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Maria Paola Forlani. Giacomo Manzù e il Concilio Vaticano II 
Un nuovo volto dell’uomo nelle opere di un Maestro del Novecento
Papa Giovanni. Studio prel. per
Papa Giovanni. Studio prel. per 'Porta di San Pietro', Raccolta Manzù 
26 Marzo 2013
 

Nell’ambito delle manifestazioni per la ricorrenza del 50° anniversario di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II (ottobre 1962) la Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro di Bologna, ricorda questo momento storico, artistico e spirituale con un’esposizione dedicata al grande scultore Giacomo Manzù (908 – 1991), in considerazione anche del rapporto intercorso tra l’artista e il cardinale Giacomo Lercaro, uno dei quattro moderatori del Vaticano II. La mostra – a cura di Andrea Dall’Asta, Francesco Buranelli, Marcella Cossu, Giulia Manzù, Francesca Passerini, Elena Pontiggia – comprende una cinquantina di opere realizzate tra il 1929 e il 1988, molte delle quali – sculture, disegni, incisioni e pitture – provengono dalla Raccolta Manzù di Ardea collegata con alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Altre, dalle collezioni della Fondazione Manzù di Ardea e della Raccolta Lercaro di Bologna. Sono inoltre esposte fotografie dell’epoca e parte di una corrispondenza epistolare intercorsa tra Manzù e alcuni significativi protagonisti del periodo, in particolare il cardinale Giacomo Lercaro.

Il rapporto tra cristianesimo e arti visive si configura nel mondo europeo, pur tra alterne vicende, come la storia di una stretta e feconda alleanza. La relazione tra arte e fede trova le sue giustificazioni negli stessi testi fondatori del cristianesimo, a cominciare dal celebre versetto del Prologo del Vangelo di Giovanni: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria di grazia e verità» (Gv 1, 14). Il Dio invisibile si è reso visibile attraverso una forma. Dio può essere rappresentato: Dio nessuno l’ha mai visto: «proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18). Dio si è incarnato nella storia dell’uomo. In una pluralità disarticolata di voci e di proposte, l’atteggiamento della Chiesa sembra segnato dallo smarrimento e di disagio sin dall’affermazione delle Avanguardie. Dal Concilio Vaticano II a oggi, la Chiesa Cattolica ha continuamente espresso volontà e impegno di dialogo con l’arte contemporanea. Tuttavia non può certo dirsi ancora sanato quel divorzio tra fede, di clero e il popolo, e potenza immaginativa degli artisti, denunciato nei primi decenni del XX secolo dallo svizzero Alexander Cingria (1879 – 1945) e dal francese Claudel, come causa prima della decadenza dell’arte sacra. All’interno di questo dibattito si inserisce il contributo del filosofo neotomista Jacque Maritain, che pubblica Art et Scolastique in cui aveva affermato che l’artista cristiano doveva mirare e realizzare un’opera d’arte autentica, non a connotare forzosamente il proprio lavoro con etichetta cristiana. Nel 1931 esce il primo numero di Arte Sacra. In apertura, compare un articolo di Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI. L’arte sacra deve rinnovarsi. Non ci può essere una semplice imitazione di modelli del passato. Ogni epoca deve creare le proprie forme espressive, secondo la stretta relazione di tradizione tomista Bene-Bello: «Il bello è bene che si offre come spettacolo per fare amare l’essere». In Francia, Padre Marie Alain Couturier e Padre Pie Raymond Régamey nella rivista L’art Sacré affrontano alcuni problemi centrali dell’arte sacra contemporanea. Si tratta di un lavoro straordinario dalle cui riflessioni nascono le cappelle di Vence e di Romchamp, il convento domenicano de La Tourette. Una svolta decisiva nella riflessione sul rapporto arte-fede avviene con il Concilio Vaticano II che manifesta una particolare attenzione alla frattura esistente tra il mondo dell’arte e quello della Chiesa.

