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“Cento giorni sul comò”. Patrizia Garofalo dialoga con Pino Tossici sul suo lavoro autobiografico 
A Roma presentazione del volume, sabato 23 febbraio
18 Febbraio 2013
 

Così ho letto Pino Tossici. La sua scrittura ha saputo sottrarre peso a sé stessa. Pino ci mostra che altre vie il nostro scrivere sa inventare se accetta ogni verità, la più pesante che sia.

Duccio Demetrio

 

 

 

Pino, credo che quando l’editore Livio Sassolini mi spedì il libro non avrebbe mai pensato che il tuo lavoro mi avrebbe colpito così tanto. L’ho letto più volte nonostante la mia riluttanza alla autobiografie ma, come tu ben chiarisci, ogni racconto di sé potrebbe essere riscritto e, a seconda dei momenti, potrebbe indossare un vestito diverso…

Infatti è così. Oggi per esempio, a distanza di quasi dieci anni – il racconto l’ho scritto nel 2004 – le mie “considerazioni finali”, per usare ironicamente un gergo da Governatore di Bankitalia, sarebbero diverse. Basterebbe questo a far capire quanto provvisoria sia la scrittura autobiografica. Tant’è che nel lavoro teatrale, Il monologo di Peppino, che ho tratto ora dal libro e che dovrebbe andare in scena a maggio, ci sono anche altre cose.

 

Quanto ha inciso nelle modalità “lievi e spesso sorridenti”, soprattutto nella prima parte, il tuo essere attore teatrale?

Poco, è una scrittura diversa. Quella del monologo teatrale ha ritmi molto più serrati e privilegia i dialoghi. Esclude la parte descrittiva e “filosofica”, che nel libro è quella che amo di più. La levità, poi, riesco più a scriverla che a viverla.

 

È vero a tuo avviso quanto sostenuto da Cocteau che ogni attore si suicida ogni sera al finire del suo spettacolo e rinasce per la rappresentazione successiva?

L’aforisma di Cocteau è suggestivo e non fatico a comprenderne il valore simbolico, ma non mi appartiene.

 

Nel lasciare libere emozioni e commozioni sei a mio avviso riuscito a donare ipotesi di ricerca al lettore ed al contempo uscire da quella che temevo potesse essere una pur articolata scrittura strettamente autobiografica. Era nelle tue intenzioni?

No, non ci pensavo, perché il lettore era solo quello “immaginario” che ogni scrittore si crea. L’autobiografia è nata nell’ambito della mia frequentazione della scuola di formazione della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari e non era destinata certo alla pubblicazione. In dieci anni l’avrò fatta leggere a non più di cinque persone, tutte a me vicine. La pubblicazione è stata frutto del caso. Non voglio certo dire che sia stata editata “a mia insaputa”, ma non ho fatto nulla tranne consentire all’editore Livio Sassolini di leggerla. Quando poi Livio mi ha proposto un contratto, ho riflettuto su una serie di cose per me importanti e ho detto sì. Se poi oggi consente a qualcuno di trovarci spunti per iniziare un proprio percorso personale di ricerca, ne sono felice. Vuol dire che ho saputo uscire da una circumnavigazione asfittica e ombelicale.

 

Quanto s’incastona nelle pagine quella meravigliosa quiete solitaria che abita il paese di Anghiari? Quanto dell’Università dell’autobiografia?

Tanto. Ho un debito di riconoscenza grande verso Duccio Demetrio e l’incantamento che Anghiari mi ha procurato. Duccio e Livio, che vive ad Anghiari e di quelle colline è intriso, sono due persone speciali che la buona sorte mi ha fatto incontrare.

 

Durante la lettura del testo, ho riso, poi sorriso, poi alla fine ho avvertito un magone che sapeva d’armonia dolcemente nostalgica. Mi sono chiesta se la fase del ridere non sia proprio quella più tragica… ridere come scampato dolore, intendo.

Già, è una risata che per fortuna non seppellisce.

 

Un bambino, un adolescente che soffre di un inganno inconsapevole e nascosto nella persona che più ama, un uomo che perdona, prova pietà e rilegge il suo percorso…

Ho un grande amore per i miei genitori. Ho cercato di scavare nelle loro storie personali perché solo così un figlio può tentare di capire e misurarsi con il risentimento. Anche padri e madri sono stati figli di qualcuno: hanno fatto quello che potevano, errori inclusi, ma mi hanno amato profondamente. Il perdono e la compassione danno molto di più a chi perdona che a chi viene perdonato. Oggi sono fiero di essere stato il figlio di Giulio e Titina. E poi chi è senza peccato…

 

Uno scritto coraggioso e di messa a nudo di sé… faticoso? doloroso?

Necessario. Faticoso, doloroso e catartico. Ma anche allegro e divertente.

 

Ho letto di un tuo corso a Novembre presso l’Università dell’autobiografia di Anghiari sulla comunicazione tra uomini e donne. L’idea è stata conseguente al tuo libro?

No, del tutto indipendente. È una ricerca fatta insieme ad altri e per ora rivolta solo agli uomini, in generale restii all’introspezione. Mi sembra stia dando frutti.

 

«Qualche volta mi sono imbattuto persino nella felicità, so che esiste e che ha una bella faccia… vorrei incontrarla anche da vecchio la felicità, magari sarà un po’ più vecchia anche lei, ma la riconoscerò e forse ci intenderemo ancora».

Grazie Pino.

 

Patrizia Garofalo

 

 

Sabato 23 febbraio alle ore 18

Edizioni Empirìa – Libreria

Roma, via Baccina 79

(centro storico, a due passi dalla fermata Cavour della Metro B)

Tel. 06 69940850 – info@empiria.com

 

Myriam Trevisan presenta il romanzo

Pino Tossici CENTO GIORNI SUL COMÒ

 

letture di Marcella Iandolo e dell’autore

 

Pino Tossici. Counselor autobiografico, è Collaboratore scientifico della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Ha scritto canzoni, biografie e pièces, svolge attività artistica e teatrale. Cento giorni sul comò (Book Salad 2012) è il suo primo romanzo, con la postfazione di Duccio Demetrio.

 

Myriam Trevisan. Insegna presso la facoltà di Scienze Umanistiche de “La Sapienza”, Università di Roma, e presso l’Upter, Università Popolare di Roma. Autrice di numerosi testi e pubblicazioni, si occupa di letteratura italiana contemporanea e di teatro. Svolge mensilmente conferenze presso l’Istituto di studi pirandelliani e sul teatro contemporaneo

 

 

 

Pino Tossici

Cento giorni sul comò

Postfazione di Duccio Demetrio

Book Salad, 2012, pagg. 160, € 12,00

 

Cento giorni sul comò è la storia di Peppino, un bambino impertinente, imprevedibile e sognatore alle prese con una famiglia scombinata e una madre decisamente impegnativa. Pieno di flashforwards che ci riportano all’attualità del quotidiano, è ambientata negli anni ’50 e ’60 di un’Italia uscita a pezzi dalla guerra, un paese che si andava ricostruendo con orgoglio e fatica e che stava vivendo un periodo di straordinaria prosperità che verrà ricordato come l’epoca del boom economico.

Con leggerezza, compassione e ironia ma anche con grande coraggio, l’autore racconta la sua storia di formazione e, come in un film neorealista, ci mostra una carrellata di personaggi, luoghi e immagini destinati a rimanere impressi nella fantasia del lettore, testimoni di una società che stava cambiando pelle in modo irreversibile.


 

 

» Qui Pino Tossici intervistato da Radio Vaticana [AUDIO mp3] - 04/03/2013


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