Yoani in meno di tre mesi farà tutti i viaggi che il regime le ha vietato in cinque anni
Esce da Cuba il 17 febbraio destinazione Brasile. Sarà in Canada, Stati Uniti, Messico, Repubblica Ceca, Olanda, Spagna, Italia...
Intervista tratta da
Burgos on line
Yoani Sánchez è una blogger indipendente molto critica con il regime castrista, due anni fa le è stato negato il visto di uscita da Cuba e non ha potuto ritirare il premio del Primo Congresso Internazionale delle Reti Sociali. Questa volta, invece, tra meno di un mese, potrà assistere alla terza edizione che si svolgerà a Burgos, in Spagna. Fervono i preparativi a casa di Yoani, in partenza per il primo viaggio fuori da Cuba negli ultimi 5 anni. Come la maggioranza dei cubani, Yoani Sánchez (L'Avana, 1975) non ha una connessione Internet domestica, ma nonostante questo è una delle blogger più influenti del mondo e conta quasi 400.000 persone che seguono i suoi messaggi su Twitter. Ammirata fuori da Cuba, accusata di ogni tipo di cospirazione da parte del suo governo, afferma che non vorrebbe perdersi per niente al mondo il terzo evento iRedes, che terminerà l'8 marzo nel Fórum Evolución, insieme al professor José Luis Orihuela, con un dibattito intitolato “Reti sociali per la libertà”. Il programma del congresso è completo e si può consultare su www.iredes.es.
Abbiamo rivolto qualche domanda a Yoani.
– Questo viaggio si sarebbe dovuto svolgere due anni fa. Che cosa è accaduto?
In quel momento il Governo Cubano mi negava il permesso di uscita temporanea dal paese. Accadeva dal 2008, anno in cui vinsi il premio Ortega y Gasset di giornalismo. Quando vinsi il Premio iRedes avevo collezionato 12 o 13 divieti di uscita. Ho insistito a lungo, ma alla fine mi sono convinta che non ce l'avrei fatta a partecipare. Un assurdo burocratico mi bloccava sull'Isola – come accadeva a molti altri cubani –, niente di nuovo, ma nel mio caso le restrizioni erano incomprensibili, perché non ero laureata in Medicina, non avevo condanne giudiziarie e non conoscevo segreti di Stato. Il divieto derivava dal fatto che scrivevo un blog in maniera libera, esprimendo il mio pensiero sulla realtà.
– Cosa significa per te la possibilità di uscire da Cuba?
Adesso sembra che finalmente sono libera di andare dove mi attendono da due anni. Dopo 5 anni di lotta legale, una battaglia intensa dal punto di vista giuridico, giornalistico e civico, poter ottenere il passaporto e una promessa da parte del funzionari del Dipartimento Immigrazione che mi lasceranno uscire, rappresenta il coronamento di un sogno. Ho lottato tanto per raggiungere questa meta, ma mi rendo conto che la riforma migratoria – in vigore dal 14 gennaio – è insufficiente, perché la libertà di movimento non è ancora un diritto individuale inalienabile. Si tratta sempre di una concessione, discrezionale, che ti possono togliere in ogni momento.
Ti resta in bocca un sapore agrodolce. Conosco amici, colleghi, dissidenti, che non sono stati autorizzati a viaggiare.
– Le cosiddette aperture rauliste stanno cambiando Cuba?
Si stanno facendo riforme dal 2008, ma soprattutto di carattere economico. Abbiamo avuto un ampliamento del lavoro privato, sono state assegnate terre incolte ai contadini, è stata autorizzata la vendita di case e di auto, che sembra una cosa normale, ma da noi è stata proibita per decenni. La cosiddetta Riforma Migratoria è il primo passo che va oltre la sfera economica, passa sul piano sociale e può influenzare il tema politico. Ho dei dubbi sulla natura del gesto. A mio parere era insostenibile il costo politico di continuare a mantenere l'isola come un castello feudale circondato da una muraglia che si chiudeva su se stessa per volontà dei governanti. Siamo nel secolo XXI, il mondo è senza frontiere, restava soltanto Cuba a vietare entrata e uscita ai cittadini. Non dimentichiamo le motivazioni economiche. Il governo spera che i cubani escano dal territorio nazionale, si trattengano all'estero per un po' di tempo, quindi tornino in patria con i frutti del loro lavoro. Non possiamo capire ancora quanto questo cambiamento modificherà la nostra realtà.
– Possiamo dire ancora che i cambiamenti mancano di profondità e velocità?
Nel 2013 abbiamo visto cambiamenti importanti, ma le riforme non sono ancora integrali. Nella sfera politico - sociale, per esempio, niente è cambiato. Per esempio, sono state concesse più licenze per il lavoro privato, le persone possono commercializzare i loro prodotti... Ma è ancora penalizzata la differenza ideologica, proibita la libera associazione, punita la libera espressione. Continua una politica aggressiva e di esclusione nei confronti di chi esprime idee diverse da quelle governative. Le riforme creano spazi di autonomia economica ma non si parla ancora di autonomia civica e politica.
