Dopo il Congresso di Vienna del 1815, con la Restaurazione, si sviluppò nel mondo di lingua tedesca quel movimento spirituale e artistico che si suole definire Biedermeier e che si protrasse grosso modo fino alla metà del XIX secolo. Il movimento prese nome, a posteriori, dal protagonista di una serie di poesie pubblicate sulla rivista di Monaco Fliegende Blätter [Fogli volanti, 1855 segg.]: Biedermeier era un tipico piccolo-borghese, tutto dedito alla propria sfera privata e lontano da ogni forma di coinvolgimento collettivo. Caratterizza quest’epoca il culto un po’ filisteo della pace domestica (i cui segreti sono difesi da candide tendine di pizzo o custoditi nei panciuti cassettoni dei mobili dell’epoca), accompagnato da posizioni politiche acritiche e sostanzialmente rassegnate e conservatrici. Esponente di spicco di questa corrente fu il canonico svevo Eduard Mörike (nato a Ludwigsburg nel 1804 e morto a Stoccarda nel 1875), la cui opera narrativa più nota è Mozart auf der Reise nach Prag [Mozart in viaggio per Praga, 1856]. La novella racconta un episodio inventato della vita del compositore austriaco, che, nell’autunno del 1787 si sta recando con la moglie Konstanze da Vienna a Praga per assistere alla prima del Don Giovanni. Durante una pausa del viaggio, Mozart – per una serie di circostanze – si trova a proporre un saggio della propria musica nel castello di un conte che sta festeggiando quella sera il fidanzamento di una sua nipote. È la futura sposa a cogliere di Mozart quell’eccesso di talento che lo condannerà a una morte precoce. Genio e tormento caratterizzano il Mozart di Mörike, non un godereccio libertino rococò, ma un uomo “segnato” da un destino fatto insieme di elezione e di disgrazia incombente. Si tratta di un testo attraversato da una profonda malinconia e da un invincibile senso d’angoscia, come lo è nell’insieme l’opera di questo scrittore, narratore e poeta erede del romanticismo, autore di versi melodiosi che sanno far confluire le reazioni di tutti i cinque sensi di fronte a un oggetto o a un paesaggio, anche in pochi versi, capaci di trascendere la concretezza per assumere valore metaforico o simbolico. Ne è un esempio una delle sue liriche più famose, che per la sua apparente semplicità era un tempo lettura “canonica” nella scuola tedesca. È la poesia con cui Mörike preconizza l’arrivo della primavera:
Er ist’s
Frühling lässt sein blaues Band
Wieder flattern durch die Lüfte;
Süße, wohlbekannte Düfte
Streifen ahnungsvoll das Land.
Veilchen träumen schon,
Wollen balde kommen.
- Horch, von fern ein leiser Harfenton!
Frühling, ja du bist’s!
Dich hab’ ich vernommen! (1828)
Eccola
Primavera la sua banda azzurra
Di nuovo sventola per l’aria;
Dolci e ben note brezze
Presaghe percorron la campagna.
Già sognano le violette
Ben presto di dischiudersi.
– Senti, da lungi quel lieve suono d’arpa!
Primavera, sì, sei tu!
È te che ho inteso!
Chi conosce la provincia sveva, con i suoi morbidi colli affacciati sulle sponde del pigro Neckar, e la pace dei suoi villaggi silenziosi, con le piazzette su cui s’affacciano case di graticcio in cui finestre e balconi in marzo sembrano vibrare nell’attesa di scrollarsi di dosso il lungo inverno per riempirsi di coloratissime petunie e di cascate di gerani, coglie subito l’ansia di rinnovamento che attraversa questi versi di Mörike, musicati da Hugo Wolf e da Robert Schumann. Certo, è la stessa campagna che un secolo prima aveva fatto del giovane Schiller un libertario dello Sturm und Drang e dalla quale, un secolo dopo, sarebbe fuggito per non farvi mai più ritorno uno dei grandi ammiratori di Mörike, Hermann Hesse. Mörike invece – nonostante i molti traslochi che caratterizzarono la sua vita – non abbandonò mai la sua Svevia, che amò profondamente, ovviando alla sua limitatezza rifugiandosi nel sogno e nell’utopia e inventandosi in alternativa insieme ai suoi amici l’isola magica di Orplid, popolata di fate e di elfi. Una radicale astrazione dalle bruttezze della realtà alla ricerca dell’idillio caratterizzò l’intera produzione di questo poeta, all’apparenza un pedante e pacato vicario di provincia, in realtà capace di travolgenti passioni e di pesanti rinunce, non particolarmente fortunato negli affetti e tuttavia sempre disposto a uno sguardo sul mondo che, come nei versi dedicati alla primavera, cerca di coglierne le nascoste armonie.