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Carlo Forin, Sei forse sorella di Febo?
20 Settembre 2006
 

Riprendono in questa fine estate con sprazzi di caldo torrido ed improvvise piogge torrenziali le indagini di archeologia linguistica di Carlo Forin e sono ancora sorprese ed improvvisi squarci nel nostro cielo, occidentale?, linguistico soprastante. Quasi una consonanza con la stagione. (Claudio Di Scalzo)

 

 

Sei forse sorella di Febo?

an Phoebi soror? An nympharum sanguinis una? (Eneide I, 329)

 

«Gli si fece incontro la madre tra la selva,

con volto e aspetto di vergine e armi di vergine […]» (Eneide I, 314-315)

 

Alla madre Venere, che si presenta con volto, aspetto e armi di vergine, Enea pone la domanda: –sei forse sorella di Febo?– (il Veridico, il Puro?: sei Diana?)

Lei non risponde, in un dialogo che si conclude con questa lamentela di Enea:

 

«Perché, anche tu crudele, sovente deludi il figlio

con ingannevoli immagini? Perché non posso congiungere

la mano alla mano, e udire e rispondere vere parole?» (Eneide I, 407-409)

 

Nell’opera Eneide (la stirpe di Enea, cioè i Romani), la domanda an Phoebi soror è chiave per sapere se la sua origine sia nobile o ignobile.

La propone l’Autore Vergilius Maro. Se Virgilio fosse stato romano la domanda sarebbe solo un riconoscimento di lode di un umano che non sa chi incontra e giudica la bellezza della donna dall’apparenza (–ma tu sei una dea!–). In un Virgilio sacerdote etrusco è una domanda vera con una risposta opposta a quella creduta finora. –Sei sorella di Apollo o una ninfa qualsiasi?–: ovvero, come ti collochi nella gerarchia divina? Al top o alla base?

L’altra domanda, a fine dialogo Quid natum totiens, crudelis tu quoque, falsis ludis imaginibus, «perché, anche tu crudele, sovente deludi il figlio con ingannevoli immagini?» chiude un dilemma inquadrabile con: sei sorella di Febo (HE UB), colui che dice sempre la verità, oppure sei sorella di Erebo (ERE UB) –dio degli Inferi–? Tu deludi con ingannevoli immagini perché sei sorella di Erebo, il Falso.

Ti presenti come vergine, e sei mia madre, o crudele, Cerere corrotta (vedi l’articolo precedente “Proteo e Cerere corrotta”).

Virgilio, mago dal racconto proteiforme, è riuscito a comporre un’opera voluta dai Romani deliziandoli con l’Eneide senza derogare dalla sua fede religiosa di Etrusco.

 

Sorella di Febo è Cerere legislatrice, come abbiamo visto in “Cerei regni”:

 

a Cerere legislatrice e a Febo e al padre Lieo, (Eneide IV, 57)

legiferae Cereri Phoeboque patrique Lyaeo.

 

E Febo, il Cielo, viene invocato da Enea con Erebo:

 

invocat et duplicis Caeloque Erebusque parentis. (Eneide VII, 140)

invoca ambedue i genitori nel Cielo e nell’Erebo.

 

Enea invoca in questo verso ambedue i genitori nel Cielo e nell’Erebo.

Quest’ultimo è il luogo di Cerere corrotta, di Afro-Dite, di KI ERESH, regina degli Inferi.

L’invocazione segue l’episodio delle ‘rose mense’, col quale abbiamo concluso “Proteo e Cerere corrotta” (del 5 agosto scorso). I latinisti considerano una contraddizione nel racconto di Virgilio romano (note di Paratore pp. 646-647, ed. Oscar Mondadori, 1991) l’avveramento della maledizione di Celeno, regina delle Arpie («giungerete in Italia, e potrete entrare in porto; / ma non cingerete di mura la città destinata / prima che una terribile fame e l’offesa fatta coll’aggredirci / vi costringa a consumare con le mascelle le rose mense». En. II, 255-257). Attribuiscono a Virgilio la confusione pur rendendosi conto che si tratta di un episodio centrale nell’opera. Tanta è la fiducia in Virgilio come poeta romano da crederlo incapace di correggersi lasciando sghemba la costruzione complessiva di Eneide!

