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Il benvenuto alla primavera di Eduard Mörike 
di Gabriella Rovagnati
21 Marzo 2013
 

Dopo il Congresso di Vienna del 1815, con la Restaurazione, si sviluppò nel mondo di lingua tedesca quel movimento spirituale e artistico che si suole definire Biedermeier e che si protrasse grosso modo fino alla metà del XIX secolo. Il movimento prese nome, a posteriori, dal protagonista di una serie di poesie pubblicate sulla rivista di Monaco Fliegende Blätter [Fogli volanti, 1855 segg.]: Biedermeier era un tipico piccolo-borghese, tutto dedito alla propria sfera privata e lontano da ogni forma di coinvolgimento collettivo. Caratterizza quest’epoca il culto un po’ filisteo della pace domestica (i cui segreti sono difesi da candide tendine di pizzo o custoditi nei panciuti cassettoni dei mobili dell’epoca), accompagnato da posizioni politiche acritiche e sostanzialmente rassegnate e conservatrici. Esponente di spicco di questa corrente fu il canonico svevo Eduard Mörike (nato a Ludwigsburg nel 1804 e morto a Stoccarda nel 1875), la cui opera narrativa più nota è Mozart auf der Reise nach Prag [Mozart in viaggio per Praga, 1856]. La novella racconta un episodio inventato della vita del compositore austriaco, che, nell’autunno del 1787 si sta recando con la moglie Konstanze da Vienna a Praga per assistere alla prima del Don Giovanni. Durante una pausa del viaggio, Mozart – per una serie di circostanze – si trova a proporre un saggio della propria musica nel castello di un conte che sta festeggiando quella sera il fidanzamento di una sua nipote. È la futura sposa a cogliere di Mozart quell’eccesso di talento che lo condannerà a una morte precoce. Genio e tormento caratterizzano il Mozart di Mörike, non un godereccio libertino rococò, ma un uomo “segnato” da un destino fatto insieme di elezione e di disgrazia incombente. Si tratta di un testo attraversato da una profonda malinconia e da un invincibile senso d’angoscia, come lo è nell’insieme l’opera di questo scrittore, narratore e poeta erede del romanticismo, autore di versi melodiosi che sanno far confluire le reazioni di tutti i cinque sensi di fronte a un oggetto o a un paesaggio, anche in pochi versi, capaci di trascendere la concretezza per assumere valore metaforico o simbolico. Ne è un esempio una delle sue liriche più famose, che per la sua apparente semplicità era un tempo lettura “canonica” nella scuola tedesca. È la poesia con cui Mörike preconizza l’arrivo della primavera:

 

Er ist’s

 

Frühling lässt sein blaues Band
Wieder flattern durch die Lüfte;
Süße, wohlbekannte Düfte
Streifen ahnungsvoll das Land.
Veilchen träumen schon,
Wollen balde kommen.
- Horch, von fern ein leiser Harfenton!
Frühling, ja du bist’s!
Dich hab’ ich vernommen!
(1828)

 

 

Eccola

 

Primavera la sua banda azzurra
Di nuovo sventola per l’aria;
Dolci e ben note brezze
Presaghe percorron la campagna.
Già sognano le violette
Ben presto di dischiudersi.
– Senti, da lungi quel lieve suono d’arpa!
Primavera, sì, sei tu!

È te che ho inteso!

 

Chi conosce la provincia sveva, con i suoi morbidi colli affacciati sulle sponde del pigro Neckar, e la pace dei suoi villaggi silenziosi, con le piazzette su cui s’affacciano case di graticcio in cui finestre e balconi in marzo sembrano vibrare nell’attesa di scrollarsi di dosso il lungo inverno per riempirsi di coloratissime petunie e di cascate di gerani, coglie subito l’ansia di rinnovamento che attraversa questi versi di Mörike, musicati da Hugo Wolf e da Robert Schumann. Certo, è la stessa campagna che un secolo prima aveva fatto del giovane Schiller un libertario dello Sturm und Drang e dalla quale, un secolo dopo, sarebbe fuggito per non farvi mai più ritorno uno dei grandi ammiratori di Mörike, Hermann Hesse. Mörike invece – nonostante i molti traslochi che caratterizzarono la sua vita – non abbandonò mai la sua Svevia, che amò profondamente, ovviando alla sua limitatezza rifugiandosi nel sogno e nell’utopia e inventandosi in alternativa insieme ai suoi amici l’isola magica di Orplid, popolata di fate e di elfi. Una radicale astrazione dalle bruttezze della realtà alla ricerca dell’idillio caratterizzò l’intera produzione di questo poeta, all’apparenza un pedante e pacato vicario di provincia, in realtà capace di travolgenti passioni e di pesanti rinunce, non particolarmente fortunato negli affetti e tuttavia sempre disposto a uno sguardo sul mondo che, come nei versi dedicati alla primavera, cerca di coglierne le nascoste armonie.


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