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I Legnanesi. Lasciate che i pendolari vengano a me
11 Febbraio 2013
 

Son passati dallo “Smeraldo”, ora chiuso, al “Nazionale”, riaperto. Gli esiti non sono mutati. Con I Legnanesi il divertimento è garantito. Spassosi come sempre, più di sempre. Lasciate che i pendolari vengano a me è la ri-proposta della nuova stagione della compagnia fondata oltre sessant'anni fa da Felice Musazzi e felicemente condotta dall'erede Provasio.

Si ride come non mai, si ride e si ride. Antonio Provasio nei panni di Teresa (oltre che regista); Luigi Campisi in quelli dell'alcoolico marito Giovanni, una mimica strepitosa, un personaggio che fa ridere soprattutto biascicando o, addirittura, non parlando; Enrico Dalceri nelle scintillanti vesti della pretenziosa figlia Mabilia, scintillante e verbosa zitella; il contorno dei popolari personaggi del cortile: ci sono ancora tutti nella farsa senza tempo e, insieme, nel tempo eterno della quotidianità. Maschere senza pari. «Quel cortile che ha caratterizzato la vita dell’Italia non solo in Lombardia: il regno delle donne, dei ragazzi, degli amori e dei litigi, delle invidie, dei problemi di tutti i giorni, dove però, in fin dei conti, tutti vivono in armonia e serenità». Il trionfo della gente comune, genuina, umile, del popolo, dei poveri cristi.

La trama è semplice – del resto non ci sarebbe bisogno di complicazioni per raccontare la vita –, semplice ma sapiente, l'improvvisazione geniale, con la possibilità e la capacità di variare e implementare da parte degli interpreti, e le gag sono esilaranti: dalla scoperta di un'acqua miracolosa che potrebbe consegnare la famiglia Colombo alla ricchezza alla disillusione, dal ricco sceicco che tutto potrebbe comprare al call center, comica piaga del lavoro dell'ex terziario avanzato, si dipanano le vicende dei nostri in dialetto. Un dialetto che nella sua purezza o pastiche con l'italiano assume una poderosa e potente forza espressiva. Non un limite, dunque. E, in più, una comicità senza confini. Non è un caso che la scorsa stagione I Legnanesi abbiano riscosso gran successo a Firenze e Torino e che quest’anno saranno ospitati dal “Teatro Sistina” di Roma. Qui avranno, il 19 aprile, l'onore di una serata-evento. «Si tratta, in effetti, di un ritorno a Roma dopo oltre 40 anni: era il 1970 quando i fondatori Felice Musazzi e Tony Barlocco portarono al Sistina Chi vusä pusè la vacca l'è sua... e c’è un po’ di commozione tra I Legnanesi nel ricordare Musazzi che, dopo una settimana di tutto esaurito e l’apprezzamento di personaggi del calibro di Luchino Visconti e Federico Fellini, prendeva in giro bonariamente il pubblico romano che spesso, a fine spettacolo, esclamava: Vedi un po' questi francesi!».

I vari quadri scenici di Lasciate che i pendolari vengano a me, nell'ottica della rivista d'antico lignaggio, sono intervallati da balletti con musiche di Arnaldo Ciato e Enrico Dalceri (c'è un omaggio anche a Moira Orfei).

«Milano è un po’ la nostra seconda casa, immancabile nelle nostre stagioni» è Antonio Provasio a parlare. «Quest’anno l’attesa è stata un po’ più lunga. Anziché debuttare come negli anni passati a capodanno arriveremo infatti al Teatro Nazionale a febbraio, ma siamo sicuri che il nostro pubblico “storico” e tanti nuovi spettatori verranno a trovarci in questo splendido teatro. La nostra promessa è far trascorrere loro oltre due ore di comicità irresistibile».

Lunga sarà la permanenza al “Nazionale” (piazza Piemonte) dei Legnanesi, sino all'1 aprile, con repliche da mercoledì a sabato alle 20:30 e sabato e domenica pomeriggio alle 15 (info: www.ilegnanesi.it, www.facebook.com/ilegnanesi).

«Ringhiere che si snodano sui ballatoi, scale consunte dal saliscendi di generazioni e generazioni, ogni porta una stanza, spesso l'unica: il vicino è così vicino che vive con te. Il cortile è il regno dei povercrist sopravvissuti alle guerre, alle carestie, alle immigrazioni, alle industrie. Ma il cortile è anche lo spazio vuoto, è la camera più grande dove si vivono stagioni intere, anni, generazioni, secoli, nascite, amori e tradimenti, gioie e angosce, nozze e funerali, sorrisi e miracoli. Fuori dal cortile, il muro di cinta di uno stabilimento, un muro di mattoni rossi, ancora muri e case, un condominio di sei piani che già chiamano il grattacielo: niente più litigi banali, le lenzuola stese sul filo, le pozzanghere, la ruggine dei corrimano. Ma noi abbiamo resistito, la ringhiera ci corre nell'anima. Riflettori, prego: è di scena il cortile lombardo» (I Legnanesi).

 

Alberto Figliolia



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