22 Febbraio 2013
Prefazione
di Mario Luzi
Sto cercando, Caterina, di venire a capo di questo intrigante rebus. Come accade che le tue poesie, semplici e dirette, desunte con lineare emozione dall’esistenza e dai pensieri sull’esistenza – «Estranea mi sento / ai comuni artifici» – e anche da certe fugaci e illuminanti intuizioni che essa suggerisce, tendano poi e si accostino a un loro assoluto: e raggiungano una loro profondità logica e linguistica che dà a chi le legge o le ascolta il timbro e la vibrazione, appunto, della irrefutabile poesia.
Semplicità come vocazione ed essenza e semplicità come ideale stilistico da salvaguardare – sei arrivata presto a districarti dalle insidie del letterario, del superfetatorio che sono sulla strada degli scrittori di versi della nostra lunga epoca post-simbolista che ha resistito a tutti gli attacchi delle poetiche contrarie che volevano divorarla o macinarla.
Lo avevi già fatto in gran parte nel tuo libro precedente che raccoglie tutto ciò che avevi prodotto in versi fino ad allora (1996): L’obliqua magia del tempo.
Chiarezza e buona fede spontanee e sicurezza istintiva avevano ben diretto la tua scelta. Ricordo a questo proposito una bella pagina di Carmelo Mezzasalma sulla libera, franca richiesta dell’anima nello studio a te dedicato. Anima, un tema nudo e giusto che ti si addice. Oggi quello che si presentò come essenziale e connaturale è salito alla ferma dignità di principio etico ed estetico. Presiede dunque al tuo lavoro immancabilmente, ti esprime tutta quanta nella tua parte naturale, consapevole e volontaria.
Questa chiarezza intellettiva cresciuta sulla chiarezza di natura ti giova, certo. Ma c’è ancora qualcosa di inesplicabile come sempre è inesplicabile il quid più segreto (e unico in definitiva, e decisivo) della poesia. Risiede, è nascosto, mi pare, in quel martellamento intimo sulle parole, sulle sillabe, sui ritmi. Viene, credo, da una zona inesplorata e irraggiungibile di te e dei tuoi convincimenti vitali. È come un battito cardiaco e similmente è in rapporto solo con il mistero generale della vita. A questo ordine appartiene anche la crescita di livello e appartengono la variazione, l’affabilità, l’alzata di tono della tua poesia che resta “semplice”. Proteggila oppure, meglio ancora, non farci caso.
Ali di farfalla e canto meravigliato
di Martha L. Canfield
Nella poesia italiana del Novecento il periodo postsimbolista è stato molto lungo, come ha lucidamente osservato Mario Luzi, e ha condizionato le scelte di stile dei poeti che solo eccezionalmente si sono azzardati a rompere i canoni e ad aprirsi a forme “irriverenti”, accettando il linguaggio colloquiale, frasi dialettali mescolate con l’italiano, irregolarità sintattiche, ripetizioni e altre formule in genere viste come “antipoetiche”. Ma la scuola – per dirne due – di Andrea Zanzotto e di Edoardo Sanguineti ci mise non poco ad acquistare accoliti. Tra la sponda della poesia più sperimentale e quella di alto registro postsimbolista o ermetico, alcune poche voci hanno seguito una strada diversa, amica dell’essenzialità e della trasparenza, coltivando un linguaggio insieme semplice e profondo. Questo è il caso di Caterina Trombetti. Non ci deve pertanto meravigliare che Luzi – che riteneva il suo ermetismo giovanile qualcosa di assimilabile al “peccato originale” – ammirasse in lei soprattutto quella essenziale semplicità.
Il presente libro, Fiori sulla muraglia, si offre subito al lettore con la forma immediata e invitante di un “cammino” da condividere, lungo il quale i fiori annunciati emergono, reali o simbolici, per confermare che la strada intrapresa è in grado di produrre non soltanto ostacoli o dolori – muri o muraglie – ma anche motivi di gioia e godimento esistenziale.
Restare attenta ai segnali più sottili e delicati che l’anima sensibile può trasmettere o scoprire attraverso le creature tutte, anche quelle apparentemente più insignificanti – «Leggere, poi, sulle ali-farfalla / i chiari suoni che sempre componi» – è un dono personale; ma forse, sembra dirci l’autrice, è una lezione possibile da imparare. Se dall’amore umano Caterina Trombetti può passare con lieve naturalezza all’amore divino (v. A mani giunte ancora) è proprio perché ha imparato che la presenza di Dio abita e si nutre di ogni singola creatura, donde la già citata farfalla – essere minuscolo e fugace, squisitamente intrascendente – può divenire la forma del messaggio trascendente: ammette, in effetti, la poetessa rivolgendosi al suo Dio o «Padre Grande» che, dopo averlo cercato nella parte più nascosta, l’ha intravisto «nel volo lieve di una farfalla».
Questa fiduciosa ed emotiva percezione del trascendente nella realtà immediata, questa forma di incantato panteismo, forse lei l’ha imparato frugando in altre religioni, al di là della nostra tradizione ebreo-cristiana, laddove Dio è unico, onnipotente e misericordioso; ma soprattutto, come il Varuna della religione vedica, si rivela garante dell’ordine cosmico. Essere in cammino, ci insegnano queste poesie, significa imparare a guardare ogni particella dell’universo, animata o inanimata che sia o che sembri, per scoprirne l’anima che vi risiede e, attraverso la conseguente comunione, arrivare «alla fine» a quella forma di sapienza che porta – lo assicurano questi versi – «alla gioia / dell’universale sorriso» (v. In cammino).
Nel disagio e nel fallimento delle società che abbiamo creato, al di là dei sistemi economici scelti, nel disastro della natura che vediamo compiere sotto i nostri occhi e di cui la scienza ecologica non riesce a renderci abbastanza consapevoli da prendere misure definitivamente efficaci, i versi di Caterina Trombetti ci regalano una autentica gioia di vivere, che si alimenta di quella «energia pura» che vibra sotto il sole e a noi si comunica come un «prodigio d’amore» (v. Soli nel sole), e una serena saggezza che ha radici lontane, più orientali che occidentali, capace di costituirsi nel miracolo del «canto perenne» in cui tutto vibra, perfino la «impenetrabile roccia» (v. Un canto perenne).
Fra tutti i simboli che emergono da questi versi, forse ce n’è uno particolarmente ideale per riassumere il carattere della voce poetante e per chiudere queste riflessioni: la donna gufo, protagonista della poesia omonima. Essa incarna la femmina, che deve per forza affrontare il buio della notte (si legga le difficoltà della vita quotidiana), e tuttavia ogni suo scoraggiamento viene superato dalla forza stessa della vita, che si rinnova a ogni sorgere del sole, incoraggiandola e contagiandola, incitandola a fare quello che da sempre ha saputo e dovuto fare: assumere la propria passionalità, la propria sempre feconda femminilità, il suo – alla fine invincibile – istinto di sopravvivenza.
Ed ecco il pesante risveglio
che porta ancora la notte con sé
e la sua densa oscurità.
[…]
Ma è la vita che chiama
e che incalza,
ineluttabile mischia.
Così ogni volta
la donna gufo
si tuffa nell’onda,
arma forte il suo cuore
lo incendia
indomita avanza
e riconquista la luce.
Caterina Trombetti
Fiori sulla muraglia / Flores en la muralla
Testo spagnolo a fronte
Florence Art Edition, 2012, pagg. 96, € 10,00
(1ª ed. Passigli, 2000) |