Il 7 maggio 1964, Papa Montini invita gli artisti, nel famoso discorso della Sistina, a essere protagonisti della vita della Chiesa. Nel 1966 è pubblicata la nota pastorale della Conferenza episcopale sull’Adeguamento delle Chiese secondo la riforma liturgica, documento che sottolinea il rapporto che deve sussistere tra immagini e spazio architettonico. Nel 1999 Giovanni Paolo II scrive agli artisti: «La vostra arte contribuisca all’affermarsi di una bellezza autentica che, quasi riverbero dello Spirito di Dio, trasfiguri la materia, aprendo gli animi al senso dell’eterno».

La mostra “Giacomo Manzù e il Concilio Vaticano II. Un muovo volto dell’uomo nelle opere di un maestro del novecento” fa riferimento, in particolare, al periodo compreso tra la vincita del primo concorso per le porte della basilica di san Pietro in Vaticano sul tema Il Trionfo della Chiesa (1949 – 48), le successive elaborazioni, specchio di una vicenda complessa segnata da tribolazioni interiori (1949 – 60), e l’approdo alla realizzazione dell’opera universalmente conosciuta, la Porta della Morte (1961 – 64). Seguendo lo snodo delle diverse sezioni emergono i temi fondamentali che hanno caratterizzato il percorso di Manzù: dal rapporto con don Giuseppe De Luca, caro amico e consigliere, a quello più conosciuto e maggiormente indagato con papa Giovanni XXIII. Emerge soprattutto l’urgenza di accordare i grandi temi della tradizione cristiana con una spiritualità che affonda le proprie radici nella realtà dell’uomo contemporaneo, drammaticamente segnata dalla guerra e dall’ingiustizia. Solo radicandosi nell’opacità della realtà umana è possibile intraprendere cammini di liberazione e di riconciliazione. Attraversato dall’intuizione di questa verità, l’artista elabora quindi un nuovo linguaggio figurativo che, negli anni Sessanta, diventerà espressione di quell’apertura e di quel rinnovamento auspicato e realizzato dalla Chiesa grazie al Concilio. In esposizione non mancano tuttavia soggetti più “profani” – come alcuni ritratti di Inge, compagna di una vita – che mostrano la vitalità creativa, la sua sottile vena lirica, emotiva, la sua dolcezza inequivocabilmente lombarda, testimonianza senza sovrastrutture contenutistiche di un cristallino rigore formale

 

Mi piace qui ricordare, che, dopo la Mostra di Chagalle alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo dei Diamanti di Ferrara e a Casa Cini, (allora Istituto di Cultura) don Franco Patruno, Franco Farina e Monsignor Arnaldo Fraccaroli (allora responsabile della Raccolta Lercaro) s’incontrarono con la Fondazione Manzù, per attivare un’esposizione del maestro bergamasco in quella che era stata la casa natale del conte Cini… Una mostra rimandata, dopo l’esposizione dello scultore Minguzzi,… Ma quelle sale espositive, ormai, non ci sono più, non ci sono più le biblioteche, non c’è più il museo d’arte sacra e neppure l’Istituto di Cultura…

I giovani e gli artisti sono stati cacciati da una diocesi cupa e senza amore per l’arte e per la cultura e che mai ha compreso il messaggio della Gaudium et Spes (N.62):

«Bisogna perciò impegnarsi perché gli artisti si sentano compresi dalla Chiesa nella loro attività e, godendo di un’ordinata libertà, stabiliscano più facili rapporti con la Comunità cristiana…»

Sant’Agostino ha scritto nelle Confessioni una frase preziosa: «La bellezza, che attraverso l’anima, si trasmette alle mani dell’artista, proviene da quella bellezza che sovrasta le anime, cui l’anima mia sospira giorno e notte» (Confessioni liber X, 34, 53). Proviene cioè da quel Dio che egli definisce «Bellezza di ogni bellezza» (ib. III, 6, 10).

 

Maria Paola Forlani


Foto allegate

Studi per la
Manzù nella fonderia di Ardea. Archivio Fondazione Manzù, Ardea
Manzù e papa Giovanni. Archivio Fondazione Manzù, Ardea
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