E ancora… «progettare significa ridare senso alla vita come attimo meraviglioso dell’eterno, ricerca di appartenere al mondo fantastico della natura, significa togliere la maschera che il mercato impone all’inutile».
Una profonda spiritualità anima le parole di Giuseppe Galimberti ed apre a un mondo dove dominano armonia e desiderio e rispetto e libertà e ricerca. E l’acqua scorre a ricordare la vita, il suo inesorabile «tracciar sentieri» e mentre tutto sembra scorrere verso la fine, Galimberti invita a non tralasciare nessuna risorsa e di raccogliere i molti segnali ed elementi che proprio e solo la natura offre all’uomo, eterno viandante sopravvissuto al naufragio dell’Arca. È così che la «casa effimera» si connota come luogo concesso da Dio alla terra degli uomini, quasi un rapimento dal cielo, un beneficio a termine, un sodalizio con il creatore che non deve essere sprecato, disilluso.
C’è un tempo dell’uomo che non va sprecato, è un biglietto di sola andata la vita.
«Il tentativo di assegnare al mercato il compito di Dio» è un misfatto, «è inutile e genererà paura». E quindi il progetto dell’architetto della «casa effimera» si esplicita man mano che si entra nel dialogo accogliente tra Galimberti e Magoni per significare la necessità di un ritorno alle radici generatrici, all’archè originaria, alla parola e ai silenzi delle cose che ci circondano. «Lo spazio si dilata, posso sentire l’infinito che esiste oltre la montagna», sono parole di Magoni indicative di un’intervista che si trasformerà, complice la natura, in “incontro”.
E anche gli incontri sono rari.
Aiutato dall’utopia l’uomo affida al proprio inconscio lo svelamento della parola vera che si origina dal silenzio e dalla meditazione. E vita e morte coesistono senza antinomia come necessarie l’una all’altra nell’armonia cosmica del creato «non temo la morte, la sento amica, specchio di me vivo, le parlo e le scrivo, ogni giorno».
E la morte restituisce ai pensieri di Galimberti volti di donne amate, occhi a cui è stato bello sorridere, mani da pianista e corpi flessuosi in accordo con la vita e con le leggi della natura. Da questa impostazione di vita e arte non potevano certo escludersi i dissensi e i progetti rimasti nei cassetti. Non credo personalmente ad un mondo nuovo che non accoglie la tradizione lasciataci dai padri, penso piuttosto che una logica di consumo abbia prevalso omologando tutto, cose e persone, nel perseguire quelli che sembravano vantaggi economici immediati e sono altrettanto convinta, e questo Galimberti lo pone al centro della sua ricerca, che una vita senza piacere, senza bellezza, senza ricerca formi mentalità che altro non possano produrre che progettazioni in conflitto con la natura da molto ormai considerata schiava dell’uomo. L’utilizzo di spazi preesistenti, il rispetto dei fiumi, il creare città come polis è progetto politico, sociale e umano solo di chi ha ascoltato il fluire di un fiume, cercato l’origine delle cose nella natura e di chi soprattutto si è interrogato senza presunzione sull’essenza originaria della vita.
Sono molto grata a questo scritto, alla natura che ho sentito fare corpo unico con le parole, di cui ho filtrato il silenzio e la commozione della vita e della morte nel nostro essere “effimeri” passeggeri di questo vivere.
Patrizia Garofalo
Piergiuseppe Magoni, “Giuseppe Galimberti Architetto”
in Tellus 33, L'Almanaccone 2013
LABOS Editrice, 2013, pagg. 268, € 17,50
Oltre che in una qualificata rete nazionale di librerie, il volume è ottenibile, con lo sconto abbonamento (Euro 15,00) e senza altri oneri per spese postali, anche rivolgendosi direttamente all'Editrice >> labos@retesi.it