Il nonno masticava il sigaro, lo mordeva e lo inumidiva in un rito ossessivo che lo accompagnava per tutta la giornata. Aveva anche una pipa, che caricava con il tabacco preparato personalmente e che usava solo dopo i pasti. Il nonno apparteneva a una generazione cresciuta vedendo le più famose stelle di Hollywood fumare sul grande schermo e che aveva finito per imitarle. Mio nonno non assomigliava per niente ad Humphrey Bogart con le sue sigarette dal fascino irresistibile in Casablanca; neppure a un Marlon Brando avvolto in un alone nocivo di nicotina e sensualità. A differenza di quegli uomini affascinanti, Basilio Eliseo era un isolano rozzo, dalle mani callose, incapace di scrivere una frase completa. Nonostante tutto, condivideva con personaggi così celebri il piacere di un buon sigaro. L’odore che emanava – quasi lo sento ancora – era un mix di sudore e nicotina che permaneva nell’aria alcune ore dopo il suo passaggio.
I cubani che ancora amano fumare sigari Avana, sono in difficoltà quando cercano di soddisfare tale preferenza. Il mercato in pesos convertibili ha assorbito la maggior parte della produzione che adesso viene venduta a prezzi stratosferici in lussuosi negozi specializzati. Davanti agli occhi di attoniti passanti, i cui stipendi mensili superano di poco i venti euro, vengono esposte nelle vetrine casse di Romeo y Julieta che costano cifre equivalenti al salario di un intero anno o un solo Cohiba che vale la paga di venti giorni di lavoro. L’offerta di sigari in moneta nazionale, a un prezzo accessibile per i cubani, è praticamente in via di estinzione. Gli abili commercianti del mercato illegale se li accaparrano, cambiano le etichette e li vendono ai turisti come se fossero sigari di qualità superiore. Inoltre lo Stato ha perso interesse a vendere ai suoi cittadini un prodotto che preferisce esportare, ottenendo maggiori profitti.
Malgrado ciò, senza fare considerazioni commerciali e mediche, è certo che l’immagine del vecchietto cubano con un sigaro tra le labbra va bene solo per manifesti pubblicitari e propaganda commerciale. Non esiste un pensionato, né un lavoratore attivo – qualunque sia la sua professione – che possa concedersi il lusso di acquistare sigari di qualità a un prezzo accessibile alle sue entrate legali. Un’abitudine nazionale è diventata un consumo internazionale; un simbolo di cubanità si è trasformato in un trofeo per turisti stranieri. A parte i coltivatori che conservano alcune foglie per uso personale e familiare, sempre meno compatrioti possono concedersi il lusso di fumare un sigaro. Adesso non si tratta di difendere un’abitudine nociva per i polmoni e pregiudizievole per le tasche, ma di riconoscere che il cosiddetto Avana, al contrario di quel che credono molti stranieri, non è più un prodotto realizzato per chi vive a Cuba. La fotografia di mio nonno Eliseo che mastica foglie di tabacco o carica la pipa, in questi giorni che passano, si è trasformata in un’immagine anacronistica.
Yoani Sánchez
(dal Blog Cuba Libre, El País, 10 febbraio 2013)
Traduzione di Gordiano Lupi