In corso a Ravenna
fino al 16 giugno 2013
Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per altri (Arthur Schopenhauer)
Il MAR Museo d’Arte della Città di Ravenna prosegue la sua indagine su temi di grande e notevole originalità per la ricerca e gli approfondimenti con una mostra dal titolo Borderline. Artisti tra normalità e follia. Da Bosch a Dalì, dall’Art Brut a Basquiat, a cura di Claudio Spadoni, direttore scientifico del museo, di Giorgio Bedoni, psichiatra, psicoterapeuta, docente presso l’Accademia di Brera e di Gabriele Mazzotta, con il supporto della Fondazione Mazzotta di Milano che n’è, anche, l’editore del catalogo.
L’obiettivo della mostra, aperta fino al 16 giugno 2013, è di superare i confini che fino ad oggi hanno racchiuso l’Art Brut e l’“arte dei folli” in un recinto, isolandone gli esponenti da quelli che la critica (e il mercato) ha eletto artisti “ufficiali”. È convinzione assai diffusa che il genio non possa raggiungere la sua massima espressione creativa senza la contaminazione di una dose di follia. Nell’immaginario comune, l’artista è colui che non subisce la realtà, la amplifica, la modifica, la (ri)crea e la distorce fino al paradosso.
È l’anticonformista che rifugge le regole e i vincoli della società borghese; rifiuta l’omologazione e sfida le convenzioni sociali, semplicemente perché ha una visione diversa del mondo, dell’animo umano così delle piccole cose. Il genio si nutre della capacità di guardare la realtà da una prospettiva inusuale, non ordinaria; rende visibile ciò che, per la maggior parte di noi, non lo è. Si può, quindi, affermare che la follia, a volte, rappresenti l’unica vera condizione di autenticità capace di favorire esperienze umane e artistiche pure e incontaminate, immuni da condizionamenti che le relazioni sociali comportano. Già nella cultura europea del XX secolo diversi protagonisti delle avanguardie e psichiatri innovatori guardarono con luce nuova le esperienze artistiche nate nei luoghi di cura per malati mentali. Le ricerche di quegli anni avevano avviato una revisione radicale di termini quali “arte dei folli” e “arte psicopatologica”, prendendo in esame queste produzioni sia come sorgenti stesse della creatività quanto come modalità propria di essere nel mondo, da comprendere al di là del linguaggio formale. Lo stereotipo dell’artista pazzo e visionario nasce con il romanticismo che attribuisce alla pazzia un nuovo valore estetico. Dalla depressione di origine psichica che affliggeva Michelangelo alla sindrome schizoide di Edvard Munch, passando per l’encefalopatia di Goya e le allucinazioni e le crisi epilettiche che devastarono la mente del grande Vincent Van Gogh, l’esempio più celebrato e analizzato di “artista folle e malato”, il binomio genio-follia ha definito intere generazioni.
L’unica differenza tra me e un folle è che io non sono folle. (Salvator Dalì)
Sarà nel 1912 che Paul Klee, in occasione della prima esposizione del movimento artistico del Blaue Reiter alla Galleria Thannhauser di Monaco, ad individuare nelle culture primitive, nei disegni infantili e in quelli dei malati mentali le fonti dell’attività creativa.
Nel 1922 lo psichiatra tedesco Hans Prinzhom pubblicò un testo dal titolo Bildnerei der Geisteskranken (“L’attività plastica dei malati di mente”) che segnerà la fine dello sguardo positivista sulle produzioni artistiche nate negli ospedali psichiatrici.
Infine, nel 1945 Jean Dubuffet conia la nozione di Art Brut avviando così una nuova epoca di ricerche in questo campo. Il termine bordeline da un ampliamento della classificazione psicoanalitica classica dei disturbi mentali, raggruppati in nevrosi e psicosi, e significa letteralmente “linea di confine”. Oggi questo termine individua una condizione critica della modernità, antropologica prima ancora che clinica e culturale. In questo senso la mostra intende esplorare gli incerti confini dell’esperienza artistica al di là di categorie stabilite nel corso del XX secolo, individuando così un’area della creatività dai confini mobili dove trovano espressione artisti ufficiali ma anche quegli autori ritenuti “folli”, “alienati” o, detto in un linguaggio nato negli anni ’70, “autsiders”.
Il percorso della mostra, dopo una ampia introduzione introspettiva, con opere di Hieronymus Bosch, Pieter Bruegel, Francisco Goya, Max Klinger e Théodore Géricault, si apre con una prima sezione dal titolo “Disagio della Realtà” dove sono presenti importanti opere di: Pierre Alechinsky, Karel Appel, Jean Dubuffet, Gastone Chaissac, ecc., mentre la seconda sezione “Il “Disagio del corpo” comprende lavori dove è protagonista il corpo come estensione della superficie pittorica e talvolta opera stessa nelle sue più sorprendenti trasformazioni, descritte in toni lucidi, poetici, talvolta violenti. Segue una sezione dal titolo “Ritratti dell’anima”, in cui una sequenza di ritratti e soprattutto autoritratti, quale tema tra i più frequentati dai pazienti delle case di cura, riflette un’interessante ricerca introspettiva. Sfilano opere di Francis Bacon, Enrico Baj, Michel Basquiat, ecc. e maschere Sepik, come emblema di arte primitiva, a cui segue un’intera sala dedicata ad Aloïs Corbaz, storica autrice dell’Art Brut. La mostra prosegue con una sezione dedicata alla scultura, la “Terza dimensione del mondo”. Infine, nel “Sogno rivela la natura delle cose”, viene definito l’onirico come fantasma del Bordeline con una sezione di dipinti di surrealisti, oltre alla presenza di Paul Klee.
Anche la follia merita i suoi applausi (Alda Merini)
Maria Paola Forlani