Trentadue anni non sono molti, sei figli e due gravidanze perse invece sono tanti. Viene dalla Somalia; non da un paesino sperduto dove alcuni di noi immaginano che si mangino a vicenda; viene da Mogadiscio, la capitale. La capitale di un Paese martellato della fame e, peggio, dalla guerra.
Decise di intraprendere il viaggio della speranza; l’orribile viaggio della dubbia speranza. Vuole che i suoi figli arrivino «lontano»: possano assaggiare un pasto al giorno e possano arrivare ai 50 anni!
Il viaggio è troppo pericoloso per portarli con sé; li abbandona in un abbraccio e con loro in cuore fa avamposto. È partita sei mesi fa. Ha affrontato i camion affollati dove le persone viaggiano come noccioline in pacco sottovuoto anemico di aria; abbrustolita dal secco e rovente vento del deserto.
Attende nel fondo della Libia finché la partenza arriva. Due notti e tre giorni nella buia e morente stiva di un barcone che quasi sprofonda nelle acque di un mare mai visto.
Incastrati sono. La faccia di quello di fronte le sta appiccicata. Da tre giorni ha davanti a sé uno spettacolo dantesco: quel sconosciuto che l’assomiglia nell’angoscia e la disperazione. È come guardarsi allo specchio.
Sente grida dall’alto: «Lampedusa!» Ma per quelli della stiva è vietato anche quel momento di salvezza.
I dolori la stritolano ma li nasconde sotto un sorriso di gratitudine finché dopo altri due giorni di sofferenza casca a terra. La diagnosi non è bella: trombosi venosa massiva con embolia polmonare, dicono i medici. Un neofito avrebbe detto: rischia di morire.
Da tanto tempo si parla della malattia che si presenta nei viaggiatori che sono costretti a stare fermi a lungo negli aeri negli stretti spazi dell’economy class degli aeri. Ma nei barconi è peggio.
Quelli che non hanno i soldi sufficienti per un posto migliore finiscono nel più oscuro, angusto e sperduto angolo di una stiva. Lei i soldi li aveva, ma quelli non contano quando si è donna.
È andata a finire in out class. Ma quel che gli scafisti non hanno saputo è che con il loro gesto orribile l’avevano convertita, come tante altre, in una fuori classe.