 

Poiché l’osservazione di Venere come creatura infernale per Virgilio è fuori da tutte le cose credute finora andiamo a riconsiderare come la descriva nella VIII ecloga:

 

Ora so che cosa sia Amore […] fanciullo non della nostra razza e del nostro sangue.

Comincia con me, o flauto, comincia il canto menalio. Il feroce Amore insegnò alla madre a macchiarsi le mani del sangue dei figli, anche tu crudele, o madre! Ma fu più crudele la madre, o più malvagio il fanciullo? Malvagio il fanciullo; crudele anche tu, o madre. (43…50)

 

Crudele’ chiama Venere anche qui, e malvagia, come abbiamo appena letto Enea, che la rimprovera di essere falsa.

Il marito Anchise, dal nome scritto AN KI SE = AN KI ES, ‘essere ES in terra KI dal Cielo AN’, non ha rapporti con l’Erebo, nel nome.

Venere, U EN US è Signora/Ente EN tra Cielo U e morte US: Venere ha rapporti con la morte, nel nome. In Afro-Dite dichiara AH RU DI TE, il sacro RU amato dall’Aldilà AH in Dite, re degli Inferi.

In UE NER IS ha la sillaba di NER GAL, dio degli Inferi. U EN ERIS fra emergere Eris, la furia sorella di Ares descritta da Omero (è anche al genitivo di Ceres Cer-Eris che fa ritornare Cerere corrotta).

La Classicità intera abbonda di immagini positive della dea nata dalla spuma del mare; la concezione gnostica più antica di una dea ambigua collegata agli Inferi non è ancora emersa.

Nell’occhio del sacerdote etrusco, Anchise è un etrusco e Venere è un abominio.

Gli Etruschi erano detti Tuschi da Varrone: TUS KI, “quelli del posto”/ “messi giù sulla Terra” (da Saturno).

Continuiamo ad osservare Venere come madre malvagia e Amore come figlio feroce!

 

Ma Citerea medita nell’animo nuovi artifici,

nuovi disegni: venga, mutato d’aspetto e di volto,

Cupido invece del dolce Ascanio, e accenda con doni

la regina in delirio, e le avvolga di fuoco le ossa:

certo essa teme l’ambigua casa e i Tirii ingannevoli;

la arde atroce Giunone, e a sera la sua sollecitudine diventa più viva.

Dunque parla all’alato Amore con queste parole:

-Figlio [Gnate], tu solamente mia forza e grande potenza,

figlio che spregi i dardi tifei del sommo padre,

mi rifugio in te e supplice imploro il tuo nume.

Sai che l’odio dell’aspra Giunone perseguita

per tutte le rive con la furia del mare il tuo fratello Enea,

e spesso ti dolesti del nostro dolore. Adesso lo tiene

la fenicia Didone e con blande parole lo attarda;

temo come si volgano le accoglienze di Giunone;

non rimarrà in ozio in così grande nodo di eventi.

Perciò penso di prevenire la regina con inganni

e di cingerla di fuoco, affinché in nessun nume si muti,

ma sia avvinta con me da un grande amore di Enea. (Eneide I, 657-675)

 

«Ne quo se numine mutet»: «affinché in nessun nume si muti» scrive il poeta mago (mentre il traduttore corregge, sbagliando: per nessun nume si muti). La cingerò di fuoco facendo la magia che alza una barriera contro l’ingresso di Giunone. Il NU ME è virum, ovvero è l’unificazione della divinità con l’essere umano, di cui ne diventa l’ombra [arma virumque cano: canto religiosamente le armi e l’uomo-indeizzato/nume].

