Ieri, 19 febbraio 2013, sono andato a Ferrara per la presentazione del libro Il silenzio dei violini, che ho scritto con il poeta Paul Polansky e che mi consente di parlare alla gente e alle istituzioni – attraverso la mia esperienza di difensore dei diritti umani mediata dall'arte – dell'immane tragedia che colpisce il popolo Rom. Mi ha accompagnato il giovane poeta e fotografo Steed Gamero.
Nel tardo mattino siamo scesi dal treno alla stazione ferroviaria e ci siamo recati a casa della poetessa Patrizia Garofalo, cara amica e direttrice della collana “Orizzonti” delle Edizioni Il Foglio, collana in cui è pubblicato Il silenzio dei violini. È stato un momento intenso e lieto, abbracciare Patrizia e conversare con lei, che è ormai parte della mia “famiglia spirituale”, i cui legami sono composti da quel tipo raro di amicizia che Aristotele definì “amicizia basata sulla bontà”. L'abitazione di Patrizia – in cui si è trasferita pochi mesi fa, lasciando un antico palazzo nel centro storico in seguito al terremoto che l'anno scorso ha colpito la sua città – è un tempio dedicato ai rituali della poesia a del vivere. Alle pareti, alcune foto che lei stessa ha scattato in momenti diversi della sua vita sono collegate da rime e assonanze iconografiche. Parlano di silenzio ed eternità. Dovunque, nelle diverse stanze, oggetti e arredi che raccontano l'esperienza umana e artistica di Patrizia: il rituale della poesia. Abbiamo pranzato gustando il pane che la poetessa fa in casa, pomodorini e capperi raccolti dalle sue mani e trasformati poi in preziose delizie sott'olio: il rituale del vivere.
L'incontro con il pubblico alla Biblioteca Ariostea, in una splendida, antica sala, è stato intenso e toccante. Il poeta Angelo Andreotti, che ha conversato con me per più di un'ora e mezza, ha espresso pensieri e mi ha posto domande seguendo un percorso che ha permesso agli spettatori di conoscere via via la storia dei Rom in Europa, le innumerevoli persecuzioni che hanno subito, la lunga schiavitù nei Principati Romeni, i pogrom, l'Olocausto. Una delle domande che mi hanno posto dal pubblico mi è sembrata emblematica sia del pregiudizio che della curiosità che la gente ha nei confronti dei Rom: “Perché amano tanto l'oro?”.
Nella cultura Rom, l'oro è un simbolo solare, ho risposto, e rappresenta la luce. I Rom, inoltre, ricordano l'oro – il poco oro, unico avere di tante famiglie – che i loro antenati portarono con sé dall'India, mille anni fa. E che gli aguzzini che li ridussero in schiavitù in Romania gli portarono via. E ricordano l'oro – il poco oro, unico avere che rappresentava il magro risparmio di intere esistenze – che i nazisti sottrassero loro negli anni dell'Olocausto, prima di deportarli nei campi di sterminio. L'oro è l'unica forma di risparmio che resta ai Rom, cui non è certo favorito l'ingresso nelle banche dei gagé. L'oro è luce, speranza e memoria. Ecco perché molti Rom portano denti ricoperti da una lamina d'oro (è un lavoro che costa da 10 a venti euro, altro che “Rom che portano tesori in bocca”, secondo un altro pregiudizio!): per sentirsi belli e per sentirsi – con orgoglio – Rom.
Rom, che significa poi “esseri umani”.
Durate la serata, ho letto – a volte commuovendomi e notando la mia stessa commozione negli occhi di Patrizia, Angelo e Steed – alcune poesie da Il silenzio dei violini. Qui di seguito, la poesia che dà il titolo all'opera:
Il silenzio dei violini
Ispirata da Jasmina, giovane Romnì che le autorità milanesi scacciarono brutalmente dal campo di via Triboniano nel mese di giugno 2007.
Tu che sei un essere umano come me,
fermati, non passare oltre, affrettando il passo
e girando la faccia per non vedere.
Guardami!
Guarda le mie sorelle, i miei fratelli,
guarda i nostri bambini!
Non lasciarti ingannare: è vero,
sono diversi dai tuoi bimbi
che se ridono sembrano violini,
violoncelli se piangono.
I nostri no, non ridono, non piangono,
sono sporchi, malati, hanno occhi tristi
fissi sul nulla come quelli dei vecchi.
Tu che vivi fuggendo - quasi sempre -
il dolore, fermati per un attimo e guardaci.
Guardaci: siamo uguali a te (quando la sofferenza
come un raggio di luce acuminato
ti colpisce - inattesa - al centro del cuore).
Guardaci, siamo carne e fame e sete
e sogni e sangue e pelle
come te, come la tua gente,
come i tuoi bambini.
(Impara ad ascoltare il silenzio dei violini,
l’agonia dei violoncelli).
Tu che sembri un essere umano come me,
fermati, non passare oltre, affrettando il passo
e girando la faccia condannandoci
a non esistere.
Roberto Malini
Nelle foto di Steed Gamero: con Angelo Andreotti, leggo una poesia da Il silenzio dei violini (copertina) e converso con Patrizia Garofalo (in allegato) nel corso dell'incontro ferrarese