che gli ha felicemente sconvolto l'esistenza, che gli ha aperto immensi e inusitati orizzonti, oltre qualsiasi muro, gabbia od oggetto di separazione, fisico o astratto che fosse («Ritto in piedi come osservatore d’orizzonti./ Sondo il buio e volo lontano./ Sento la pienezza del vuoto,/ trattengo speranze e desiderio d’aiuto./ Attendo nuove forze gravitazionali./ Centrifugo il tempo che si dissolve/ come bruma al vento»). Un dono. Quella sorgente che poteva parere inaridita dentro l'anima di un uomo rinchiuso, che aveva ferito e che era stato ferito, ha ripreso a zampillare e l'acqua a scorrere limpida sino a farsi fiume, un corso carsico dapprima, poi alla piena luce, alla meta della feconda vastità oceanica. Tale è il miracolo della parola che si fa mondo e relazione e offerta di sé agli altri.

Sono trascorsi molti anni e dalle prime incerte prove ed esercizi è nato un poeta: potente, meditativo, filosofico (non stona quest'aggettivo), il cui grido è riscatto esistenziale, novella fiducia. Risuona nei versi di Giuseppe Carnovale una forza primeva, in apparenza senza mediazioni (invero ciò è assicurato dal vincolo della forma), uno stile assolutamente proprio e originale, un'affermazione d'identità e valori, una ricerca inesausta (anche di ogni potenzialità del lessico). Febbrile è la sua scrittura, poi incessantemente limata, totale la dedizione. «Dialogare con l’allegoria del pensiero/ del vuoto esistenziale: per questo/ un giorno iniziai a scrivere i miei pensieri/ con l’ansia di non possedere/ abbastanza dimestichezza con i verbi./ Perdonate la modestia del mio stile/ e la completa assenza di sapienza tecnica./ Non so se è saggio aspirare/ a un raggio di luce nascente/ dove tutto è buio./ Quel che si attende verrà/ in un giorno inatteso,/ verrà tutto solo/ e che importa se il solito black out/ attanaglia le membra/ e la metafora si insinua/ tra tempi e spazi di una aletheia/ già trovata che ancora cerco». Rabbia, rimpianti e rimorsi, sedimenti e incrostazioni di scelte sbagliate, poi... l'Aletheia: lo svelamento, il dischiudersi, la verità, la sincerità, tutto ciò che già sta in una pagina bianca, che dimora e aleggia nella poesia. L'inchiostro dall'anima fluirà inarrestabile e indelebile perché Nessuna pagina rimanga bianca...

Una parabola esemplare, quella dell'autore del presente volume, emblematica, di come una rotta possa cambiare, aggiustandosi, i venti rendersi benevoli e il veliero approdare al porto della salvezza dopo esser stato nella tempesta più distruttiva, sotto un cielo di tenebre, sopra un mare di piombo fuso. Con ardore e con pazienza... «Dapprima entrai in questo mondo libero,/ vi rimasi ostaggio: i miei occhi non hanno/ visto il miracolo, solo la vita mi ha sorpreso,/ è stata la legge degli uomini che mi ha colto/ alla sprovvista./ Giocavo con la vita mia e quella altrui?/ Quella che parla è la mia voce ripetuta/ che nel tempo condusse i miei pensieri/ dentro la visione./ Nelle parole del mio lamento c’è una quiete/ dentro, come se niente esistesse:/ diventare meno e sempre meno./ A voce bassa, a passi corti,/ chino sulle ginocchia, dico le preghiere/ a mani vuote questa notte,/ per riposare un momento./ Ma tu prendimi, sonno, al volo/ inquieto della mente assente./ Se solo potessi spiegare con parole/ ciò che sento direi a Dio/ tutto il mio tormento per dimenticare/ la Babele della vita che fu./ Porrò domani le basi per un sole senza aloni,/ lo grido al vento che spira dal futuro».

Perché ogni uomo ha una visione o dovrebbe averla, nutrirla, allevarla: guai a coloro che dei visionari diffidano. I visionari sono i più e meglio informati dei segreti del creato, anche se l'inconoscibile regna pacifico. E Pino conduce i suoi “pensieri dentro la visione” e la restituisce: orficamente, con il sublime, con forza ascetica e, insieme, con gran concretezza. E che cosa è “diventare meno e sempre meno” se non la più serena considerazione del nostro essere passeggeri, transeunti, nel calendario delle ere? Eppure la parola poetica consegna... consegna all'eternità, un hic et nunc senza fine. La solitudine stessa non fa più paura... «tutto il mio tormento per dimenticare/ la Babele della vita che fu./ Porrò domani le basi per un sole senza aloni,/ lo grido al vento che spira dal futuro». Non è pronunciata, ma brilla e scintilla come “un sole senza aloni” una parola, un concetto sentimentale: la Speranza. Non più rabbia, rimpianti e rimorsi, l'incalcolabile cifra del dolore, quel senso di colpa onnipresente e dilaniante, bensì la Speranza che cammina, seppur “a passi corti”, e soffia dentro le gallerie e i canyon dello spirito ed è un grido di gioia, catartico, “che spira dal futuro”.