Venere si propone come (orrida) ombra che ingannerà.

Altro che sorella del Veridico! L’orrida ombra scaturisce dalle scintille provocate da Acate (Tum Cererem corruptam), appare come il contrario (vergine) di ciò che è, agisce in modo malvagio dando l’incarico ad Amore. Amore indeizza Didone, agendo con incantamenti per mezzo di Ascanio, figlio di Enea, che la regina accarezza; le cancella il ricordo del marito Sicheo e la offre all’innamoramento di Enea.

Finirà abbandonata e suicida.

E’ forse sorella di Febo, del Puro, del Veridico all’eccellenza, l’autrice di questo misfatto?

 

 

Antiquae Cereris

 

714               desertae Cereris, iuxtaque antiqua cupressus

tr: tempio di Cerere abbandonato, e accanto un antico cipresso

742               quam tumulum antiquae Cereris sedemque sacratam

tr.: al colle e al tempio dell’antica Cerere

 

Abbiamo visto la guerra divina tra Giunone e Venere. La novità proposta è nella descrizione di Venere come Cerere corrotta contro a Cerere integra corrispondente ad Uni, Giunone prima dell’ira, antica Juno.

Nel secondo libro il racconto sgorga dalla memoria di Enea, che racconta all’avida Didone (circondata dalla magìa di Venere ed avvelenata di Amore) la fine di Troia.

I due nuovi versi a Cerere sono posti sul finire (ultimi 100 versi) del secondo libro.

Enea, nell’abbandono di Troia, invita il padre a salirgli sul collo e dà appuntamento a tutti i compagni al tempio di Cerere, fuori dalla città:

 

Il piccolo Julo

mi accompagni, e la sposa segua discreta i miei passi.

Voi, o servi, ascoltate quanto vi dico.

All’uscita della città v’è un colle e un vetusto

tempio di Cerere abbandonato, e accanto un antico cipresso               trad. v. 714

conservato per molti anni dalla devozione dei padri–.

 

Il padre, per umbram prospiciens, scrutando avanti nell’ombra, lo incita a scappare. Creusa si perde.

 

prima che fossimo giunti al colle e al tempio

dell’antica Cerere; qui infine, tutti raccolti,                                       trad. v. 743

ella sola mancò, e sfuggì ai compagni e al figlio e al marito.

 

Enea racconta che, disperato, tornò indietro a visitare la rocca di Priamo

E già nei vuoti portici, asilo di Giunone […] facevano la guardia alla preda    v. 761/763

 

Il Vate collega meravigliosamente l’andata ed il ritorno al tempio di Cerere con i vuoti portici asilo di Giunone –Cerere integra, protettrice dei matrimoni- e all’ombra di Creusa. I portici vuoti non sono in grado di tutelare il suo matrimonio che è preda di Cerere corrotta.

 

Osando persino lanciare grida nell’ombra

riempii di clamore le vie e mesto chiamai

invano ripetendo ancora e ancora Creusa.                                        768-770.

 

E l’ombra di Creusa, chiamata da Enea, appare:

 

Quid tantum insano iuvat indulgere dolori

o dulcis coniunx? Non haec sine numine divom

eveniunt.

Perché abbandonarsi tanto ad un folle dolore,

o dolce sposo? Ciò accade per volere divino;

 

-Resterò libera, non sarò fatta schiava, non andrò a servire donne greche io, Dardana- (–di stirpe etrusca–).

 

divae Veneris nurus;

sed me magna deum genetrix his detinet oris.

nuora della dea Venere;

ma la grande Madre degli dèi mi trattiene in queste terre.

 

E ora addio, serba l’amore di nostro figlio-.                              789

 

K RE US A scompare nel tempio dell’antica Cerere < ERES KI (GAL), regina delle ombre, che la trattiene.

Venere e KI ERES corrispondono. ERESH KI è l’antica Cerere, sorella di Erebo.

 

Carlo Forin


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