– Le elezioni a Cuba. Perché le hai definite una farsa?
Non possiamo sperare che simili elezioni producano un cambiamento. L'Assemblea Nazionale non viene eletta ma ratificata. Abbiamo una lista di 612 candidati per 612 posti. Non scegliamo tra A o B, ma si vota un elenco predisposto. Inoltre i candidati vengono fuori da un procedimento di selezione che è un vero e proprio filtro ideologico. Non può passare neppure un candidato non conforme dalle strette maglie della Commissione di Candidatura. I criteri di scelta dei candidati sono la lealtà alla Rivoluzione, a Fidel e al Partito. Il nostro parlamento ratifica ordini che provengono dall'alto.
– Abbiamo visto Fidel Castro votare. Che significato ha quella immagine?
Preoccupante, direi. Non era tra i deputati della precedente legislatura e il fatto che sia incluso in questa può destare un certo allarme. Non vorrei che venisse eletto nel Consiglio di Stato. Sarebbe un passo indietro, perché non è in condizioni fisiche e mentali per governare, come abbiamo visto dalle immagini diffuse. Inoltre la sua presenza può essere un freno a molte misure che potrebbero essere approvate nel corso del 2013. Di fatto, penso che queste apparizioni stiano seppellendo il mito di Fidel Castro. Appare fragile, poco lucido, parla con voce flebile, e per molta gente che continua ad apprezzarlo è un duro colpo all'immagine che avevano di lui come guerrigliero vittorioso. Fidel sta contribuendo a distruggere il suo stesso mito.
– Possiamo pensare a una data in cui avremo la democrazia a Cuba?
Purtroppo questa data non sembra ancora vicina. Raúl Castro sta tentando con tutti i mezzi di mantenere al potere il clan familiare facendo piccole aperture economiche, ma conservando un rigido controllo politico e militare sul paese. In ogni caso ogni piccola apertura sarà importante. Pensiamo al 2008, quando il Presidente Generale permise ai cubani di aprire una linea telefonica mobile, adesso è il miglior strumento per convocare gruppi dissidenti e per inviare messaggi di testo su Twitter. Parlare di cambiamento in senso democratico a Cuba è difficile, perché vedo intorno a me molta apatia e indifferenza. La non conformità si esprime in un'alta percentuale di immigrazione. la gente preferisce lanciarsi in mare a bordo di una zattera e affrontare gli squali nello stretto della Florida piuttosto che lottare contro un repressore per strada. C'è molto timore diffuso, tanta alienazione. A parte poche onorevoli eccezioni, la maggioranza della popolazione si nasconde dietro la maschera della simulazione.
– Quale ruolo avranno le reti sociali per la conquista delle libertà?
Viviamo nel paese occidentale con minor grado di connessione al web, i collegamenti Internet sono molto limitati, ma blogger e reti sociali rappresentano lo stesso un trampolino di lancio verso le libertà. Le informazioni che non vengono diffuse dai media nazionali escono da nostri blog, dalle riviste on line e si diffondono per le strade di tutta l'Isola. Le reti sociali saranno uno strumento per un dibattito necessario che va oltre le istituzioni. Internet si sta trasformando nella piazza pubblica dove potremo comportarci da cittadini, visto che nel mondo fisico, corporeo, non ce lo lasciamo fare. Internet è un laboratorio di allenamento civico.
– In quale modo viene limitato l'accesso a Internet a Cuba?
Nessun cubano può avere un contratto Internet domestico. Risulta impossibile. I soli ad avere accesso alla rete sono i funzionari fidati, gli stranieri e alcune persone molto selezionate. In diverse università e istituzioni è possibile accedere alla rete, ma molte pagine sono censurate, lente, zeppe di filtri e controlli. I cittadini devono pagare un'ora di connessione servendosi degli hotel, a prezzi stratosferici. Sei dollari per un'ora, a volte persino 12, in un paese dove il salario medio mensile è di 20 dollari. Un vero e proprio lusso. Per questo motivo preparo molte cose off line e uso Internet solo per pubblicare e scaricare documenti, ma resta il fatto che sono una blogger cieca, non riesco a rendermi conto di tutto quel che accade.
– La Spagna e l'Italia sono paesi democratici. A cosa possono servire nell'Europa democratica e liberale le reti sociali?