Pino, come ogni poeta, sa vedere oltre. Accenti sapienziali e da illuminato, da veggente, «Nell’aria superiore... Camminai lungo la Via Lattea,/ vidi nei freddi archivi delle costellazioni/ riflettersi galassie luminose/ attraversate da stelle impazzite!/ Si vede da lontano il corpo che si sbriciola/ pian piano, un’immagine, un miraggio/ nel rituale del paesaggio che s’incontrava/ prima che l’infinito incontrasse noi./ Il destino dell’uomo è perdere/ ogni suo bene. E noi mutanti/ abbiamo la memoria corta:/ problemi di definizione, forse,/ e la mente è confusa, combattuta/ fra rispetto che nega la conquista/ e sensi come la colpa che sconfessa/ la nostra gestazione». Soffermiamoci su... «E noi mutanti/ abbiamo la memoria corta:/ problemi di definizione, forse»... Come non rimaner colpiti da questa immagine? Un ribaltamento amaro, di finissimo sarcasmo, un paradosso, quasi un ossimoro. E poi chi è mutante e perché? Chi è diverso da chi nel viaggio di esplorazione che dobbiamo compiere dopo “la colpa che sconfessa la nostra gestazione”? Eppure indomito è l'afflato cosmico... “prima che l'infinito incontrasse noi”.

Pino sa vedere oltre... «Il mormorio di là./ La lingua degli stranieri/ implora il Dio Allah:/ con le mani snocciolano/ il rosario./ Noi, incuriositi, li guardiamo/ mentre recitano il Corano:/ pregano sul suolo di questa/ terra che li ignora./ Conoscono i tragitti/ della mala sorte,/ negli occhi vaga la speranza/ della metamorfosi;/ l’aria sgorga da lacrime e parole,/ il sangue versato in tanti/ anni di miseria;/ continuano a masticare/ la saliva amara del mattino,/ si asciugano i lividi/ e cercano risposte./ Chissà cosa pensano/ quando tutto tace,/ forse i loro pensieri/ sono altrove/ lontano dal battito del cuore». Eccolo un senso, il senso: l'umana compassione, l'empatia, la solidarietà che tutti dovrebbe legarci e non estraniarci... «continuano a masticare/ la saliva amara del mattino,/ si asciugano i lividi/ e cercano risposte». Tutti cerchiamo risposte perché non bisogna smettere di porsi domande. Non ho alcuna esitazione nel definire questa poesia come un capolavoro. Il gentile e acuto lettore potrà tuttavia scoprire nello svolgersi del volume come l'ars poetica di Giuseppe Carnovale, per gli amici Pino, sia raffinata e ricca – volutamente ne ho riportato ampi stralci –, straordinariamente possente nella sua umiltà, come essa si propaghi lieve come un'aura al tramonto marino, glorioso come un fuoco nella notte dei tempi, rassicurante come un faro nella notte, soave come il lucore di un'alba su ondeggianti campi di grano, ardente come la passione che ci popola il cuore. E, in aggiunta, un'indagine lirica sul male con il necessario antidoto, una lezione morale – senza pedanteria né saccenteria e con invincibile (e pur implacabile per gli effetti) modestia (non un limite, tutt'altro) – a chi pensi di possedere la verità, a chi è “fuori” senza sapere che tutti, in un modo o nell'altro, siamo “dentro”. Scrivere è consapevolezza e coscienza e la poesia un atto d'amore.

«Leggi questi versi che ti lascio,/ leggili quando il silenzio del mondo/ si impossessa di me./ Generoso lettore, bruciali/ se non ho scritto/ quello che volevi leggere/ benché siano scritti/ con stimmate d’inchiostro/ che rende la loro tinta immacolata/ con la voce o il silenzio del morire/ a ogni istante./ Nei giorni tristi, nelle lunghe notti vuote/ troppi pensieri imprigionano la mente,/ troppa lucidità abbaglia i sensi:/ la troppa verità sconcerta/ e il sole sprofonda nelle fiamme/ del lontano orizzonte e presto/ il tramonto arriverà al culmine/ attraversando ogni possibile fase/ di ritrovo; lungo la deserta solitudine/ ciò che ci circonda è senza fine./ Il tempo all’improvviso cessa in un istante,/ la nostra sofferenza sarà finita». Non senti il tono di un epitaffio, ma scorgi la mano tesa: a un invito; un invito a conoscersi, a conoscere in maniera non artefatta. Ed è, con commozione, vero e genuino anelito.

Caro Pino, Nessuna pagina rimanga bianca... Nessuna pagina rimane mai bianca. Auguri per il tuo libro e la tua vita.

 

Alberto Figliolia


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