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Roberto Malini. Traffico di schiavi e organi nel Sinai: bisogna combatterlo con più efficacia
02 Marzo 2013
 

Milano, 22 febbraio 2013 – La condizione dei profughi subsahariani nel Sinai è sempre più tragica. Israele ha avviato da un anno a questa parte una campagna contro i migranti senza documenti provenienti da Eritrea, Etiopia, Sudan e altre nazioni africane, incentrata sulla realizzazione di una barriera lungo il confine con il Sinai, un muro lungo 250 chilometri costantemente pattugliato con mezzi terrestri e aerei. La costruzione della barriera, che è ormai vicina al completamento, è stata accelerata dai numerosi tentativi di superamento del confine finalizzati ad attacchi terroristici da parte di gruppi jihadistici. Alcuni giorni fa, le autorità egiziane hanno fermato una banda di trafficanti che stavano rifornendo i movimenti armati nella striscia di Gaza con armi e due tonnellate di esplosivo. Il 7 febbraio scorso le forze di sicurezza egiziane hanno sequestrato, inoltre, un enorme quantitativo di missili terra-aria destinati ai gruppi armati palestinesi. Contemporaneamente, sono stati bloccati contrabbandieri intenti ad immettere in Israele 250 chili di hashish.

Il governo di Israele, tuttavia, sembra in preda a una vera fobia verso i rifugiati, contro i quali ha istituito misure draconiane che consentono di detenerli e deportarli senza alcun rispetto dei loro diritti. L'anno scorso il Knesset (parlamento israeliano) ha approvato – nonostante le proteste del Gruppo EveryOne, discusse durante la stessa riunione dell'assemblea parlamentare – un emendamento alla Legge per la Prevenzione delle Infiltrazioni che consente l'imprigionamento dei migranti provenienti dall'Africa subsahariana, nel terribile campo di detenzione di Saharonim, nel Neghev settentrionale, senza processo.

Attualmente circa 60 mila profughi eritrei, etiopi e sudanesi vivono nello stato ebraico, senza documenti e senza che siano valutate le richieste di asilo o protezione temporanea, in violazione della stessa carta costituzionale israeliana e della Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, di cui Israele fu uno dei primi firmatari. Se queste misure hanno rallentato il flusso di profughi verso Israele, esse, vista la contemporanea chiusura delle frontiere europee (resa ancora più ferrea dagli accordi stipulati fra il governo italiano e le nazioni del nordafrica da cui per lungo tempo sono partite le “carrette del mare”) sono contemporaneamente causa di una condizione intollerabile per chi fugge da nazioni in cui sono in corso gravi persecuzioni e non ha più una via di salvezza, visto che i campi profughi in Etiopia e nello Yemen sono sovrappopolati e non offrono più condizioni di vivibilità. Per non parlare della condizione dei rifugiati nel Sudan, dove – particolarmente nel grande campo di Shagarab – sopravvivono in condizioni disumane e sono preda della criminalità organizzata, che li rapisce dallo stesso campo profughi per poi pretendere un pesantissimo riscatto (fino a 50 mila dollari pro capite) dalle loro famiglie all'estero, minacciando di trasferirli sul mercato degli organi qualora le loro richieste non vengano soddisfatte. Centinaia di profughi africani perdono la vita ogni anno proprio perché sacrificati al mercato nero dei reni, delle cornee e di altri organi umani. Dopo le continue azioni civili condotte da Ong come New Generation Foundation for Human Rights ed EveryOne Group, affiancate dal “Progetto contro la schiavitù” avviato nel 2011 dalla CNN, il governo egiziano ha iniziato a combattere la tratta di schiavi, perseguendo alcuni trafficanti e procedendo con la chiusura dei tunnel verso la striscia di Gaza, gestiti da leader del terrorismo palestinese in simbiosi con i trafficanti delle tribù Rashaida, Sawarka e Tarabin. Le autorità egiziane, grazie alle denunce e ai dossier presentati dalle Ong, hanno appurato come i proventi dei traffici, che raggiungono nel Sinai la cifra di 35 milioni di dollari ogni anno, servano di fatto a rifornire gli arsenali dei movimenti jihadistici.

Dopo anni di impegno contro i traffici di esseri umani e organi nel Sinai, siamo riusciti a mobilitare le principali istituzioni internazionali, a partire dalle Nazioni Unite e dal Parlamento europeo, che esercitano una continua pressione sull'Egitto affinché questa forma odiosa di crimine organizzato sia combattuta con mezzi adeguati. Attualmente anche la Germania sta discutendo in parlamento l'eventualità di un intervento a sostegno della lotta al traffico nel Sinai. Tuttavia la vigilanza non deve allentarsi, perché l'organizzazione che gestisce i traffico di esseri umani e organi ha radici in Eritrea, Sudan ed Egitto, dove può contare sull'appoggio di autorità corrotte e dei movimenti jihadisti. Attualmente anche un gran numero di eritrei, etiopi e sudanesi vicini all'integralismo armato collabora con i trafficanti, rendendo ancora più complesso e terribile questo fenomeno criminale. I trafficanti, inoltre, hanno basi di appoggio nei paesi arabi, in Israele, nell'Unione europea e in tutto il mondo, dove fluisce il denaro dei riscatti e della vendita di organi tramite agenzie di 'money transfer' e banche. È fondamentale istituire un organismo di controllo di questi trasferimenti di denaro, se si vuole fermare il traffico di schiavi, i cui proventi finanziano poi il mercato delle armi. È altrettanto vitale sostenere l'opera dei pochi difensori dei diritti umani che operano nel Sinai per salvare i profughi dall'orrore dei traffici: primo fra tutti l'attivista di Arish Hamdy Al-Azazy, direttore della Ong New Generation Foundation for Human Rights – insignito con il “Premio Makwan” 2011 e candidato al “Premio Nansen” 2013 – al centro di attacchi di ogni genere contro la sua persona e la sua opera. Per indurlo a interrompere la sua azione e le sue denunce, i trafficanti hanno sottoposto suo figlio Abdul Rahman a un terribile pestaggio, che ha costretto il piccolo a subire delicati interventi a un occhio per evitare di perderlo. Nei giorni scorsi Hamdy, stremato dal gravoso impegno per salvare la vita ai rifugiati, combattere i trafficanti e assistere i migranti accolti nelle carceri del Sinai, è stato colpito da un attacco cardiaco, da cui ci auguriamo si ristabilisca presto.

 

Roberto Malini

Gruppo EveryOne

 

 

Nella foto, l'attivista del Sinai Hamdy Al-Azazy con suo figlio Abdul Rahman, poche ore dopo l'aggressione da parte di alcuni trafficanti


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