Non sottovalutiamo la componente ricreativa e la possibilità di ritrovare amicizie perdute. Le reti servono anche per fare pressione sui governi affinché operino con maggior trasparenza ed efficienza. Sono lo strumento ideale per dire ai politici: “Vi stiamo osservando e non ci piace quel che fate”. Le reti sono una forma di governo collettivo e forse possono aiutare ad approfondire la democrazia, a limare le imperfezioni che il sistema presenta e a creare nella mente dei politici l'idea che non sono una razza eletta ma che uno spazio pluralista li controlla e li valuta per quel che fanno. Certo, le opinioni e le proposte non devono restare nel mondo virtuale, ma l'impulso dei cittadini deve fare in modo che si concretizzino nel mondo reale. Armati di schermo e tastiera è facile sognare, persino delirare, ma sarebbe importante far diventare realtà il cambiamento teorizzato. Dobbiamo cercare di obbligare i politici ad aprire il governo alle reti sociali che devono interagire con chi li amministra.
– Cosa si attende dalla sua presenza di tre giorni a Burgos, in Spagna?
Ho tanti sogni. Voglio incontrare molte persone, abbracciare tutti coloro che non ho potuto salutare in questi ultinmi 5 anni. Conoscere persone che ammiro molto, autori... Non vedo l'ora di incontrare José Luis Orihuela, una sorta di stella che guida molti blogger cubani. Burgos è il mio primo viaggio in Spagna, paese che non ho mai visitato, anche se la mia famiglia proviene dalla Penisola Iberica. Imparerò molto, conoscerò cose nuove, usando tutti i sensi disponibili... Apprendere sarà importante per trasmettere nuove conoscenze ai blogger cubani che mi attendono. Sono molto interessata al dibattito, alla polemica e alle domande che mi saranno rivolte. Conserverò questo patrimonio nello zainetto invisibile che porto sulle mie spalle.
– Quale futuro hanno i mezzi di comunicazione tradizionali in piena rivoluzione telematica?
Dovranno cambiare molto, senza dubbio. Ma non credo che i nuovi mezzi rappresentino la morte del giornalismo tradizionale. Certo, il giornalismo dovrà fare i conti con le maggiori richieste del cittadino, ma sopravviverà inventandosi nuove strade per raggiungere il lettore.
– El País, quotidiano con cui collabori, ha diffuso recentemente una foto falsa di Hugo Chávez arrivata da Cuba. In rete c'è chi ti indica come la responsabile della diffusione...
Si è trattato di un fatto deplorevole e di un errore enorme. I quotidiani spesso sbagliano rincorrendo le notizie, per cercare di arrivare primi. Ma va tenuto conto che El País ha fatto un mea culpa abbastanza profondo, no? Io non ho niente a che vedere con questa notizia. Collaboro con il quotidiano come inviata all'Avana, ma non ero al corrente della foto.
– Nel web sei spesso sotto accusa. Come vivi questo fatto di essere al tempo stesso ammirata e odiata nel tuo paese?
Se si trattasse solo di questo sarebbe una cosa normale. Il problema è che sulla mia persona e sul mio prestigio si è accanito qualcosa che conosco molto bene, una sorta di polizia del pensiero che negli ultimi tempi è diventata molto sofisticata, potendo disporre di strumenti digitali. La tecnologia non ha un'etica in se stessa, ma assume l'etica di chi la usa. Può servire a diffondere idee di libertà, ma anche a far tacere chi presenta un pensiero alternativo. Ricevo le stesse accuse che sento rivolgere da sempre contro i dissidenti. Sarei un agente della CIA, un'infiltrata dell'Impero, una donna del Pentagono... A Cuba contro la mia persona si è scatenato una fucilazione mediatica, una vera e propria lapidazione della personalità. Non avendo accesso a Internet, mi arriva tutto molto tardi e forse è un bene, così non perdo tempo a rispondere a certe calunnie. Non sono paranoie della mia mente. Sono al corrente di certe cose perché me le hanno raccontate persone che hanno fatto parte del meccanismo. A Cuba vengono pagati soldati cibernetici per stare tutto il giorno su Internet a denigrarmi, disturbare i siti dove pubblico e infastidire blogger e giornalisti indipendenti. Non posso fare niente contro queste macchinazioni governative. Posso solo concentrarmi nel mio lavoro.
– Cosa pensi del caso di Ángel Carromero e della morte di Oswaldo Payá, che hai seguito direttamente come giornalista?
La morte di Oswaldo Payá (e di Harold Cepero, nda) è stata un evento molto triste per la storia nazionale. Non siamo ancora del tutto coscienti della gravità della sua perdita, perché il momento storico è così importante che non abbiamo fatto le debite analisi. Con Oswaldo Payá abbiamo perso una persona importante per il futuro di questo paese, un possibile mediatore, una figura di transizione, un leader della Cuba democratica... Un grave colpo, perché non ci sono molte persone del suo valore.
Per quel che concerne il caso Carromero, concordo con la famiglia Payá che si dovrebbe fare un'inchiesta indipendente perché il governo cubano controlla polizia e magistratura, quindi resterà sempre il dubbio della manipolazione sulle circostanze dell'incidente. Ogni giorno che passa si perdono prove e testimoni.
Traduzione di Gordiano Lupi